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Mia cara Olympe

La piccola Elena, sua madre Martina e il nostro giudizio

Il pozzo. Il pozzo in cui, una volta o tante, ogni donna finisce per cadere. Natalia Ginzburg lo ha raccontato benissimo e la sua voce risuona per tutte: “Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con il lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi”.

Ho pensato al pozzo evocato da Ginzburg e a quanto profondamente ci deve essere entrata e in quali insondabili oscurità si deve essere ritrovata Martina Patti per arrivare a uccidere la piccola Elena, sua figlia, fare a pezzi quel povero corpicino e seppellirlo in un campo per poi simulare un improbabile rapimento e, infine, confessare ciò che aveva compiuto. Ho pensato al pozzo e, in parallelo, alle immagini che accompagnano ogni nascita e che illudono le donne – così vuole il mondo intorno ed è una richiesta pesante e pressante – che diventare madri sia la cosa più naturale e immediata del mondo, solo gioia, stupore, capacità di proteggere e accudire e infinito amore. E invece ognuna sa di non avere percorso un sentiero dolce e fiorito, ma di avere attraversato un labirinto di emozioni in cui c’è stato posto anche per il buio, la paura, l’inadeguatezza. E se si è diventate poi madri sufficientemente buone, come dice Winnicott, è perché si avevano a disposizione risorse e capacità personali, e non tutte le hanno in pari misura, ma anche un contesto, il padre innanzitutto e via via allargando il cerchio e non solo alla famiglia, che ha saputo esserci, sostenere, rassicurare, in qualche momento sostituire e alleviare.

So nulla, se non quel che ho letto sui giornali, della giovane vita di Martina Patti, 23 anni, madre ad appena 17, la relazione con il padre già saltata per aria, una vita in un paese alle falde dell’Etna, una laurea in Scienze motorie all’università di Messina che doveva essere il prologo per poi studiare da infermiera: c’è chi la dice gelosissima della nuova compagna di lui e dell’affetto che la bimba le mostrava, chi ricorda – il ramo paterno – che la piccola Elena prendeva più d’uno schiaffo e addebita al desiderio di vendetta sull’ex compagno l’omicidio della figlia.

Non sappiamo, ogni spiegazione appare povera, forse non sa lei: ‘Non ero in me’ ha detto agli inquirenti. Delle tante cose lette, delle tante pensate – la prima è che la maternità va socialmente e fortemente sostenuta  –  la più giusta mi è sembrata quella detta da un’altra donna, una vicina di casa di Martina Patti. Ha detto con la semplicità di una credente: “Ora è la mamma ad avere bisogno di preghiere” ed era un modo per dire che si fa presto a condannare – noi, non la giustizia che evidentemente dovrà fare il proprio mestiere –  e che è la scorciatoia più sbagliata, quella per non vedere l’urgenza di non lasciare sole le madri e tutelare i bambini.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Periferie, la Milano del “facite ammuina”; e “dal letame nascono i fior”

C’è voluto un week end di violenze nelle case popolari di via Bolla per confermare che esistono tre Milano: 1ᵃ, delle periferie (un mix di gente per bene, con l’imperdonabile difetto: la povertà; immigrati; rom; malavita organizzata); 2ᵃ, dei valori immobiliari che crescono del 10 per cento a trimestre e degli eventi da vetrina mondiale (in contemporanea a via Bolla il Salone del mobile); 3ᵃ, del facite ammuinna: politica e istituzioni fan confusione (al modo del detto napoletano) senza assumersi responsabilità in proprio né di sistema. Le periferie diventano problema di ordine pubblico se troppi non fanno il loro dovere in socialità (casa, servizi alla persona, tutela minori, anziani, disabili); cultura (centri, aggregazione giovanile, scuola); servizi pubblici (trasporti, verde, presidi istituzionali).

A livello nazionale s’è persa la sensibilità per una politica della casa: il futuro delle famiglie (pagano elettoralmente i bonus). Le autonomie completano il disastro: ingaggiano competizioni Comune/Regione; sgomitano per mettere la bandierina se qualcosa va bene o per scaricare sull’incapacità dell’altro schieramento le colpe delle inefficienze: mai autocritiche. Gli uffici statali decentrati a loro volta: o si attengono al minimo sindacale (forze dell’ordine per emergenze); o non monitorano lo status delle persone incrociando i dati (piaga delle periferie: reddito di cittadinanza e lavoro nero, guerra dei poveri di chi pensionato o a basso reddito è escluso da benefici).

