Programmi

blog

Mia cara Olympe

La guerra, l’Europa e i profughi di serie A e di serie B

Confesso: quanto sento, ed è frequente, la frase ‘Ora ci sono profughi di serie A e profughi di serie B’ , intendendo con i primi chi scappa dall’Ucraina in guerra e trova accoglienza e con i secondi i tanti cui l’Europa sbarra da tempo le porte, ho un immediato sussulto.

È  lo stesso che provo quando – davanti alle macerie dell’ospedale di Mariupol, davanti alla donna incinta ferita in barella di cui avevamo qui parlato e della cui morte insieme al suo bimbo abbiamo poi saputo – si ricorda che altri ospedali, in altre guerre che noi abbiamo poco visto, sono stati pure bombardati. con eguali, drammatici effetti.

Davanti alle evidenti ragioni  di queste due affermazioni che di solito provengono da chi ha a cuore pace e solidarietà – democratici? di sinistra? li si chiami come si vuole –  mi sono chiesta il perché di questo moto di fastidio, quasi di ripulsa che scatta istintivo. È una delle molte domande che quotidianamente questa guerra  pone, più domande che risposte, molti più dubbi e tentativi di capire che granitiche certezze almeno per quanto mi riguarda.

Mi sono risposta che se le parole hanno un senso, quella dizione ‘serie A e serie B’, è come se togliesse umanità, comune umanità sia a chi la pronuncia sia a chi ne viene etichettato. Ci sento come un disprezzo definitorio, anche se mi rendo conto che va all’incontrario delle intenzioni di chi la pronuncia e che vorrebbe soltanto stigmatizzare una differenza di trattamento. Eppure provate a ripeterlo – Serie A, bianchi e biondi con gli occhi azzurri –  sapendo di chi e di cosa parliamo: di gente che sta scappando da una guerra di aggressione, di gente che ha visto sbriciolarsi in pochi giorni una quotidianità fatta di tutte le preziosissime cose che la compongono, e la prima è il senso del futuro. Quello che non avrà  la donna incinta in barella che ha protetto fino all’ultimo  il suo bambino e che resta un simbolo senza neanche un nome. E vale eguale questo ragionamento anche per ‘la serie B’: vite, persone, uomini e donne che devono mettersi in cammino e che, oggi ci racconta ed è prezioso Avvenire, in queste stesse ore stanno intrappolati – ostaggi sfiniti dal freddo e dagli stenti – al confine tra la Bielorussia e la Polonia.

Nella giornata di oggi ho letto il reportage di Emanuel  Carrére da Mosca: ho letto di chi si dispera, di chi si prepara a partire, di chi protesta in tanti o da solo, con un cartello bianco per strada: ‘per principio, per onore o per superare la paura’, scrive, anche se sanno di essere ‘praticamente spacciati’  e non solo per ciò che rischiano manifestando, ma per le conseguenze, interne ed esterne e di ogni tipo, che per tutti i russi questa guerra a lungo comporterà. Nelle stesse ore è ricomparsa sui nostri schermi Marina Ovsjannikova, la giornalista che ha fatto irruzione durante il telegiornale del primo canale russo con un cartello contro la guerra e la propaganda: era scomparsa, si è temuto per lei, per ora è stata solo multata. Per ora.

Ho pensato che i moscoviti incontrati in piazza da Carrére, la giornalista dall’incredibile coraggio stanno  dando, a dispetto di tutto, la versione migliore di se stessi e della propria umanità. E noi allora, ancora al caldo e al sicuro: ci serve, ci rende migliori tirare righe – serie A, serie B – che suonano stonate, rozze, indifferenti alle vite e che ci rimettono dentro lo schema che vituperiamo? Oppure quello che oggi è da fare è chiedere all’Europa di imparare la lezione dalla grande fuga dall’Ucraina e ripensare le sue politiche per tutti i migranti e i rifugiati? Desiderio ingenuo? Può darsi, ma ciò mi aspetterei da quella cosa che va sotto il vago nome di sinistra e da chi, più o meno, vi si riconosce. Pensare, lavorare ad una versione migliore dell’Europa, facendo tesoro di quell’onda di solidarietà che oggi muove paesi fino a ieri a dir poco refrattari ad ogni ragionamento e pratica di accoglienza per farla diventare, finalmente, politica.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Tra Buddha e Jimi Hendrix

