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Mia cara Olympe

Aborto: per le Anne americane, dopo lo schiaffo della Corte suprema

Quando, di recente, ho visto ‘La scelta di Anne’, titolo italiano dell’adattamento cinematografico di Audrey Diwan di quel libro importante di Annie Ernaux che è ‘L’evenement’,  sono stata colta da un pensiero inatteso e, anche a distanza di decenni, disturbante. Ernaux racconta, ed è la sua storia, di Anne che nel 1963 resta incinta in una Francia in cui l’aborto è ancora illegale. È una gravidanza non voluta, lei vuole continuare i suoi studi appassionati che già le sono costati fatica e incomprensioni familiari. Il racconto è duro, violento, senza sconti per nessuno: è un aborto clandestino, è dolore, solitudine, paura, sangue, lacerazione. È la sensazione di essere  ostaggio di una storia che non vuoi sia la tua.

L’aborto è una grande questione pubblica, riguarda la libertà, la democrazia, il cammino dei diritti, l’autodeterminazione, l’eterna contesa che si gioca sul corpo delle donne. Rimanda a tutto questo la sentenza di ieri della Corte suprema americana a maggioranza repubblicana ‘grazie’ a Trump, purtroppo una decisione annunciata.

Cancellando la storica pronuncia Roe vs Wade i giudici hanno dato  il via libera alla cancellazione o alla restrizione, a livello dei singoli stati alcuni dei quali hanno già provveduto, del diritto di aborto. Una questione pubblica – e lo abbiamo detto mille e mille volte – e una grande questione politica in un paese lacerato dal trumpismo: che America si va disegnando, quali sono gli altri passaggi verso un possibile, ancora più oscuro Medioevo conservatore, quanto pesa la reazione dell’altra America che abbiamo immediatamente visto riempire le piazze, ed erano le donne ma non solo. E poi le elezioni di mid term, come ci arriveranno i democratici eccetera eccetera.

Tutto vero, tutto straordinariamente importante, cause e conseguenze. Ma il primo pensiero, il mio primo pensiero è stato per le Anne americane dell’anno 2022: per l’intimo di quelle donne, per il loro corpo ancora ostaggio, come l’Anne di Ernaux, sessant’anni dopo.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Amleto bicefalo: giocare la vita. Non morire d’impotenze e d’estremismi

Il disegno di Claudio Bernardi è la copertina di Comunicazioni Sociali rivista della Cattolica. L’alternativa di Amleto si aggiorna rispetto ai poli dell’«essere o non essere»; sprona a inventare esiti imprevisti. Il dubbio oscilla tra il non fare nulla («morire») e il «recitare»; ovvero «giocare»: in inglese to play significa anche il “come se” del gioco: immaginazione, creatività, fantasia. Il gioco è cosa seria. Ha regole, finalità specifiche inserite in una visione etica generale. «L’uomo è completamente uomo solo quando gioca», scriveva Schiller. Ma già nella Bibbia è detto che Dio ha creato il mondo “giocando” con la Sapienza. «To die», “morire” è non buttarsi, non cambiare sé e i propri punti di vista impedendosi di mutare il mondo quasi che ingiustizie e storture fossero ineluttabili; è credere che ideali e valori di umanità siano optional non condizioni di vita degna d’essere vissuta. Svegliamoci, se infuriano guerra, carestia, crisi climatica e magari si rischia di scambiare l’autoaffondamento dell’incrociatore grillino “Vaffa” per alta politica.

