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La scuola non serve a nulla

Palle, visi, voci, audiolibri: un po’ di creatività in dad

( ...sperando di levarsela presto di torno… )

“Si fa presto a dire Teatro e comicità nella Didattica, ma in DAD come fai?”.

Premesso che, secondo me, chi ha fatto qualche sforzo per innovare la didattica già prima del lockdown, magari in DAD è partito avvantaggiato, ecco qualche suggerimento pratico per recuperare terreno e evitare di ridursi a usare i vari Zoom con la stesso entusiasmo di un rosario recitato al cimitero davanti alle faccine in formato francobollo/lapide: tono monocorde, faccia da speaker del TG nordcoreano, coinvolgimento dei ragazzi pari a zero… Ecco, diciamo che si può fare di meglio. Con poco.

Ad esempio, quando leggiamo un testo, nella mia Prima Media proviamo a interpretare, oltre alle voci, anche le “facce” dei personaggi del brano. Quindi qualcuno legge il brano, ma con telecamera spenta; qualcun altro, invece, “interpreta” le espressioni, al contrario, con microfono spento. Magari cercando di stare in sincrono con le voci, un po’ come farebbero su Tik-Tok, in una sorta di discorso diretto tra personaggio-voce e personaggio-faccia. Funziona, coinvolge e si divertono un sacco.

A volte, per scaldarli un po’, uso una versione virtuale di un gioco d’attenzione davvero elementare del mio maestro Jurij Alschitz: la palla viaggiante, una specie di “Ce l’hai” con una palla da tennis. Nel nostro training teatrale dovevamo lanciarcela senza farla cadere, facendo contemporaneamente altro: recitare tutti i monologhi di Amleto, danzare la quadriglia, montare una scenografia, accendere un mutuo. Nel nostro caso basta che ogni studente abbia una palla in casa: il prof. condivide lo schermo (così la disposizione è uguale per tutti) e due regole: (a) una palla sola, e (b) chi lancia può farlo solo verso il “vicino di quadrato” (destra, sinistra, sopra, sotto), che finge di riceverla e rilanciarla. Vietato il lancio in diagonale, vietato lanciare al prof., vietato star più cinque secondi con la palla in mano (e due tre minuti di gioco, in totale, altrimenti le mamme si incazzano, che gli sfasciamo la casa, con ste palle). Valore didattico? Zero. Attenzione? Mille.

Ma la vera figata quest’anno è stata un’altra. Un giorno che li sentivo un po’ stufi di star chiusi in casa, mi è venuto da dire: “”E che doveva dire Anna Frank?”. Battuta forse un po’ infelice, ma da qui l’idea: perché non “recitare” tutto il Diario, registrarlo, “rumorizzarlo” e montare il tutto da casa, in Dad? A parte che in materia di programmi di produzione questi ci danno la biada, ma il risultato finale è stato un altro: sperimentando in prima persona – sì, recitare fa proprio questo effetto – la gioia di vivere di una loro coetanea, condannata ad una reclusione ben più angusta e terribile della loro, avrebbero potuto forse trovare qualche spunto di riflessione per rendere più sopportabile il periodo; e pensare che forse in qualche modo siamo, ancora, fortunati.

Ma vi confesso un piccolo segreto: con Anna Frank ci avevo già provato, una specie di riscrittura comica del suo Diario con cui un’altra mia classe anni fa vinse un concorso letterario. Le buone idee, quando vengono, vanno sempre coltivate. Ma ne riparleremo in un’altra “puntata”. ..

Intanto voi provate a far questo: voce e faccia nella letture, lancio di palla, registrazione di un libro in call da casa. Poi mi direte…

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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La nave di Penelope

Studenti in mare

“Molti studenti non parlano più, faccio fatica anche a fare l’appello, a volte, perché non rispondono”. Me lo racconta una professoressa di lettere di un blasonato liceo milanese. È preoccupata, come tanti colleghi, per i ragazzi. Questa volta non si parla di difficoltà legate alla Dad per mancanza di mezzi o di connessione, come capita altrove. Qui si parla di un liceo del centro, con famiglie per lo più benestanti. I ragazzi hanno tutti i mezzi e gli stimoli culturali, il contesto è favorevole. Non hanno problemi a connettersi e a seguire le lezioni, eppure qualcosa non va. Sono stati investiti da un’altra “epidemia”. Quella dei disturbi psichiatrici che sta abbattendosi sulla generazione Dad senza pietà e senza favoritismi.

