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Il tè nel deserto

William Hurt

Avrebbe compiuto settantadue anni il 20 marzo, quasi a primavera. William Hurt, attore, nato a Washington nel 1950 è morto a Portland nel 2022, per cause naturali ha dichiarato il figlio Will, mentre il figlio Alexander ha parlato di lunga malattia, probabilmente un cancro alla proposta, come riportato dal New York Times. La sua carriera cinematografica è ricchissima di personaggi diversi e sfaccettati, anche a teatro, a partire dal suo debutto nel 1980 con “Stati di Allucinazione” di Ken Russell e l’anno successivo con “Brivido Caldo” di Lawrence Kasdan: riesce a passare da uno scienziato allucinato a un amante perduto in una storia impossibile e omicida con Kathleen Turner, remake di “La fiamma del peccato” di Billy Wilder.
Ma il successo vero arriva con “Il grande freddo”, film corale, specchio di una generazione e presa di coscienza di un passaggio della vita a volte traumatico. Diretto ancora una volta da Lawrence Kasdan e con una colonna sonora impossibile da dimenticare. Con “Il bacio della donna ragno” nel 1985 arriva l’Oscar. Nel film di Hector Babenco, tratto dal romanzo di Manuel Puig, Hurt è un omosessuale, incarcerato, durante la dittatura militare in Argentina, per aver avuto un rapporto sessuale con un minore. Palma d’oro anche a Cannes come miglior attore. E qui siamo solo agli inizi, a cui seguiranno grandi e celebri interpretazioni: “Figli di un Dio minore” di Randa Haines, “Turista per caso” di Kasdan, “Alice” di Woody Allen, “Fino alla fine del mondo” di Wim Wenders, “La peste” di Luis Puenzo. E la lista è ancora lunghissima, con film diretti da Steven Spielberg, David Cronenberg, Ridley Scott, Sean Penn, Robert De Niro. Negli ultimi anni William Hurt non era scomparso, ma lo abbiamo ritrovato in film amati dalle nuove generazioni: la saga degli “Avengers” e l’ultimo “Black Widow” nel 2021.

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

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Sbilanciamoci

La guerra di carta

C’è chi, quando arriva la guerra (vera), si diletta nella sua attività preferita, la guerra di carta. Ad arruolarsi sono (alcuni) intellettuali, giornalisti, opinionisti che usando giornali e trasmissioni TV- si prodigano nell’assalto del dileggio sdegnato e dello scherno moralistico: dei pacifisti. Spesso non possono fare altro che scrivere e parlare perché la guerra la fanno per procura (armiamoci e partite), mentre la popolazione civile viene sterminata dalla logica infernale delle armi e della sopraffazione militare.

E’ quello che succede anche con la guerra in Ucraina.

Per il solo fatto di avere detto che è sbagliato inviare le armi In Ucraina e che questo prolunga la guerra i pacifisti, additati ormai nelle liste di proscrizione televisive, sono considerati, nell’ordine: complici, cinici, ipocriti e interessati più che dalle sorti della povera popolazioni dalle bollette del gas. Per dirla con Benito Mussolini: panciafichisti.

Uno che in questi ultimi giorni si è scatenato, con un certo assillo, contro i pacifisti dalle colonne del Corriere della Sera, dalla trasmissione TV Piazza Pulita e dall’Huffington Post è Paolo Mieli. Strano però che l’ex direttore del Corriere della Sera si sia dimenticando di prendersela con il cinismo di Israele, che non intende imporre sanzioni economiche alla Russia. Strano che non se la sia presa con il cinismo del governo italiano che continua a mandare soldi a Mosca comprandogli il gas. Strano che non se la sia presa con il cinismo delle oltre 400 imprese italiane che continuano a fare affari con la Russia e hanno i loro manager ancora oggi a Mosca. I principi morali qui si inchinano alla realpolitik.