Paura diffusa, zen, nasi da pagliaccio e piatti di pasta

Come ci di difende da un periodo storico incerto, sfigato, che ci siringa continuamente sotto pelle cc di terrore sotto forma di strilli su virus sempre più mortali, povertà e imminenti guerre mondiali? Certamente serve tanto equilibrio per non farsi travolgere dall’onda della paura e riuscire a surfarla come uno scintillante Kelly Slater qualunque mentre tutto intorno echeggia la chitarra mistica di Dick Dale, the king of surf music. Bell’immagine vero? Ma bisogna guadagnarsela. Mettere qualche base solida su cui costruirla per poterla visualizzare.
Tanto per cominciare va accettata la nostra impermanenza, sdoganando finalmente il tabù della morte, che qui da noi ormai sembra essere diventata una parola impronunciabile.
Lo scrittore è filosofo Fabio Cantelli Anibaldi, ha scritto un pezzo illuminante sull’argomento. Andrebbe imparato a memoria, specialmente quando dice: “La maggior parte degli esseri umani vive come se fosse immortale e le conseguenze della finzione sono sotto gli occhi di tutti: la nostra è una società orribile, fondata su relazioni strumentali e posticce, una società dove il non parlare di morte si traduce in violenze esplicite come quelle delle guerre o implicite come quella selettiva che regola il mercato economico: mors tua vita mea”.
Compresa, accettata e superata l’idea che niente vive per sempre e prima o poi ci toccherà morire, possiamo tentare di passare al livello successivo e fare la conta delle nostre risorse disponibili. Realizzeremo così che corpo, mente ed energia vitale sono gli unici strumenti che abbiamo. Chi impara a usare consapevolmente questi strumenti vive una vita tendenzialmente serena. Chi non ci riesce è condannato a vivere male, a invidiare gli altri, a dare al mondo la colpa per essere preda di tutte le sfortune possibili e immaginabili.
Alla fine vivere sereni e perfettamente integrati nel mondo oppure vivere male, sentendosi fuori posto in ogni contesto, è spesso una nostra scelta.
Questa nostra società occidentale, tuttavia, non solo cerca di eliminare il concetto di morte, mortalità e invecchiamento – invitandoci a consumare come se dovessimo vivere 300 anni – ma ci ha passato l’errata convinzione che saremmo uomini e donne completi solo se esaudiremo i nostri sogni, che poi sono i loro, impiantati sotto pelle in anni di pubblicità. Un modo assai paraculo per giustificare una corsa cieca verso “bisogni materiali” e “caramelline per l’ego” su cui si fonda il mondo dei consumi. La vita cristallizzata in obiettivi da soddisfare. Un tentativo di esaudirci è sublimarci che volge sempre all’esterno, quasi mai all’interno. La carriera, la famiglia, i rapporti sentimentali, il sesso, il cibo, lo status sociale… Tutte cose che stanno fuori e che riusciamo ad assimilare solo superficialmente. E intanto che cerchiamo di esaudire questi infiniti bisogni, siamo dannatamente seri, quasi tristi, come fossero questioni di vita o di morte. E lo restiamo anche dopo, quando ci convinciamo che dobbiamo difendere quello che duramente, con sangue e fatica, abbiamo ottenuto.
Ma questa psicologia dei “bisogni di superficie” dove ci porta? A vivere coi paraocchi, lontani dalla realtà e dall’unico tempo che la sorregge: il presente. Facciamo colazione e pensiamo a cosa mangeremo a pranzo. Mentre completiamo un lavoro stiamo già pensando al successivo. Mentre diamo un bacio oggi, stiamo già pensando a come potremo darlo domani. La nostra normalità, se ci pensiamo un attimo, è abbastanza anormale.
Per semplificarci la vita ci raccontiamo che se avessimo più soldi, più amore, più potere, più attenzioni, più sicurezza, vivremo meglio, ma non è vero. Altrimenti i ricchi e i tanto amati non andrebbero dallo psicologo né ingollerebbero psicofarmaci proprio come le persone povere o sole.
Ma come ci si difende dall’infelicità, dalla paura, dal disagio?
Il mistico indiano Maharishi Mahesh Yogi suggeriva due modi, un semplice sistema binario.
Uno: comprendendo che il mondo esterno non ha alcun potere particolarmente rilevante sulla nostra serenità.
Due: comprendendo che paradiso è inferno sono dentro di noi e imparare quindi a tenere pulita la mente.
Ma come si fa a tener pulita la mente?
Meditando. Accontentandosi di quello che si ha senza cercare quello che non si ha. Smettendola di correre dietro ai pensieri, che sono come palloncini al vento, se li segui prendendoli per veri chissà dove ti portano.
Non siamo i nostri pensieri. Per fortuna, aggiungerei.
E poi bisogna cercare di ridere. Roshi Bernie Glassman, uno dei grandi illuminati di questo secolo, consigliava ai suoi discepoli di indossare per qualche secondo un naso da pagliaccio tutte le mattine davanti allo specchio. Giusto per farsi una risata e non prendersi troppo sul serio. Per capire che siamo microbi su una pallina che fluttua nello spazio infinito, uno sputo, neanche troppo lungo nell’eternità. Siamo talmente piccoli, brevi e precari che dovremmo solo rilassarci e ridere, ridere, e ancora ridere… Fly down, amici. Voliamo bassi.
Alan Watts lo ricorda bene quando nell’illuminante “La Saggezza del Dubbio” scrive di come sia assurda la brama di sicurezza dell’uomo che abita un universo completamente imprevedibile e insicuro.
Alla fine, i nostri ostacoli a una vita pacifica e serena solo in minima parte sono rappresentati dal Covid, dalla guerra, dalla malattia, dalla miseria e dalla morte.
I nostri ostacoli a una vita pacifica e serena sono in massima parte causati dalla paura del covid, dalla paura della guerra, dalla paura della malattia, dalla paura della miseria e dalla paura della morte.
È sempre tra le tortuose rapide della mente che nascono i colori che tratteggiano il nostro destino.
Sospensione del giudizio; accettazione della realtà precaria in cui viviamo; ironia tout court; e un bel piatto di pasta cucinato con amore.
Sono queste, secondo i grandi saggi, le chiavi per il giardino del re della pace mentale.
Il piatto di pasta, lo ammetto, i mistici non lo dicono, l’ho aggiunto io che sono tutto fuorché saggio, eppure credetemi, a volte aiuta.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Il tè nel deserto