I professori e i genitori lo raccontano: i ragazzi non trovano più la motivazione. Non provano più interesse in quello che fanno o studiano. Alcuni faticano anche a trovare una ragione per alzarsi al mattino. La scuola smette di essere uno stimolo.

Non vale neanche la scusa del “certo, se fanno tutti lezione frontale, come se fossero in aula, gli studenti fanno fatica a seguire”. Questa docente, come tanti altri durante questa pandemia, utilizza la Dad per sperimentare metodi didattici diversi e innovativi, come quello della classe capovolta. Spinge gli studenti a fare ricerche e poi a presentare i loro elaborati e le loro riflessioni alla classe e generare un confronto, chiede loro di realizzare video-schede, riporta gli argomenti di studio all’attualità.

Questi sono alcuni degli “espedienti Dad” messi in campo per sfruttare gli strumenti digitali ed evitare le lezioni frontali, cercando di stimolare e coinvolgere i ragazzi anche a distanza. Ma se durante la prima ondata la risposta era ancora abbastanza positiva, quest’anno i professori vedono gli studenti spegnersi lentamente. Non sono più interessati.

Un problema nascosto tra le curve della pandemia ma che, come tutto quello che non è strettamente connesso al coronavirus, viene messo in secondo piano. Eppure la mancanza di relazioni umane, di confronto, dello sport, della vita normale di un adolescente lascerà tracce. Lo sta già facendo. Dal punto di vista della preparazione, secondo i docenti, ci sarà un abisso rispetto ai diplomati precedenti. Per quanto riguarda gli apprendimenti, certo, non potrebbe essere altrimenti. Ma a preoccupare più di tutto i professori è quello che succederà ai loro studenti dal punto di vista della crescita personale e della salute mentale.

Negli ultimi mesi gli psichiatri hanno lanciato l’allarme. Si parla di un raddoppio delle richieste di ricovero nei reparti di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Depressione, ansia, autolesionismo, disturbi alimentari gravi, comportamenti aggressivi. E tentativi di suicidio. Tanti.

Maria Antonella Costantino, direttrice dell’unità operativa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Policlinico di Milano e presidente della Società italiana di neuropsichiatria infantile, sul Corriere della Sera, ha presentato dei dati sconvolgenti: “A gennaio, gli accesi alle neuropsichiatrie infantili per tentato suicidio, in Lombardia, sono stati 86, quasi un raddoppio su un anno prima”.

Stesso trend che mi aveva spiegato Renato Borgatti, direttore di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza della Fondazione Mondino dell’Istituto neurologico nazionale di Pavia, durante un’intervista per il Gr di Radio Popolare poco tempo fa. E questo, aveva detto, “non è un dato solo lombardo”, anche i colleghi di altre regioni confermano la tendenza.

Borgatti aveva anche condotto, durante la prima ondata, uno studio che aveva coinvolto oltre 1.600 adolescenti a livello nazionale tra i 12 e 17 anni. Erano emersi già i primi campanelli d’allarme. Che poi, in parte, si sono tradotti in disturbi più o meno gravi negli ultimi mesi. Alla base, secondo Borgatti, la mancanza di relazioni dei ragazzi, costretti alla didattica a distanza, senza poter frequentare luoghi d’aggregazione e senza adulti intorno in grado di leggere i segnali. Così i sintomi si sono aggravati.

La soluzione per Borgatti è riaprire le scuole e i luoghi di socialità. E pensa che si sarebbe dovuto partire da lì con i vaccini, dando la priorità ai ragazzi e agli insegnanti. Ora però è tardi per fare queste considerazioni. Resta da capire come si affronterà questa “nuova epidemia” che sta riempiendo i posti letto nei reparti di neuropsichiatria infantile.