Non aiuta la coscienza collettiva l’informazione, che, stretta tra social (loro dan le notizie in diretta) e un’editoria sempre meno attenta al territorio, ha di fatto abdicato al ruolo di sentinella per anni svolto con memorabili inchieste sulle periferie. Per non deprimerci guardiamo a Terzo Settore, volontari, iniziative religiose (Caritas, San Vincenzo e altre). Di più: osiamo il paradosso; se periferie fossero le isole del centro e il nuovo stesse nelle marginalità (“gli scarti” del papa) che son caos non avendo trovato ancora come esprimere le potenzialità contenute nei disagi né son state ascoltate nelle pluralità delle istanze? De André ha cantato: «Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Pandemia e voto in America Latina

Il voto al primo turno nelle elezioni presidenziali colombiane conferma l’esistenza di un’ondata punitiva nei confronti delle forze politiche che hanno governato durante la pandemia. Federico Gutiérrez, l’erede designato del presidente uscente Iván Duque, ha raccolto appena il 23% dei voti, risultato che per la prima volta esclude la destra colombiana dalla corsa per il potere. Qualcosa di simile era già successo in Perù, Paese “terremotato” dall’arrivo al potere di Pedro Castillo, l’insegnante marxista che è riuscito a battere la candidata delle destre Keiko Fujimori; e anche in Cile, dove i voti della destra tradizionale, che era al governo, non sono stati sufficienti a José Antonio Kast per battere al secondo turno la sorpresa progressista Gabriel Boric. Analoghi sconvolgimenti si preannunciano in Brasile a ottobre, con il probabile ritorno alla presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva che, stando ai sondaggi, dovrebbe battere il Trump tropicale Jair Bolsonaro.

Molti si sono affrettati a parlare di un ritorno della sinistra al governo, ma questa lettura fotografa solo una parte della realtà. Senza dubbio le macroscopiche disfunzionalità della sanità pubblica, che negli anni è stata smantellata in quasi tutta l’America meridionale a favore dei privati, hanno fatto tornare attuale un’idea del ruolo dello Stato più affine a quella delle sinistre; ma dietro questi risultati elettorali c’è anche un grande rifiuto della politica complessivamente intesa, a prescindere dagli schieramenti. Questa pulsione, presente da sempre nel continente del “¡Que se vayan todos!”, è ulteriormente cresciuta durante la pandemia, quando i privilegi della politica sono stati messi a nudo risultando ancora più insopportabili. Basti pensare al caso del presidente argentino Alberto Fernández, che durante il lockdown partecipava a feste private nella residenza ufficiale. O allo stesso Bolsonaro che, mentre la gente moriva per strada, prendeva in giro chi usava la mascherina e incitava la folla ad assembrarsi. Non importa se questi leader fossero di destra o di sinistra: forse per la prima volta sono stati giudicati per la loro incapacità di governare e per la loro arroganza, quella che li ha portati a pensare di essere al di sopra delle leggi da loro stessi dettate.

I risultati delle ultime elezioni sono figli, insomma, sia della sete di giustizia sociale sia di un diffuso desiderio di vendetta contro il potere e i suoi privilegi. Inizia così una stagione che potrebbe incidere fortemente sulla realtà sudamericana, ma che paradossalmente potrebbe introdurre misure radicali anche di segno opposto rispetto a quelle auspicate dalle proteste popolari. È probabile, ad esempio, che ci sia un ripensamento delle politiche sanitarie e di welfare; ma esiste anche il rischio che cominci una repressione del dissenso e che le proposte politiche avanzate in nome dell’“anticasta” finiscano con il riprendere ideologie economiche restrittive già tristemente sperimentate.

È tempo di outsider, come il colombiano Rodolfo Hernández, l’argentino Javier Milei o i già citati Pedro Castillo e Gabriel Boric. Persone totalmente diverse per cultura politica e civica, accomunate dall’esser state portate al successo dalla pandemia, che ha spazzato via una classe dirigente per spalancare le porte a una nuova. Come accadde dopo la fine della Guerra Fredda, quando in America Latina tornò possibile per le sinistre salire democraticamente al potere, oggi la pandemia permette di trovarsi eletto a chiunque sappia cavalcare il malcontento o riesca a costruire una solida rete di base, come nel caso cileno. Magari senza esperienza, senza una forza politica in parlamento, senza i numeri. E questo diventa un grande rischio per una democrazia che, in questi anni, non ha trasformato le società latinoamericane se non per quanto riguarda i diritti civili individuali. La speranza è che alcuni dei politici agevolati dalle autostrade aperte dalla pandemia, come Boric e, probabilmente, Castillo e Lula, possano ripristinare una leadership progressista nel subcontinente che serva a rinforzare i legami reciproci e a ridare protagonismo a un continente da molto tempo ai margini della scena.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