Ai pacifisti si rimprovera l’incoerenza e gli si ricorda i precedenti del Vietnam e della guerra di Spagna: non gli avreste mandato le armi, non dovevamo mandargliele, e non dobbiamo allora fare lo stesso con l’Ucraina ? Mieli, nella versione di storico pur non accademico, dovrebbe sapere che i pacifisti (pur sostenendoli con passione) non chiesero mai di mandare le armi né al Vietnam del Nord né ai palestinesi oppressi dal governo di Israele. Ha ricordato anni fa Aldo Natoli che quando incontrò, con una delegazione del PCI, i rappresentanti del Vietnam del nord questi gli dissero: “non ci servono armi, ma che intensifichiate le manifestazioni per la pace”. E’ quello che i pacifisti hanno sempre fatto. Erano cinici e ipocriti? E, riguardo alla guerra di Spagna, va ricordato che il Servizio civile internazionale (organizzazione pacifista nata nel 1920, di cui ho fatto parte) che sostenne la resistenza repubblicana non organizzò l’invio delle armi, ma affiancò i combattenti con attività civili come l’organizzazione dei campi per i rifugiati e l’aiuto alle vittime. E anche durante la guerra, Aldo Capitini (e Lidia Menapace e molti altri) -licenziato da Segretario generale della Normale di Pisa perché rifiutò la tessera del partito fascista- partecipò alle Resistenza in modo nonviolento, senza imbracciare un’arma, senza chiedere armi. Erano anche loro cinici e ipocriti verso la causa antifascista?

C’è chi passando dalla gioventù alla maturità è trasmigrato dagli eserciti proletari a quelli della NATO, dalla lotta armata di classe a quella dell’occidente, dal potere operaio al potere delle armi, ma se si vuole difendere e salvare la popolazione ucraina gli eserciti e la lotta armata vanno fermate: la guerra non sarà sconfitta da un’altra guerra, la popolazione ucraina non sarà salvata trasformando l’Ucraina in un nuovo Afghanistan, l’Europa non si stabilizzerà portando la NATO sotto le porte di Mosca.

Che sia cinismo quello di chi dice di non inviare le armi, perché -secondo i nostri fustigatori- così si costringerebbe gli ucraini della resa, è tutto da vedere. E’ sicuramente cinismo invece quello di chi vuole inviargli le armi perché -per salvare la propria coscienza- espone gli ucraini ad un massacro in una guerra che non può mai essere vinta. Si vuole fare la guerra a Putin o salvare la popolazione ucraina? Non bisogna concentrarsi sulle armi, ma sulla strada del negoziato.

Putin non la vincerà questa guerra, come non l’hanno vinta gli americani in Afghanistan e in Iraq (c’è forse pace in Medio Oriente?) o gli occidentali in Libia. Le guerre si sono dimostrate in questi anni fallimentari, quelle della NATO; e così sarà per quella di Putin. Il nostro interesse è salvare la popolazione ucraina con l’unico modo possibile: un cessate il fuoco che preluda ad un vero negoziato che porti ad una soluzione condivisa. Tutto il resto – dalla chiamata alle armi alle mobilitazioni degli eserciti – non è altro che un modo retorico e ipocrita per portare avanti la propria guerra di carta, ma più concretamente un modo pericolosissimo per avvalorare l’allargamento della guerra e porre le condizioni di esiti drammatici.

  • Giulio Marcon

    Portavoce della campagna Sbilanciamoci!, è stato negli anni '90 portavoce dell'Associazione per la pace e Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. È stato deputato indipendente di SEL nella XVII legislatura, facendo parte della Commissione Bilancio. Tra i suoi libri: (con Giuliano Battiston), La sinistra che verrà (minimum fax 2018) e (con Mario Pianta), Sbilanciamo l'economia (Laterza 2013)

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Appunti sulla mondialità

Le catene del metano che ci legano a Mosca

Stati Uniti e Regno Unito hanno deciso di sospendere gli acquisti di greggio russo come sanzione ulteriore nei confronti del governo di Mosca. Sanno che in questo modo colpiscono al cuore l’economia post-sovietica che dipende – come quella di un qualsiasi Paese in via di sviluppo – pressoché solo dalle commodities. Quando si parla di energia da fonte fossile su scala globale, però, non si può fare a meno della Russia. Seconda o terza al mondo per produzione di petrolio, secondo l’annata, dopo gli Stati Uniti e in un continuo testa a testa con l’Arabia Saudita, la Russia è però al primo posto tra i Paesi esportatori. Se tutte le esportazioni russe di petrolio venissero interrotte, il totale dei prodotti raffinati subirebbe un taglio del 10%. Restringendo lo sguardo all’Europa, scopriamo che il 60% del greggio esportato da Mosca è venduto a noi. Quasi lo stesso copione per il gas: la Russia è il secondo produttore al mondo (dopo gli Stati Uniti), e il 70% del suo export è diretto in Europa occidentale. Tra le grandi economie, quelle più dipendenti sono Germania e Italia, mentre Francia e Regno Unito non corrono grandi rischi. Men che meno gli Stati Uniti, che stanno già correndo ai ripari promettendo al Venezuela di Nicolás Maduro di dimenticare il passato in nome di un new deal energetico. L’embargo contro le vendite di fonti energetiche fossili da parte della Russia creerebbe dunque un grande scompenso a livello globale, e in modo particolare per l’Europa. Nell’immediato, non si riuscirebbe a colmare il vuoto facendo rientrare in famiglia il Venezuela né ricorrendo al gas liquefatto qatarino, da rigassificare.