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Breaking Dad

Il giallo della porta chiusa

In attesa davanti alla scuola. Ci sono tornati da due giorni i pargoli delle elementari. Che ore sono? Le quattro e cinque minuti. Strano, sono sempre puntualissimi, com’è che non escono? Battute varie a tema rientro, Dad, virus variamente assortiti e variati.

Fatto sta che alle 16.10 le allegre faccette non sono ancora spuntate dallo scorcio della porta a vetri che divide il cortile della scuola dall’ingresso. “Scrivo sulla chat di classe!”. Ma se siamo tutti qua? “Ah, già”. La tensione comincia a crescere. Si cerca di parlare d’altro. Ma è difficile, anzi impossibile. Poi, una mamma lo dice.

“Deve essere successo qualcosa”. Giro di sguardi tra genitori, nonni e baby sitter. Parlano gli occhi, sbucano dalle mascherine e si scambiano sconcerto e preoccupazione. [MUSICA CUPA IN CRESCENDO]

“Eh, deve essere successo qualcosa”. Santiddìo, ho capito, ma cosa? Incuranti dello sgomento generale, due cagnolini si azzuffano allegramente. “Eh, che carini, giocano…”.

Ma va? Ma davvero giocano? Pensavo stessero mettendo in scena una versione cinofila (e cinefila) de “I duellanti”. Ma secondo te a noi ce ne importa qualcosa? Ti pare il momento di pensare ai quei due botoli che si menano?! [PENSIERI INESPRESSI]

Alle 16.14, quando già sono stati inviati i primi dispacci alla Protezione civile e a qualche Generale, la porta a vetri si apre. Mezzo secondo di suspense. Poi, il primo faccino spunta e strizza gli occhietti per il sole. E il secondo, e il terzo e tutti quanti. Gioia e tripudio. [PIANOFORTE E ARCHI PASSANO DA TONALITA’ MINORE A MAGGIORE, POSSIILE INSERIMENTO ARPA, MA FORSE E’ TROPPO]

Ma, certo, un bravo genitore sa mantenere un contegno, accidenti. Secondo voi basta così poco per fargli perdere il necessario self-control? “Tesooooroooooo, ciaoooooo piccolinooooooo, come staiiiiiiii??!!”. Appunto.

Qualcuno sostiene di aver sentito la maestra spiegare l’accaduto, ma la versione non è confermata. E’ un giallo. Non resta che indagare. E, come il tenente Colombo, provare capire dai diretti protagonisti cosa abbia turbato tanto profondamente un sereno pomeriggio di primavera. [QUI CAMEO DI PETER FALK NEI PANNI DEL BIDELLO]

Non sono necessarie domande, per la verità. I bimbi e le bimbe non parlano d’altro. Alcuni piagnucolano, altri sono visibilmente agitati. Altri ancora, con aria risoluta, mettono in fila i fatti, quelli assodati e quelli che rimangono da verificare.

Su un punto tutti concordano: la porta dell’aula si era chiusa e non si apriva. Ecco.

“Ma voi eravate dentro da soli?”

“Sì, la maestra era uscita un attimo”.

Eccola lì, davanti ai nostri occhi, la scena-madre: soli, dietro una porta chiusa, privati della libertà come Tim Robbins, li immagino già scavare un tunnel con i cucchiaini in plastica della macedonia. Alcuni, presi dallo sconforto, lanciare e riprendere ossessivamente una palla da tennis come Steve Mc Queen. Per 12, 15 minuti, forse di più, mentre l’ossigeno si fa via via più rarefatto.

Ma cosa è successo davvero? Chi ha chiuso la porta? Perché? E soprattutto, come è possibile che la stessa non si aprisse più, né dall’interno né dall’esterno?

Ecco. Questo è “Il giallo della porta chiusa”. La cui risoluzione non riveleremo perché i diritti sono già stati venduti a Netflix che ne realizzerà un serie in 86 puntate (la prima stagione).