William Hurt

Avrebbe compiuto settantadue anni il 20 marzo, quasi a primavera. William Hurt, attore, nato a Washington nel 1950 è morto a Portland nel 2022, per cause naturali ha dichiarato il figlio Will, mentre il figlio Alexander ha parlato di lunga malattia, probabilmente un cancro alla proposta, come riportato dal New York Times. La sua carriera cinematografica è ricchissima di personaggi diversi e sfaccettati, anche a teatro, a partire dal suo debutto nel 1980 con “Stati di Allucinazione” di Ken Russell e l’anno successivo con “Brivido Caldo” di Lawrence Kasdan: riesce a passare da uno scienziato allucinato a un amante perduto in una storia impossibile e omicida con Kathleen Turner, remake di “La fiamma del peccato” di Billy Wilder.
Ma il successo vero arriva con “Il grande freddo”, film corale, specchio di una generazione e presa di coscienza di un passaggio della vita a volte traumatico. Diretto ancora una volta da Lawrence Kasdan e con una colonna sonora impossibile da dimenticare. Con “Il bacio della donna ragno” nel 1985 arriva l’Oscar. Nel film di Hector Babenco, tratto dal romanzo di Manuel Puig, Hurt è un omosessuale, incarcerato, durante la dittatura militare in Argentina, per aver avuto un rapporto sessuale con un minore. Palma d’oro anche a Cannes come miglior attore. E qui siamo solo agli inizi, a cui seguiranno grandi e celebri interpretazioni: “Figli di un Dio minore” di Randa Haines, “Turista per caso” di Kasdan, “Alice” di Woody Allen, “Fino alla fine del mondo” di Wim Wenders, “La peste” di Luis Puenzo. E la lista è ancora lunghissima, con film diretti da Steven Spielberg, David Cronenberg, Ridley Scott, Sean Penn, Robert De Niro. Negli ultimi anni William Hurt non era scomparso, ma lo abbiamo ritrovato in film amati dalle nuove generazioni: la saga degli “Avengers” e l’ultimo “Black Widow” nel 2021.