La questione è che l’Europa, in questi decenni, ha sì costruito solidi legami commerciali ed economici con la Russia, ma mai legami politici, e ora ne paga il prezzo. Il blocco dell’import di gas naturale in Europa avrebbe senza dubbio l’effetto di raffreddare le ipotesi di ripresa economica e alimenterebbe processi inflazionari a livelli che non si vedono da molto tempo. Finora le sanzioni applicate alle banche russe hanno risparmiato quella di Gazprom, perché se non si potesse pagare il gas il rubinetto russo si chiuderebbe: e per questo Germania e Italia, come visto i due Paesi più dipendenti da Mosca, premono perché l’UE non si pieghi alla linea degli Stati Uniti. La situazione è paradossale e racconta meglio di mille analisi che cos’è l’odierno mondo globale e quanto siano profondi i legami di interdipendenza economica creati negli ultimi decenni. Ma Paesi che convivono sullo stesso continente, e che hanno saldi rapporti commerciali, restano antagonisti geopolitici. Entrambi con le mani legate per paura di perdere il fornitore oppure il cliente.

È la polpetta avvelenata che ci hanno regalato da un lato la globalizzazione, dall’altra le ritrosie e i ritardi nell’uscita dalle energie fossili. Il grido d’allarme lanciato da Greta Thunberg e dalla sua generazione perché i “grandi” si occupassero finalmente del cambiamento climatico e della transizione energetica ora viene amplificato dalla crisi ucraina, perché energie rinnovabili non vuol dire solo aria pulita, ma anche maggiore indipendenza energetica e geopolitica. Due dimensioni che mancano all’Europa e che ora gli europei vorrebbero conquistare alla spicciolata. Ma manca il tempo: sostituire totalmente il fornitore russo potrebbe significare, a essere ottimisti, due o tre anni di privazioni, inflazione, rincaro di tutti i beni di prima necessità. Ciò che è stato costruito nei passati 40 anni non può essere smontato in due mesi. Questo è il bello e il brutto della globalizzazione: siamo tutti sulla stessa barca, nel bene e nel male. Ed è questa una lezione ancora più dura di quella del Covid per un’Europa che, se continuerà a muoversi in ordine sparso, sarà sempre più al traino di fattori che non può, o non vuole, governare.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Perdono e seminatori di pace contro la guerra

Se vogliamo la pace chiediamo perdono. Gli Stati non possono farlo, le persone sì: singoli, gruppi, enti culturali, centri spirituali. Riconoscendo i nostri errori rendiamo ancor più evidenti i crimini di guerra e spargiamo semi di pace nei cuori; cambiando noi diventiamo germi di trasformazione. Non basta bandire gli assassini dei missili sui civili; criticare chi vota sanzioni ma non ferma i massacri e provoca ricadute dannose anche a sé per scelte insensate (o interessate?) di fonti energetiche e fornitori; sentirsi frustrati dalla diplomazia che forse ottiene un cessate il fuoco: la pace non è solo stop alle armi; l’ascia sotterrata è lì per la guerra ventura.

Dà vertigini il pensare di cambiar mentalità, convertire i cuori, rinunciare a simmetrie, rivalse: “ha cominciato lui”. Sogni e utopie salvano la vita: dan senso, orizzonti. È l’ora di umanità, cultura, religione, arte, umiltà. Chiedendo perdono per le nostre insipienze si motiva il ritorno alla politica, si limano le unghie insanguinate di Putin, si cambia rotta dopo 30 anni di errori, si evitano equivoci tipo né con Putin né con la Nato. Alla caduta del Muro di Berlino abbiam creduto che a Est ambissero solo a Coca Cola e Mc Donald’s (che fuggono da Mosca ora), che all’implosione dell’Urss la risposta delle nostre democrazie fosse il dio mercato (di chi ha già potere e genera sosia: vedi oligarchi), i brand, gli stili di vita. Non abbiamo condiviso l’elaborazione di un lutto: dei russi dopo 70 anni di comunismo e di chi tra noi col socialismo aveva creduto di sanare ingiustizie e promesse mancate delle democrazie liberali.