In realtà, noi genitori eravamo piuttosto divertiti. Un po’ incuriositi, al limite. Ma i bambini erano davvero scossi. Fabrizio e il suo amico Marco sono tornati a casa a piedi insieme. Si tenevano vicini, con il braccio a cingere le spalle dell’altro. Erano serissimi. La mamma di Marco e io ce la ridevamo, stando dieci passi dietro loro. “Ma sai che bello, starsene chiusi in classe, tutti insieme, senza le maestre!” “Festa! Ah, se fosse successo a me, ai nostri tempi…”

Fulminato con lo sguardo.

“Papà, basta. Evita, per cortesia, di sovrapporre la tua necessità di ri-affermazione alla mia esperienza. La narrazione postuma di eventi dell’infanzia è fallace, perché travisata dal vissuto successivo. Riproporla, facendone un termine di paragone con il quotidiano dei figli, è un non-senso. Che rischia di sminuire le emozioni del bambino, anziché valorizzarle in funzione pedagogico/esperienziale”.

Ecco, non ha detto esattamente così. Ma il senso era quello. E allora, più tardi, abbiamo cercato di analizzare tutto quello era successo, passo passo, con divertimento e impegno, come se fosse davvero un giallo a lieto fine di cui Fabrizio e i suoi amici sono stati protagonisti.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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I giorni dell'Ira

Un nuovo giorno dell’Ira: (non) fatemi ridere

RInascita! RIpresa! RIpartenza! RIgenerazione! REsurrezione!

Sembra una battuta di Brecht, imbastardita con una formula di meditazione da new-age tardiva. Invece, è quello che andiamo RIpetendo tutti da mesi.

Quante volte sono state pronunciate queste o simili (volenterose quanto generiche) parole, nell’anno e più che abbiamo alle spalle? All’inizio, era inevitabile. Comprensibile, anche. Ma dopo l’altalena dei lockdown, la fiera dei vaccini, i parossismi di confusione imperiale, sono diventate una sorta di mantra da assumere prima o dopo i pasti, come l’aspirinetta o gli integratori di vitamine. Dico, in termini di comunicazione pubblica, ma anche privata.

“Buongiorno, signora Belli. Come va?”

“Buongiorno, signor Brutti. Bene, facendo gli scongiuri… e lei?”

“Per ora, tutto ok. Ma speriamo di RIpartire presto, eh?”

“Eh già, abbiamo proprio bisogno di RIprenderci!”

E poi via, verso i bidoni della differenziata, dopo avere sanificato le maniglie del locale condominiale.

Ma insomma, possibile che nessuno di noi ricordi che per una RIgenerazione occorre uno straccio di messa in discussione, di autocritica, di ammissione della colpa, di catarsi… chiamatela un po’ come volete? Non dovevamo uscirne migliori? RIpartire sì, ma non dal punto in cui avevamo lasciato a mezzo l’ultimo aperitivo.

E allora, basta. Da oggi mi sforzerò di non RIpartire, RIsorgere, RInascere e RIcominciare se non quando sarà veramente opportuno. E dato che anch’io sono incapace di vera autocritica, scelgo un diversivo: invece di RIsorgere, cercherò di RIdere un po’ di più. Ahahah! Temo tuttavia di non essere la sola ad avere avuto questa intuizione di sfinita autoconservazione. Almeno, a giudicare dal successo che hanno recentemente riscosso alcuni bolsi e stracotti format TV a base di comicità un po’ isterica (per i più grandi, quelli che adesso fanno Astrazeneca) o dalla dipendenza da stand-up in streaming (per i più giovani, quelli che per ora non fanno nessun cazzo di vaccino o se lo fanno, hanno saltato la fila).

Già, c’è ridarola nell’aria. Non credo sia mancanza di rispetto per la drammaticità del momento. Credo piuttosto sia la versione estesa di quella strana reazione che spesso prende chi va a un funerale. L’emozione provoca gesti goffi, crea effetti involontariamente grotteschi e a tutti, almeno una volta, è capitato di ridere alle commemorazioni del caro estinto. Il meraviglioso sketch dei Monty Python, quello della killer joke, la barzelletta killer, ci insegna che si può ridere anche della guerra. Se non lo conoscete, cercatelo in rete. L’idea che si possa ammazzare il nemico di risate, resta una delle intuizioni più geniali del secolo breve.