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Sbilanciamoci

La guerra di carta

C’è chi, quando arriva la guerra (vera), si diletta nella sua attività preferita, la guerra di carta. Ad arruolarsi sono (alcuni) intellettuali, giornalisti, opinionisti che usando giornali e trasmissioni TV- si prodigano nell’assalto del dileggio sdegnato e dello scherno moralistico: dei pacifisti. Spesso non possono fare altro che scrivere e parlare perché la guerra la fanno per procura (armiamoci e partite), mentre la popolazione civile viene sterminata dalla logica infernale delle armi e della sopraffazione militare.

E’ quello che succede anche con la guerra in Ucraina.

Per il solo fatto di avere detto che è sbagliato inviare le armi In Ucraina e che questo prolunga la guerra i pacifisti, additati ormai nelle liste di proscrizione televisive, sono considerati, nell’ordine: complici, cinici, ipocriti e interessati più che dalle sorti della povera popolazioni dalle bollette del gas. Per dirla con Benito Mussolini: panciafichisti.

Uno che in questi ultimi giorni si è scatenato, con un certo assillo, contro i pacifisti dalle colonne del Corriere della Sera, dalla trasmissione TV Piazza Pulita e dall’Huffington Post è Paolo Mieli. Strano però che l’ex direttore del Corriere della Sera si sia dimenticando di prendersela con il cinismo di Israele, che non intende imporre sanzioni economiche alla Russia. Strano che non se la sia presa con il cinismo del governo italiano che continua a mandare soldi a Mosca comprandogli il gas. Strano che non se la sia presa con il cinismo delle oltre 400 imprese italiane che continuano a fare affari con la Russia e hanno i loro manager ancora oggi a Mosca. I principi morali qui si inchinano alla realpolitik.

Ai pacifisti si rimprovera l’incoerenza e gli si ricorda i precedenti del Vietnam e della guerra di Spagna: non gli avreste mandato le armi, non dovevamo mandargliele, e non dobbiamo allora fare lo stesso con l’Ucraina ? Mieli, nella versione di storico pur non accademico, dovrebbe sapere che i pacifisti (pur sostenendoli con passione) non chiesero mai di mandare le armi né al Vietnam del Nord né ai palestinesi oppressi dal governo di Israele. Ha ricordato anni fa Aldo Natoli che quando incontrò, con una delegazione del PCI, i rappresentanti del Vietnam del nord questi gli dissero: “non ci servono armi, ma che intensifichiate le manifestazioni per la pace”. E’ quello che i pacifisti hanno sempre fatto. Erano cinici e ipocriti? E, riguardo alla guerra di Spagna, va ricordato che il Servizio civile internazionale (organizzazione pacifista nata nel 1920, di cui ho fatto parte) che sostenne la resistenza repubblicana non organizzò l’invio delle armi, ma affiancò i combattenti con attività civili come l’organizzazione dei campi per i rifugiati e l’aiuto alle vittime. E anche durante la guerra, Aldo Capitini (e Lidia Menapace e molti altri) -licenziato da Segretario generale della Normale di Pisa perché rifiutò la tessera del partito fascista- partecipò alle Resistenza in modo nonviolento, senza imbracciare un’arma, senza chiedere armi. Erano anche loro cinici e ipocriti verso la causa antifascista?