Han da chiedere scusa i cristiani: dopo l’ecumenismo di Martini ed Aleksij, l’eurocentrismo di Roma e Chiese protestanti ha condisceso all’isolamento ortodosso (come stupirsi che Kirill supporti Putin, soffochi il dissenso di preti e fedeli, dia visioni distorte dei diritti in Occidente). Con gli aiuti siam bravi: prossimità inconscia (le mai morte radici dell’Europa!) e sensi di colpa ci salvano. Esser vigili per sventare miopie o trasformismi (Salvini). All’invasore russo a Kiev una donna ha detto: «Metti in tasca semi di girasole così quando muori almeno cresce qualcosa». Quanti semi ciascuno potrebbe spargere sin d’ora.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Ospedale di Mariupol, le donne in ‘dolce’ attesa

Mentre come ogni giorno da quando è cominciata, leggi, vedi e senti della guerra, tra giornali, siti,  tv, podcast e social ecco una frase: ‘tra le donne in dolce attesa dell’ospedale di Mariupol’. L’ospedale bombardato dai russi, il reparto maternità sventrato, 3 morti, tra cui un bambino, molti  feriti è il bilancio chissà quanto provvisorio del giorno dopo. E tra loro c’erano, in quelle stanze distrutte, le donne ‘in dolce attesa’.

Quella penna che ha scritto per conto suo – sappiamo come ogni tanto, se non si è attenti, se si ha fretta, se si è un po’ sciatti, parta il pilota automatico della frase fatta –  colpisce dove fa male, nel punto dell’immedesimazione e proprio per l’inconsapevolezza di ciò che trasmette. L’ho vista quella donna ‘in dolce attesa’ portata via in barella, in una scena di macerie, un lato del suo corpo insanguinato, una mano a proteggere il ventre, nel gesto più comune ed ‘eterno’ della gravidanza.

Le giornaliste più attente ci ricordano che Mariupol non è purtroppo, nella storia delle guerre, il primo ospedale pediatrico bombardato: era successo nello Yemen, come in Siria, e chissà in quali altri conflitti meno visibili, colpevolmente meno visti. Vero, ma ciò non toglie, semmai aggiunge. E riporta, questa scena e quelle che non abbiamo voluto in passato guardare, alla propria esperienza, alla propria attesa, all’intenso bisogno provato di concentrarsi  sulla soglia che si sta per attraversare.
Altro che dolce attesa o simili zuccherose espressioni, anche in pace, dunque: le donne sanno quanto sia uno stereotipo, quanto non si dia mai un’attesa interamente dolce perché quel cammino mescola sogni e fantasmi, speranze e paure. E a Mariupol oggi, poi. Continuare a proteggere, credere nella propria capacità di farlo richiede a quella donna e alle altre una forza per la quale ogni aggettivo appare inadeguato.  Perché  siamo davanti agli estremi, da un lato la responsabilità e la cura dell’attesa e, dall’altro, la distruzione bellica non solo della vita, ma persino della sua possibilità.

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    In compagnia di Niccolò Vecchia telefoniamo ad Alessio Lega per ricordare, nel giorno della sua scomparsa, Fausto Amodei, un vero simbolo della canzone politica d’autore italiana. Segue mini live in studio con il giovane jazzista Francesco Cavestri in vista del suo concerto al Blue Note di martedì prossimo. Nella seconda parte siamo in compagnia di Piergiorgio Pardo, nostro ospite fisso per la rubrica LGBT, con cui parliamo del film “I segreti di Brokeback Mountain” e alcuni eventi del weekend. Concludiamo con una telefonata a Marina Catucci da New York, per commentare l’improvvisa sospensione dello show di Jimmy Kimmel dalla rete Abc, a seguito di una frase “scomoda” su Charlie Kirk detta dal conduttore in trasmissione.