La fuga del Rabbino e il fiume carsico del grande Male

«È avvenuto, quindi può accadere di nuovo dovunque». Lo scrive Primo Levi in “Sommersi e salvati”. M’ha ricordato la frase la fuga da Mosca di Pinchas Goldschmidt, Rabbino Capo della Russia. Prima di essere sottoposto a pressioni (eufemismo?) da Putin perché sostenesse l’aggressione proditoria all’Ucraina, ha scelto di rifugiarsi in Israele. Di qui, però, non è giunta reazione circa il gesto. Eppure segnali che la Russia usi la mano pesante verso le religioni il governo di Gerusalemme l’aveva sperimentato quando Putin ha annacquato la vergognosa uscita antisemita del suo ministro degli Esteri Lavrov che dal pattume aveva ripescato la bufala delle origini ebraiche di Hitler. Tiepidezza difficile da spiegare anche in Bruxelles e  Strasburgo: non han colto neppure l’occasione d’incunearsi tra il cesaropapismo di Kirill e la libertà del Rabbino. Tra l’altro Pinchas Goldschmidt è Presidente della Conferenza dei Rabbini europei, incarico che lo rende rappresentante di oltre 700 città del Vecchio Continente, da Dublino a Khabarosk capoluogo del circondario federale dell’Estremo oriente ora sostituito da Vladivostock. Questa insensata guerra mostra che c’è il male che si vede, che ha nomi di luoghi scene del crimine, che viene anche naturale condannare: bombardamenti di ospedali, scuole, fabbriche, fosse comuni, deportazioni e camere di tortura, ricatto del grano. Ma a me la migrazione forzata del Rabbino Capo, associata al «può accadere di nuovo dovunque», continua a tenere accesa la spia rossa di qualcos’altro che sta accovacciato sull’uscio di casa, in agguato, come demone maligno. «L’indifferenza è già violenza» ripete Liliana Segre, persona che l’abisso l’ha visto in faccia e sperimentato sulla propria pelle e può testimoniare che è qualcosa di reale, assoluto, di vana eradicazione, multiforme e cangiante, mimetizzato e subdolo, pronto a travolgere per il solo fatto di «essere avvenuto» una volta. Un fiume carsico velenoso e mortifero, che scompare alla vista, ma può trovare il pertugio per uscir fuori e colpire non appena con indifferenza, compiacenze, interessi, odio glie ne diamo l’occasione.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La scuola non serve a nulla

Pensieri scomposti di fine anno scolastico…

L'ultima campanella

Faticosamente, è finito anche quest’anno scolastico (qui foto di come io la prof. di Matematica abbiamo atteso i genitori nell’incontro finale post-pagelle su Zoom)

Oh Gesù, che anno… cominciato con la minaccia pandemica ancora ben presente e finita con la sorpresa di qualche alunno ucraino nelle nostre classi. E lì in mezzo, noi docenti, gli alunni, i dirigenti e i genitori: a provare ad accogliere, ad adeguarci e anche a imparare dal rimbalzo che questi grandi eventi trovano nello spazio ristretto d’una classe.

Difficile esprimere quello che sente un docente in queste ore: ogni parola (e persino il silenzio, anche del peggiore di noi) rischia d’essere solo insormontabile melassa di sentimentalismo retorico. Che non ci starebbe neanche male, ma è solo per scusarmi se seguiranno solo pensieri scomposti di fine anno scolastico:

– già soltanto l’immagine della montagna di verifiche che un docente ha dovuto correggere durante tutto l’anno, e che alla fine accumula lì in sala docenti per catalogare il tutto, basterebbe già, da sola, a confutare la minchiata che “si lavora solo 18 ore a settimana”;

– Anche quest’anno resta un mistero perché quell’alunno lì, a fondo classe, durante le lezioni, continuasse a sorridere guardandosi in mezzo alle gambe. O stava usando il cellulare provando a nascondersi, oppure più semplicemente gode di fortune che io posso solo immaginare;

– sulla questione bocciature, bisognerebbe senza ipocrisie cominciare a gridarlo ai quattro venti ai non addetti ai lavori, il noto segreto di Pulcinella: nella scuola dell’obbligo non è che si promuove solo perché un alunno ha raggiunto le competenze richieste: a volte si promuove perché per lui la scuola, benché il soggetto non sappia una favazza di nulla, davvero non può fare nient’altro e non ha più strumenti da spendere su di lui. Come un Ospedale – perdonate l’atroce metafora – che dimette un paziente non perché guarito, ma per indirizzarlo all’hospice. I dibattiti di questi giorni mi pare rendano necessaria questa banale constatazione, dato che in tema di Istruzione il Legislatore ha deliberato, per tuttə e fino a una certa età, che debba essere obbligatoria la frequenza, mica anche lo studio…