C’è chi passando dalla gioventù alla maturità è trasmigrato dagli eserciti proletari a quelli della NATO, dalla lotta armata di classe a quella dell’occidente, dal potere operaio al potere delle armi, ma se si vuole difendere e salvare la popolazione ucraina gli eserciti e la lotta armata vanno fermate: la guerra non sarà sconfitta da un’altra guerra, la popolazione ucraina non sarà salvata trasformando l’Ucraina in un nuovo Afghanistan, l’Europa non si stabilizzerà portando la NATO sotto le porte di Mosca.

Che sia cinismo quello di chi dice di non inviare le armi, perché -secondo i nostri fustigatori- così si costringerebbe gli ucraini della resa, è tutto da vedere. E’ sicuramente cinismo invece quello di chi vuole inviargli le armi perché -per salvare la propria coscienza- espone gli ucraini ad un massacro in una guerra che non può mai essere vinta. Si vuole fare la guerra a Putin o salvare la popolazione ucraina? Non bisogna concentrarsi sulle armi, ma sulla strada del negoziato.

Putin non la vincerà questa guerra, come non l’hanno vinta gli americani in Afghanistan e in Iraq (c’è forse pace in Medio Oriente?) o gli occidentali in Libia. Le guerre si sono dimostrate in questi anni fallimentari, quelle della NATO; e così sarà per quella di Putin. Il nostro interesse è salvare la popolazione ucraina con l’unico modo possibile: un cessate il fuoco che preluda ad un vero negoziato che porti ad una soluzione condivisa. Tutto il resto – dalla chiamata alle armi alle mobilitazioni degli eserciti – non è altro che un modo retorico e ipocrita per portare avanti la propria guerra di carta, ma più concretamente un modo pericolosissimo per avvalorare l’allargamento della guerra e porre le condizioni di esiti drammatici.

  • Giulio Marcon

    Portavoce della campagna Sbilanciamoci!, è stato negli anni '90 portavoce dell'Associazione per la pace e Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. È stato deputato indipendente di SEL nella XVII legislatura, facendo parte della Commissione Bilancio. Tra i suoi libri: (con Giuliano Battiston), La sinistra che verrà (minimum fax 2018) e (con Mario Pianta), Sbilanciamo l'economia (Laterza 2013)

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Appunti sulla mondialità

Le catene del metano che ci legano a Mosca

Stati Uniti e Regno Unito hanno deciso di sospendere gli acquisti di greggio russo come sanzione ulteriore nei confronti del governo di Mosca. Sanno che in questo modo colpiscono al cuore l’economia post-sovietica che dipende – come quella di un qualsiasi Paese in via di sviluppo – pressoché solo dalle commodities. Quando si parla di energia da fonte fossile su scala globale, però, non si può fare a meno della Russia. Seconda o terza al mondo per produzione di petrolio, secondo l’annata, dopo gli Stati Uniti e in un continuo testa a testa con l’Arabia Saudita, la Russia è però al primo posto tra i Paesi esportatori. Se tutte le esportazioni russe di petrolio venissero interrotte, il totale dei prodotti raffinati subirebbe un taglio del 10%. Restringendo lo sguardo all’Europa, scopriamo che il 60% del greggio esportato da Mosca è venduto a noi. Quasi lo stesso copione per il gas: la Russia è il secondo produttore al mondo (dopo gli Stati Uniti), e il 70% del suo export è diretto in Europa occidentale. Tra le grandi economie, quelle più dipendenti sono Germania e Italia, mentre Francia e Regno Unito non corrono grandi rischi. Men che meno gli Stati Uniti, che stanno già correndo ai ripari promettendo al Venezuela di Nicolás Maduro di dimenticare il passato in nome di un new deal energetico. L’embargo contro le vendite di fonti energetiche fossili da parte della Russia creerebbe dunque un grande scompenso a livello globale, e in modo particolare per l’Europa. Nell’immediato, non si riuscirebbe a colmare il vuoto facendo rientrare in famiglia il Venezuela né ricorrendo al gas liquefatto qatarino, da rigassificare.