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    Il drammaturgo Christopher Adams vince il Premio Annoni sfidando gli stereotipi della mascolinità

    Venison è il testo teatrale che si è aggiudicato il Premio Annoni per la Drammaturgia LGBTQ+ 2025 nella sezione in lingua inglese. Il suo autore, il drammaturgo angloamericano Christopher Adams, porta sulla scena una storia d'amore queer fra due giovani uomini, le cui vicissitudini professionali finiscono per scatenare dinamiche di competizione e predominio, tipiche di una mascolinità stereotipata. Il testo li consegna a una specie di resa dei conti nel cuore di una foresta, vicino a un capanno da caccia. Lo abbiamo intervistato mentre, a Londra, era appena uscito da un corso di tip tap. L'intervista di Ira Rubini.

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    Musica leggerissima di giovedì 18/09/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Considera l’armadillo di giovedì 18/09/2025

    Ritorna la rubrica mensile con Stefania Ferroni e Riccardo Vittorietti di @Officina del Planetario di Milano sul cielo e gli animali. A cura di Cecilia Di Lieto.

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    Cult di giovedì 18/09/2025

    Oggi a Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare: Saul Beretta sui prossimi appuntamenti di La città che sale; Fondazione Feltrinelli organizza in tre quartieri di Milano e a Pavia la due giorni "L'isola che non c'è" dedicata ai giovanissimi; il drammaturgo angloamericano Christopher Adams ha vinto il Premio Annoni per la DRammaturgia LGBTQ+ 2025 per la sezione in inglese con il testo "Venison"; la rubrica di classica e lirica di Giovanni Chiodi...

    Cult - 18-09-2025

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    Pubblica di giovedì 18/09/2025

    Stati Uniti, la politica della guerra civile. Perchè l'assassinio di Charlie Kirk è una svolta in questa guerra civile? Le identità politiche della vittima e del suo assassino. Kirk era un "political performer". Tyler Robinson appartiene al mondo dei gamer online. Benvenuti "nel nuovo mondo", ha scritto l'ospite di Pubblica Mattia Diletti, sociologo politico, studioso della politica americana, autore di «Divisi. Politica, società e conflitti nell’America del XXI secolo», pubblicato da Treccani.

    Pubblica - 18-09-2025

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    A come Africa di giovedì 18/09/2025

    A cura di Sara Milanese. Puntata dedicata alla guerra in corso in #Sudan e alla situazione umanitaria; con #IrenePanozzo facciamo una fotografia del conflitto sul campo e degli interessi regionali; con #ClaudiaPagani di #Emergency raccontiamo la situazione a #Khartoum.

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 18-09-2025

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    Come voleva Silvio, la separazione delle carriere è (quasi) legge

    Il Senato approva in seconda lettura la riforma della giustizia della destra. Per Meloni serve a "liberare la magistratura da quella degenerazione correntizia", mentre Antonio Tajani parla di "battaglia storica fatta non per Berlusconi, che ci guarda da lassù, ma per ogni cittadino italiano". In primavera il referendum confermativo della riforma. I magistrati si preparano a mobilitarsi per il “no”. Per le opposizioni lo scopo finale della riforma è mettere la magistratura inquirente sotto il controllo politico del governo. Sul modello Trump. Ai nostri microfoni il Vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati, Marcello De Chiara: “Questa riforma cambierà l'assetto costituzionale del nostro Paese di fatto introducendo un quarto potere". Lo scopo finale della riforma non è togliere potere ai PM ma metterlo sotto il controllo politico per farlo diventare strumento delle politiche del governo. Come già fa Trump negli USA. L’intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

    Clip - 18-09-2025

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    CARLO ROVELLI - IL VOLO DI FRANCESCA

    CARLO ROVELLI - IL VOLO DI FRANCESCA - presentato da Ira Rubini

    Note dell’autore - 18-09-2025

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    Tutto scorre di giovedì 18/09/2025

    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 18-09-2025

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di giovedì 18/09/2025

    Separazione delle carriere in approvazione in seconda lettura oggi in Parlamento, la maggioranza porta a compimento la riforma della giustizia che voleva Berlusconi e l’Anm si prepara al referendum per dire "no" come ci racconta Marcello De Chiara vicepresidente dell'Associazione nazionale magistrati. il 21 settembre è giornata internazionale della pace e Filomena Grasso presidente degli scout Cngei ci presenta il progetto "La pace non si scioglie" che consegnerà 21 nodi ad altrettante ambasciate. Francesco Giorgini ci racconta la giornata di sciopero generale in Francia con manifestazioni e proteste un avviso al governo che non c'è.

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