– Anche quest’anno noi docenti siamo riusciti a trovare nuovi motivi per dividere ancor di più la loro categoria. Ultimo tra tutti, lo sciopero del 30 maggio: per qualcuno un fallimento annunciato, per altri un’adesione non trascurabile di quasi il 20% che non può essere ignorata. Tante le motivazioni, legate tutte alla mancata risposta alle richieste delle organizzazioni sindacali di modifica del DL 36 su formazione e reclutamento, approvato nei giorni scorsi dal Governo. Su molti punti importanti non è stato neanche possibile intavolare trattativa: nessuna ipotesi di stabilizzazione del personale precario (enormemente penalizzato da ciò che si prospetta); reclutamento trasformato in un percorso a ostacoli con prove sfide selezioni barriere “fai una giravolta falla un’altra volta”, che, unito a un rimandabilissimo e complicato rinnovo delle Gps (le graduatorie dei precari da cui le scuole attingono per assumere i precari), porterà a un numero ancor maggiore di assunzioni tramite MAD, cioè la “messa a disposizione”. In parole povere? Sarà più facile che venga chiamato a far supplenza il signor Ginetto che fino al giorno prima gestiva una tabaccheria, con contestuale crollo della percezione, nell’opinione pubblica, del livello di professionalità della funzione docente (bisogna in qualche modo motivarlo, questo mancato aumento salariale, no? Ma ci torno dopo). Per non parlare del “Concorso a premi” per l’aggiornamento e formazione dei docenti. Della serie: “è obbligatoria per tutti, ma la pagheremo solo a un 40% di loro: i migliori”, cioè i primi classificati di una ancor non ben definita graduatoria interna a ogni istituto. Gli altri (quelli arrivati dopo: quindi quelli a cui, in teoria, servirebbe di più) se la pagassero da soli. Se mi permettete di proseguire con l’allegoria sanitaria: è come pagare le medicine a chi sta bene.

– Niente eguaglierà la potenza vitale dell’urlo gioioso d’una classe al suono dell’ultima campanella; niente eguaglierà l’irrazionalità dell’atto dell’alunno a cui non è fregato una mazza di tutto quello che hai fatto durante l’anno perchè l’ha passato a guardarsi in mezzo alle gambe, ma che, l’ultimo giorno, ti chiede di firmargli a penna il braccio. E allora lì, mentre accetti il rituale, ti viene in mente che l’etimo di “scrivere”, dal greco “gràphein”, è “incidere” (“Ahia, prof!”)

– anche quest’anno, di rinnovo contrattuale e aumenti (e già gli stipendi sono tra i più bassi tra i Paesi più sviluppati) non se n’è parlato. O meglio: se n’è SOLO parlato, tra ipotesi “mancetta 50 euro” al mese e le richieste, ragionevoli, che direbbero 200. L’altro giorno, l’incontro Aran-sindacati si è concluso con un nulla di fatto. Certo, anche lì, un’adesione maggiore al recente sciopero avrebbe giovato: e allora bisognerebbe forse che, kennedynamente, molti docenti cominciassero a chiedersi non “Cosa il sindacato può fare per noi”, ma “Cosa potremmo fare noi per il sindacato”. E soprattutto, devo trattenere un impulso manesco ogni volta che sento docenti affermare che “l’adesione allo sciopero è bassa perchè è una forma di protesta ormai inutile, troppo leggera, innocua: bisogna pensare a roba più forte, tipo blocco scutini, e allora sì che i docenti pertecipano e cambia qualcosa”. Che è un po’ come dire che se a me piace una tipa e questa ha ritenuto di declinare un mio invito ad uscire a bere un drink, be’, sicuramente quel “no” dipende dal mio approccio troppo timido e graduale: avrei dovuto subito proporle direttamente il matrimonio, e lì vedi che avrebbe sicuramente accettato! Lì vedi che successso!”