«To play» è “mettersi in gioco”: rivedere certezze; lasciare strategie difensive, di autoconservazione; sapere che pezzi di noi devono esser fatti morire perché altri, migliori, crescano. L’Amleto bicefalo è il doppio dell’umano, realtà individuale e collettiva. Unico il corpo, due le teste. Siamo noi. La nostra psiche sceglie di abdicare al proprio essere persona, avere responsabilità e sogni. O decide di “giocarsi”, gestire opposti e tensioni senza farsi travolgere (esempio: lavorare per la pace e insieme aiutare Kiev aggredita). La testa a sinistra guarda al mondo: esteriorità, potere, annientamento di altri (viene in mente Chaplin in Tempi moderni, caricatura di ogni Hitler); la testa destra guarda al teschio (iconografia classica del dubbio amletico), che nell’oggetto di morte simboleggia vita, rinascita, trasformazione. C’è un’edicola al Fopponino (chiesa della peste manzoniana), una scritta sopra un teschio ammonisce: «Quel che sarete voi noi siamo adesso / chi si scorda di noi scorda se stesso». La memoria tiene insieme gli opposti e genera futuro.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

A Patrizia Cavalli, con gratitudine

Frequento Patrizia Cavalli dai primi anni ’80. La frequento con assiduità di seguace e non l’ho mai conosciuta: la volta che tentai, per andare a trovarla, la carta dell’intervista  – poi, certo, l’avrei scritta – mi rispose in una telefonata gentilissima che no, non se ne parlava proprio ed io non ebbi cuore di insistere e cercai di tenere a bada la mia straripante e desiderosa ammirazione.

Ieri la sua ‘luminosa scomparsa’ e mia figlia mi ha subito avvertito come ci si avverte di una perdita vicina. E succede qualcosa da quel momento, un rincorrersi di versi, di pensieri, commenti  in un rimbalzo tra i social, i media, le radio che mi sembra diverso dal consueto – anche commosso –  cordoglio in morte di qualcuno o qualcuna che abbia dalla sua fama o pubblico riconoscimento. È il coro della gratitudine, viene da dire. E mi sembra insolito e bello che sia così alto e forte, singolare e collettivo, per una poeta.

Forse lo so perché accade: in quante e quanti – ma soprattutto le donne –  abbiamo preso ieri dallo scaffale un suo libro e abbiamo letto e riletto ciò che a ciascuna ‘specialmente’ risuona.  Come fosse stato scritto per te, per la tua ferita, per il sentire del tuo corpo, per quel pomeriggio, per quell’amore e la sua prigione, per quel cielo – titolo di una sua raccolta – che trasportava nuvole e apriva squarci di una consapevolezza o di uno sperdimento.

In due delle sue raccolte che posseggo  –  ‘Le mie poesie non cambieranno il mondo’ e ‘Il cielo’ –  ci sono piccoli post it azzurri: so esattamente quando, come e perché  proprio quei versi –  piani, ironici, rivelatori e insieme sorprendenti – e mi ricordano a me stessa nello scorrere del tempo e delle storie. Questo credo stia accadendo a tanti: non avranno cambiato il mondo le sue parole, ma hanno fatto, in molte vite, differenza.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La nave di Penelope

Pandemia e maturità, un ritorno alla semi-normalità?

Tornano gli scritti alla maturità. Dopo la solita altalena a cui ci ha abituati la pandemia si tornerà a vedere le penne che scorrono frenetiche sui fogli protocollo, mani che sfogliano nervose i dizionari e dita che saltellano sui tasti delle calcolatrici.

Il colpo di scena è arrivato qualche mese fa, tra docenti esasperati e studenti disperati. Un ritorno alla semi-normalità dopo la Dad che ha gettato nello sconforto dei ragazzi inconsapevoli di dover affrontare, come ormai non si fa da tre anni, la materia d’indirizzo. “Non sono pronti a tradurre, speriamo che ci sia margine per fargli fare un’analisi”, dicevano alcuni professori di lettere del liceo classico appena arrivato l’annuncio. “Va peggio ai ragazzi dello scientifico”, commentava qualche studente di scienze umane.

Alla fine, come sempre si fa in questi casi, dopo qualche giorno di lamentele, pianti e ansia, ci si è messi sotto.