La questione è che l’Europa, in questi decenni, ha sì costruito solidi legami commerciali ed economici con la Russia, ma mai legami politici, e ora ne paga il prezzo. Il blocco dell’import di gas naturale in Europa avrebbe senza dubbio l’effetto di raffreddare le ipotesi di ripresa economica e alimenterebbe processi inflazionari a livelli che non si vedono da molto tempo. Finora le sanzioni applicate alle banche russe hanno risparmiato quella di Gazprom, perché se non si potesse pagare il gas il rubinetto russo si chiuderebbe: e per questo Germania e Italia, come visto i due Paesi più dipendenti da Mosca, premono perché l’UE non si pieghi alla linea degli Stati Uniti. La situazione è paradossale e racconta meglio di mille analisi che cos’è l’odierno mondo globale e quanto siano profondi i legami di interdipendenza economica creati negli ultimi decenni. Ma Paesi che convivono sullo stesso continente, e che hanno saldi rapporti commerciali, restano antagonisti geopolitici. Entrambi con le mani legate per paura di perdere il fornitore oppure il cliente.

È la polpetta avvelenata che ci hanno regalato da un lato la globalizzazione, dall’altra le ritrosie e i ritardi nell’uscita dalle energie fossili. Il grido d’allarme lanciato da Greta Thunberg e dalla sua generazione perché i “grandi” si occupassero finalmente del cambiamento climatico e della transizione energetica ora viene amplificato dalla crisi ucraina, perché energie rinnovabili non vuol dire solo aria pulita, ma anche maggiore indipendenza energetica e geopolitica. Due dimensioni che mancano all’Europa e che ora gli europei vorrebbero conquistare alla spicciolata. Ma manca il tempo: sostituire totalmente il fornitore russo potrebbe significare, a essere ottimisti, due o tre anni di privazioni, inflazione, rincaro di tutti i beni di prima necessità. Ciò che è stato costruito nei passati 40 anni non può essere smontato in due mesi. Questo è il bello e il brutto della globalizzazione: siamo tutti sulla stessa barca, nel bene e nel male. Ed è questa una lezione ancora più dura di quella del Covid per un’Europa che, se continuerà a muoversi in ordine sparso, sarà sempre più al traino di fattori che non può, o non vuole, governare.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio lunedì 10/11 19:31

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 10-11-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve lunedì 10/11 18:29

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 10-11-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di lunedì 10/11/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 10-11-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di lunedì 10/11/2025 delle 19:47

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 10-11-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Jailhouse Rock di lunedì 10/11/2025

    "Jailhouse Rock", trasmissione di Radio Popolare e Popolare Network, esplora il legame tra musica e carcere. Ogni lunedì dalle 20.30 alle 21.30, a cura di Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, il programma include storie e suoni dal mondo delle prigioni, con la partecipazione di detenuti dei carceri di Rebibbia e Bollate che realizzano un Giornale Radio dal Carcere e cover di artisti. Scopri di più su http://www.jailhouserock.it/ e https://www.facebook.com/Jailhouse-Rock-451755678297925/

    Jailhouse Rock - 10-11-2025

  • PlayStop

    L'Orizzonte delle Venti di lunedì 10/11/2025

    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 10-11-2025

  • PlayStop

    Marcia indietro leghista: educazione sessuale alle medie solo se lo vogliono i genitori

    La Lega al Senato ha deciso di fare marcia indietro sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Dopo avere condiviso con Valditara la linea dura che prevede il no all’educazione nelle scuole medie e il sì alle superiori condizionato dal consenso dei genitori, ora la Lega dà il via libera alle lezioni anche alle medie, ma sempre subordinate al consenso dei genitori. Una giravolta dettata probabilmente dalla freddezza degli alleati ma ancor di più dall’opposizione che stava montando tra gli insegnanti. La proposta leghista in ogni caso non è la vera soluzione che sarebbe necessaria, perché in ogni caso tutto dipenderà dal sì dei genitori. Valeria Valente, ex presidente della commissione femminicidi, senatrice del Pd. L'intervista a Valeria Valente, ex presidente della commissione femminicidi e senatrice del Pd.