Chissà, forse se Erdogan e Michel avessero avuto la prontezza di spirito di dire a Ursula von Der Leyen “Scherzone! Dai, te la sei presa per così poco?” adesso sarebbero considerati gli artefici di un nuovo disgelo turco-europeo. E se Eco (Umberto) ha consegnato ai lettori di tutto il mondo la sua opera più celebre mettendoci al centro il Riso, racchiuso nel fatale e perduto secondo libro della Poetica di Aristotele, anche noi possiamo provare a ridere almeno un po’ in questo nerissimo tempo storico.

Anche perché di polaroid da guardare per farsi una RIsata ce ne sono dappertutto, se si presta attenzione. Ecco qualche esempio.

Cosa fare, se non ridere, quando a un caro amico annoverato nelle categorie “fragili” viene praticato il vaccino e, la mattina dopo, gli arriva un SMS che dice più o meno “Buongiorno! Ti comunichiamo che da oggi puoi fissare un appuntamento per ricevere il vaccino contro il COVID-19”?

E perché non ridere di un tamponamento fra due signore over 70, straordinariamente simili di aspetto, che si sono scontrate mentre entrambe stavano andando al più vicino centro vaccinale? Saranno finite in fondo alle graduatorie per non essersi presentate in tempo, a causa della constatazione amichevole?

Come si fa a non sghignazzare insieme alla parrucchiera, impaziente di riaprire quanto le sue zazzerute clienti, che confida telefonicamente “Pazzesco! In questo ultimo lockdown sono tutte ingrassate da far paura! Gli ci vorrà un anno per buttare giù quei chili…”

E infine, prendiamo un premier europeo che incute diffidenza ma anche una sorta di rispetto, grazie alla fama di glaciale stregone dell’economia planetaria. Uno che per settimane ha fatto imbizzarire i travet della cronaca politica perché “non comunicava”? Non è meraviglioso che uno così, che fra l’altro in questo momento è anche il Presidente del Consiglio italiano, abbia pestato un merdone come quello di annoverare Erdogan fra i dittatori del mondo? E per giunta con una frase semiconfidenziale, da ascensore, da buvette, non da conferenza stampa coi microfoni sguainati? Sublime. E qualcuno si domanda ancora se dietro ci fosse una precisa strategia diplomatica.

Dai, (non) fatemi ridere.

 

  • Ira Rubini

    Nata in Belgio, vive a Milano. Studia insieme legge e teatro. A 20 anni inizia a scrivere per la TV e firma oltre 40 trasmissioni, come la diretta della notte degli Oscar in cui vinse Benigni. Come antidoto, scrive teatro (anche con Franca Valeri) e gira il mondo per fare documentari. Insegna teatrologia alla Paolo Grassi e coordina il corso di Sceneggiatura alla Luchino Visconti. La radio è il primo amore: esordisce a Radio Popolare a 14 anni, poi ci torna a condurre il quotidiano culturale. Lavora a RadioRAI e alla Radio Svizzera Italiana. A volte, le piace tornare in scena con l'ensemble Ottavo Richter.

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Piovono Rane

Perché (di nuovo) non sta andando tutto bene

Non è questione di polemica politica, è questione di numeri, di dati di realtà.

E i numeri dicono che anche questa volta non sta andando tutto bene, che la campagna vaccinale in Italia sta mancando gli obiettivi.

Anzi uno l’ha già mancato: quello delle 300 mila dosi al giorno.

Doveva essere raggiunto entro fine marzo, invece così non è stato e anche la settimana successiva – quella  fra il 3 e il 9 aprile – la media quotidiana di somministrazioni è stata di 237 mila,  cioè oltre il 20 per cento in meno.