– Se pensate che la scuola “si deve aggiornare”, “deve stare al passo con i tempi” e cose così, be’, anche soltanto un giro alla Fiera Didacta, organizzata da Indire ogni anno a Firenze (in genere a ottobre; quest’anno, per strascichi di pandemia, a fine maggio) vi avrebbe regalato un po’ di speranza. Certo, lì c’era il meglio dell’innovazione didattica in Italia, troppo spesso in capo all’intraprendenza del singolo docente e raramente espressione d’un percorso organico e di sistema, ok… ma guardate solo il  programma di quest’anno e poi prenotatevi per l’anno prossimo: https://fieradidacta.indire.it/en/

– Se la pandemia è stata raccontata con il lessico della guerra (a torto o a ragione), e se la scuola è stata spesso raccontata con il lessico della medicina (a torto o a ragione), perché non chiudere il cerchio raccontando la guerra con il lessico della scuola? Putin bocciato senza esitazioni (“incolmabili lacune in geografia e storia”); Zelensky rimandato (“è intelligente, ma non si applica; e in più sta tutto il tempo a gigioneggiare”); Stati Uniti: voto bassissimo in comportamento (“troppi atti di bullismo nel primo quadrimestre”); Unione Europea: promossa, ma con un sacco di debiti (“viste le troppe assenze strategiche”).

La scuola è il futuro. La scuola non serve a nulla. Il futuro non è più quello di una volta. La scuola, fortunatamente neanche.

Buon futuro e buone vacanze a tutti!

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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    Vade retro gay: l'offensiva dei conservatori in Vaticano

    Gli omosessuali? Sono in peccato mortale e la chiesa non deve benedire le coppie gay. Sono parole del cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito per la congregazione della dottrina della fede. Il porporato è uno dei punti di riferimento dell’ala più conservatrice in Vaticano, che osteggiò papa Francesco. Müller ha detto anche che aver fatto passare le associazioni cattoliche dalla Porta Santa di San Pietro in occasione del Giubileo è “solo propaganda”. A chi si rivolge il cardinale? Vuole provare a influenzare Papa Leone? Ne abbiamo parlato con il giornalista vaticanista e scrittore Marco Politi, autore di "La rivoluzione incompiuta, la Chiesa dopo Francesco". L'intervista di Alessandro Principe.

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    Esteri di mercoledì 17/09/2025

    Il giro del mondo in 24 ore. Ideato da Chawki Senouci e in onda dal 6 ottobre 2003. Ogni giorno alle 19 Chawki Senouci e Martina Stefanoni selezionano e raccontano fatti interessanti attraverso rubriche, reportage, interviste e approfondimenti. Il programma combina notizie e stacchi musicali, offrendo una panoramica variegata e coinvolgente degli eventi globali.

    Esteri - 17-09-2025

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    A Milano arriva il Godai Fest: Rodrigo D'Erasmo, tra gli ideatori, ce l'ha raccontato

    Sabato 20 e domenica 21 settembre al Paolo Pini di Milano si terrà la prima edizione del Godai Fest, il festival multidisciplinare che unisce la musica alle arti performative e visive nato da un’idea del musicista Rodrigo D’Erasmo, del produttore Daniele Tortora e dell’artista visivo Cristiano Carotti per abbattere i recinti di genere e di partecipazione, connettere le arti, sperimentare nuovi linguaggi, ampliare le visioni. L’arte, in tutte le sue declinazioni, sarà protagonista di un viaggio attraverso i 4 elementi della cultura umana (Fuoco, Terra, Acqua, Aria) ai quali si aggiunge, secondo la filosofia orientale, il principio del Vuoto. Ad ogni elemento corrisponde un curatore: Rodrigo D'Erasmo in questa intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Volume ci ha presentato il concetto e il programma di questo festival.

    Volume - 17-09-2025

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    Poveri ma belli di mercoledì 17/09/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 17-09-2025

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    Vieni con me di mercoledì 17/09/2025

    Il primo Pride della Valtellina Chiavenna. L'emozione, ha fatto salir la fame! Per merenda: pane burro e acciughe con bollicina,. Poi via si torna a Milano, al Piccolo Salone del Libro Politico al Conchetta. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

    Vieni con me - 17-09-2025

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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

    Clip - 17-09-2025

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    Volume di mercoledì 17/09/2025

    Oggi a Volume abbiamo iniziato parlando del Festival Suoni Delle Dolomiti giunto alla sua 30a edizione, ma anche del Godai Fest, evento che si terrà nel weekend al Parco Ex Paolo Pini di Milano e che ci racconta Rodrigo D'Erasmo in qualità di direttore artistico. A seguire segnaliamo il concerto-evento pro Palestina organizzato da Brian Eno che si terrà questa sera a Londra, e concludiamo con il quiz dedicato al cinema, oggi incentrato sul film Il Diavolo Veste Prada del 2006.

    Volume - 17-09-2025

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