    Clip - 10-11-2025

  • PlayStop

    Esteri di lunedì 10/11/2025

    1) Al via la Cop30. A Belem, il presidente Lula ha aperto i negoziati sul clima. Parallelamente, è iniziato anche il controvertice dei popoli, che porta al centro le voci dei movimenti e delle comunità indigene. (Francesco Martone, presidente dell’assemblea dei giudici del Tribunale Internazionale dei Diritti della natura) 2) Trent’anni fa veniva ucciso Ken Saro Wiwa, l’attivista e poeta nigeriano ucciso per aver protestato contro le multinazionali dell’industria petrolifera e i loro danni ambientali. Il ricordo di esteri. 3) Un presidente siriano alla casa bianca. Per la prima volta nella storia del paese, il presidente Al Sharaa visita il presidente degli stati uniti in un incontro cruciale per il futuro della Siria. (Marco Magnano) 4) La BBC nell’occhio del ciclone. I vertici dell’emittente pubblica britannica si dimettono per uno scandalo sulla manipolazione delle notizie. (Elena Siniscalco) 5) India, esplosione a New Delhi all’esterno dello storico Red Fort. Almeno 8 persone uccise. La polizia indaga sull’accaduto. (Emanuele Valenti) 6) Francia, dopo 21 giorni di carcere Nicolas Sarkozy da oggi è in libertà vigilata. Si conclude così l’epopea che l’ex presidente aveva descritto come un martirio. (Francesco Giorgini) 7) Serie Tv. Pluribus, su AppleTv la nuova creazione dell’autore di Breaking Bad (Alice Cucchetti)

    Esteri - 10-11-2025

  • PlayStop

    L'Orizzonte di lunedì 10/11 18:35

    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

    L’Orizzonte - 10-11-2025

  • PlayStop

    Poveri ma belli di lunedì 10/11/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 10-11-2025

  • PlayStop

    Identità perdute e ritrovate: gli Oodal raccontano il nuovo album

    È uscito “Vivere Le Vite degli Altri”, secondo album della band toscana Oodal che oggi è passata a trovarci a Volume. Scritto in gran parte in un casolare di montagna, l’album si muove tra elettronica e dream pop, esplorando il tema dell’identità: “Parla di perderla, ritrovarla e non capirla”, racconta la band ai microfoni di Radio Popolare, e di vivere esperienze così in simbiosi che a volte ti sembra di aver vissuto anche la vita di qualcun altro. Ascolta il MiniLive degli Oodal.

    Clip - 10-11-2025

  • PlayStop

    Vieni con me di lunedì 10/11/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

    Vieni con me - 10-11-2025

  • PlayStop

    Volume di lunedì 10/11/2025

    Dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 16.00, Elisa Graci e Dario Grande vi accompagnano alla scoperta del suono di oggi: notizie, tendenze e storie di musica accompagnate dalle uscite discografiche più imperdibili, interviste con artisti affermati e nuove voci, mini live in studio e approfondimenti su cinema, serie TV e sottoculture emergenti. Il tutto a ritmo di giochi, curiosità e tanta interazione con il pubblico. Non fartelo raccontare, alza il Volume!

    Volume - 10-11-2025

  • PlayStop

    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata"

    Chiara Bersani a Triennale Teatro: "Michel Petrucciani mi ha ispirata" Artista associata di Triennale Teatro per il triennio 2025-27, la coreografa e performer Chiara Bersani arriva a Milano con il suo ultimo spettacolo, The Animals I Am. Il lavoro è una evoluzione di due precedenti lavori, in cui Bersani ripensava i codici del balletto classico a partire da un corpo divergente, come il suo, a causa dell’osteogenesi imperfetta. Il nuovo progetto porta in scena tre performer con disabilità, per sfatare il concetto dell'artista disabile come "eccezione", con uno statement essenzialmente politico. Bersani si è ispirata al celebre pianista jazz Michel Petrucciani, che aveva la sua stessa condizione genetica, a sua volta audace nel suo modo di esprimere arte attraverso il proprio corpo. L'intervista di Ira Rubini.

    Clip - 10-11-2025

  • PlayStop

    Musica leggerissima di lunedì 10/11/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

    Musica leggerissima - 10-11-2025

Adesso in diretta