Basta vedere i grafici per capire cosa succede: si vaccina bene il mercoledì e il giovedì, si scende il venerdì, si sprofonda nei week end, si riparte un po’ il lunedì e si raggiunge di nuovo numeri buoni il mercoledì dopo.

Si  procede “a salto di rana”, come ha detto alla nostra radio il docente del Politecnico Davide Manca

I dati sono ancora più inquietanti se si guarda agli anziani.

Il report appena rilasciato dal governo dice che il 32 per cento degli over 80 non ha ancora ricevuto nemmeno la prima dose,  cifra che supera l’80 per cento nei cittadini tra i 70 e gli 80 anni

I vaccini ci sono, ha detto in conferenza stampa Draghi,  e anche i centri vaccinali ci sono. Il collo di bottiglia è creato da altri fattori, come la carenza di personale sanitario.

Sono pochissimi i centri vaccinali aperti di notte, quasi tutti chiudono invece tra le 18 e le 19, e nei fine settimana si vaccina molto meno per i turni di riposo. In Lombardia il centro più efficiente, il  Niguarda, deve chiudere alle 14 sia il sabato sia la domenica.

Non si tratta ovviamente di far lavorare 24 ore al giorno medici e infermieri che già fanno turni lunghissimi, si tratta di chiamarne – pagandoli tanto – molti, molti di più.

Medici di base, in pensione, farmacisti, dentisti, specializzandi, personale delle cliniche private e ogni altro operatore possibile che legalmente può somministrare le dosi. Con l’obiettivo di tenere tutti i centri vaccinali sempre aperti e sempre a massimo regime.

Non sta andando tutto bene, il governo lo sa e striglia le regioni, Draghi minaccia di legare le riaperture al numero di vaccini, Figliuolo emette ordinanze nella notte, Speranza fa capire che le regioni  troppo in ritardo potrebbero essere commissariate

Tutti segni di nervosismo, un nervosismo giustificato ma che potrebbe e dovrebbe essere superato da decisioni forti centralizzate: non vogliamo sentire, tra un mese, che non ce l’abbiamo fatta e che la colpa viene rimpallata, con il solito scaricabarile, tra regioni e governo.

 

 

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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    "La fotografia è luce" diceva Mimmo Jodice: Roberta Valtorta ricorda il grande maestro

    Domenico Jodice detto Mimmo, classe 1934 nato a Napoli nel Rione Sanità, aveva 91 anni. Lascia un grande archivio che dovrebbe trovare posto a Capodimonte. Cominciò a esporre le sue foto nella famosa galleria di Lucio Amelio negli anni ‘60 collaborando con artisti come Andy Warhol, Sol LeWitt, Joseph Beuys, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis e tanti altri. Negli anni successivi le sue fotografie furono esposte in moltissime gallerie e musei di tutto il mondo. Nel 2006 l’Università Federico II gli conferì la Laurea Honoris Causa in Architettura. Una grande retrospettiva del suo lavoro fu ospitata al Madre, il Museo d’Arte contemporanea di Napoli. Ricordiamo l’uomo e il grande fotografo con un’importante conoscitrice del suo lavoro e autrice di ben tre libri e numerose pubblicazioni: Roberta Valtorta. L’intervista di Tiziana Ricci.

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    Material for an Exhibition. Opere sopravvissute al bombardamento di Gaza nel 2023

    A Brescia è in corso l’ottava edizione del Festival della Pace. Uno degli eventi di maggior interesse è la mostra al Museo Santa Giulia che ha l’obiettivo di mettere in luce il ruolo dell’arte come pratica capace di tessere relazioni di solidarietà. In mostra opere di Emily Jacir, artista palestinese Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 2007. Le sue opere sono testimonianza dell’ingiustizia e oppressione subite dal suo popolo. In mostra anche le opere salvate dal bombardamento avvenuto nel 2023 di Eltiqa (in lingua araba: “incontro”) un centro per l’arte contemporanea a Gaza. Abbiamo incontrato in mostra due degli artisti che hanno fondato Eltiqa: Mohammed Al-Hawajri e Dina Mattar, poi anche Emily Jacir davanti alle sue installazioni. Le interviste di Tiziana Ricci.