Poi c’è stata la polemica “mascherina sì, mascherina no”. Navi intere cariche di parole vuote. “Niente maturità con le mascherine”, non si stancano di ripetere alcuni del mondo della scuola e non. Non si fanno attendere le risposte preoccupate dei virologi. Poi di nuovo politici che cavalcano la donchisciottesca battaglia del “facciamo fare gli esami senza la mascherina”, come se fosse di fondamentale importanza per i ragazzi negli ultimi tre giorni che si passano dentro le aule, dopo due anni a rispettare distanze tra le rime bucali, banchi a rotelle, gel igienizzante, scaglionamenti, mascherine chirurgiche e Ffp2.

E poi il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, trova la risposta tautologica: per gli scritti mascherina obbligatoria, agli orali “decidano i presidenti di commissione se ci saranno le condizioni per abbassarla”. E da lì la rivolta dei presidi: “Non possiamo decidere noi”. Del resto, come dargli torto, lo scaricabarile sembra lo sport nazionale pandemico. Alla fine il governo ha deciso: niente obblighi, mascherina solo raccomandata. E così il circo folkloristico di polemiche, cambi di direzione, botta e risposta, che più del Sars-Cov-2 si è attaccato al mondo della scuola durante gli anni della pandemia, non poteva mancare anche in questa occasione.

Ma, anche in mezzo a tutto questo, il gran giorno è arrivato, oggi inizia la maturità. Nonostante per il resto dell’anno sembrano essere sempre in secondo piano, i protagonisti, almeno per qualche giorno, restino i ragazzi. In bocca al lupo a tutti!

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Appunti sulla mondialità

La storica vittoria delle sinistre colombiane

Domenica 19 giugno 2022 è entrata nella storia della Colombia e del Sud America. La roccaforte dei conservatori, la portaerei degli Stati Uniti, il paese della guerra civile infinita, per la prima volta nella sua storia avrà un presidente di sinistra. Gustavo Petro e Francia Márquez hanno ottenuto 11.280.000 voti, 700.000 voti in più del rivale Rodolfo Hernández, l’ingegnere praticamente sconosciuto e dal programma ambiguo che era entrato a sorpresa al secondo turno superando il candidato delle destre storiche colombiane. Destre che sono state compensate in parte con l’aumento dell’affluenza che chiaramente ha favorito il candidato della sinistra. Il Pacto Histórico guidato da Gustavo Petro, formato da oltre 15 sigle, fa parte di quella nuova sinistra fortemente ambientalista e femminista che aveva già vinto in Cile con Gabriel Boric. Con solide radici nelle lotte per la difesa della terra e dei popoli indigeni e contro la corruzione e il narcotraffico. E’ la sinistra dei movimenti di base e contadini che in Colombia è stata sempre schiacciata dalla guerra civile tra l’esercito e le varie guerriglie pagando un prezzo altissimo in vite umane. Una sinistra che ha saputo conquistare lentamente la fiducia dei colombiani governando bene le città, soprattutto la capitale Bogotà, oggi una delle città più vivibili del continente.  Con Gustavo Petro si rinforza una nuova geografia politica del continente che vede i principali paesi governati da forze genericamente progressisti, in attesa della sfida di ottobre in Brasile dove si potrebbe chiudere il cerchio.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    “La sacca del diavolo. Settimanale radiodiffuso di musica, musica acustica, musica etnica, musica tradizionale popolare, di cultura popolare, dai paesi e dai popoli del mondo, prodotto e condotto in studio dal vostro bacicin…” Comincia così, praticamente da quando esiste Radio Popolare, la trasmissione di Giancarlo Nostrini. Ascoltare per credere. Ogni domenica dalle 21.30 alle 22.30.

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    Sudedoss è il programma di infotainment che ogni domenica sera dalle 19.45 alle 21.30 accompagna le ascoltatrici e gli ascoltatori di Radio Popolare con leggerezza, ironia e uno sguardo semiserio sull’attualità. Conducono Matteo Villaci e Gaia Grassi, tra chiacchiere, musica, racconti e condivisione. Un momento per fare il punto sul weekend che sta per finire e prepararsi, insieme, alla settimana in arrivo, creando uno spazio di ascolto e partecipazione. Perché la domenica sera… ci dovete mollare.

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