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    Pubblica di giovedì 13/11/2025

    Carlo Rovelli, fisico teorico, è stato ospite oggi a Pubblica. Dieci anni fa, pochi giorni dopo le stragi di Parigi e del Batclan nelle quali furono uccise 130 persone, lanciò una «proposta per la Mesopotamia». Rovelli la illustrò a Radio Popolare: «l’Occidente - sosteneva - può continuare a bombardare (l’Isis, ndr), ma i bombardamenti, come ripetono i vertici militari, non portano a nulla. Nessuno ha voglia di invadere di nuovo la Mesopotamia, per riaprire il problema. Penso sia necessario parlare con lo Stato islamico. L’alternativa è la guerra senza fine». Dieci anni dopo, e in altri contesti, il senso della proposta di Rovelli resta intatto. Ne abbiamo parlato oggi con lui nel corso della trasmissione, insieme al suo ultimo libro «Sull'uguaglianza di tutte le cose. Lezioni americane». Nel testo (pubblicato da Adelphi, 2025) sono raccolte sei lezioni che Rovelli ha tenuto a Princeton (Stati Uniti) un anno fa, chiamato come fisico a raccontare ai filosofi il mondo dei fenomeni quantistici. Che cosa è accaduto negli ultimi dieci anni nella conocenza del mondo? «Ci siamo accorti sempre di più che le grandi teorie del XX secolo, scientifiche e fisica, funzionano incredibilmente bene», racconta Rovelli. «Lo sforzo ora è cercare di capire cosa implicano queste grandi teorie per la nostra comprensione del mondo. Il contenuto del mio libro è questo: che cosa ci dice sul mondo la grande rivoluzione culturale del XX secolo, quella dei quanti e della relatività». Buona lettura.

    Pubblica - 13-11-2025

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    A come Africa di giovedì 13/11/2025

    Col sociologo e scrittore Luciano Ardesi facciamo il punto sul #SaharaOccidentale, a 50 anni dalla #MarciaVerde del #Marocco; poi parliamo di #Cop30 e #clima con Lydia Wanja KIngeru, giovane attivista ambientalista del #Kenya in partenza per Belém. A cura di Sara Milanese.

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 13-11-2025

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    MARZIO BREDA - IL NEMICO DI MUSSOLINI

    MARZIO BREDA - IL NEMICO DI MUSSOLINI - presentato da Michele Migone

    Note dell’autore - 13-11-2025

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    Tutto scorre di giovedì 13/11/2025

    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 13-11-2025

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di giovedì 13/11/2025

    Il nome di Trump nelle mail di Epstein riscoppia il caso che rischia di accompagnare la presidenza tra rivelazioni, segreti e bugie e che al centro ha l'amico condannato per abusi sessuali e morto in un particolare suicidio in carcere; gli sviluppi nel racconto di Roberto Festa. Alfredo Somoza analizza l'escalation nei Caraibi dell'amministrazione USA contro il Venezuela, con l'arrivo della portaerei Ford, nuovi attacchi a presunte imbarcazioni di narcos e il fronte diplomatico che condanna l'attivismo di Trump. Francesco Giorgini da Parigi ci racconta le celebrazioni 10 anni dopo l'attacco terroristico più sanguinoso di Francia: il 13 novembre 2015 il Bataclan, l'attacco allo Stade de France e le sparatorie davanti a due bistrot che causarono 130 morti. Mentre si discuteva sulla tassa ai i super ricchi proposta dalla Cgil in pochi hanno notato che Francesco Giavazzi docente bocconiano storico, editorialista del Corsera, nonché consulente di governi da D’Alema a Draghi, proponeva il ritorno di una indicizzazione dei salari all'inflazione, una specie di ritorno della scala mobile, perché l'economia con questo livelli di retribuzioni non ce la fa più, lo commenta Andrea Di Stefano direttore di The Washing News e nostro editorialista.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 13-11-2025

Adesso in diretta