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L'Ambrosiano

«Come arrivarci» con la “Siccità” che asseta la democrazia

«Come le cose dovrebbero essere quasi tutti lo sanno, ma chi mostra il cammino per arrivarci?». Scomodo Jung (corsi e ricorsi: Pavese pubblicò il testo da Einaudi nel 1942, in piena guerra) un po’ per compensare la latitanza di autorevolezza in campagna elettorale (emblematico Siccità di Virzì: il trailer mostra un Tevere ridotto a deserto; ma il film visto a Venezia va nelle sale il 29: l’arte s’inchina al politicamente corretto?); un po’ perché tante ne abbiam sentite di necessità, però di «come arrivarci» a migliorare davvero la vita di famiglie e imprese poco o nulla. Vale per: risorse necessarie alle mirabolanti proposte (l’art. 81 della Costituzione è sconosciuto ai partiti, in specie dove dice «Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte»); l’ordinamento delle istituzioni repubblicane: si parla come al bar di presidenzialismo (e semi), bicamerali, referendum, autonomie differenziate;  destinatari specifici (penso ai giovani); settori strategici come la sanità: chi ha scritto alcuni programmi di partito non conosce i dati, a cominciare dagli effetti “quota 100” di cui Salvini va fiero ma nessun avversario gli imputa responsabilità per le lacune di specialisti nella gestione del  Covid e i vuoti di organici nel SSN: in Lombardia governata male dal centrodestra a Chiavenna ad esempio prima s’è ridimensionato l’ospedale (non vi si può più partorire, poi parlano di interventi per le famiglie!), adesso si fan venire radiologi in trasferta dalla Sicilia perché di lumbard ai raggi X non ce ne sono! L’elenco di materie è lungo. Il paradosso sarà tra il 25 e il 26. Al vincitore toccherà finalmente di dire «come arrivarci» e a chi avrà perso di decidere se opporsi civilmente sperando nell’alternanza o avviare “trasformismo”, “responsabili”, “patti istituzionali”, tecnici. Nello scritto da cui son partito Jung dice: «La più bella verità non giova a nulla se non è divenuta esperienza interiore e personalissima del singolo». In altro testo aggiunge che si lavora con l’individuo per giungere ad «una comunità consapevole»: l’opposto del «conglomerato anarchico di esistenze separate», cioè d’egoismi e sovranismi, cioè della Siccità della democrazia di Virzì.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Elisabetta II, noi qui e il freddo inverno inglese

È morta colei che sembrava non dovesse mai morire, e che ora gode dell’eternità dei libri di storia e della second life digitale oltre che delle memorie personali, ‘è stata un filo che si è snodato attraverso tutte le nostre vite’, ha detto J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, spiegando a noi che inglesi non siamo il  cordoglio del suo paese. È morta Elisabetta II, è morta ‘la’ regina, interpretata da grandi attrici come Mirren e Colman, l’icona pop, ma anche la ‘cattiva’ che non ha amato Diana e non ha capito in tempo il lutto per lei, la sovrana a capo di un impero coloniale e si potrebbe continuare con i completini e le borsette (ma dove finiranno adesso tutte quelle mise pastello, ci si chiede), con l’orsetto Paddington con cui, spiritosa, ha preso un the, con Winston Churchill e con quel magnifico spettacolo che è ‘The Audience’, dedicato ai suoi incontri del martedì con i primi ministri  britannici… Eccetera, eccetera, eccetera con quanto stiamo vedendo, leggendo e sentendo di lei in questi giorni, mentre Carlo sale al trono e ci si chiede che razza di re riuscirà ad essere.

Ciò detto, ci possono essere molti motivi per sentirsi lontani, indifferenti o poco coinvolti dalla morte di Elisabetta II, a cominciare dalla critica all’istituzione obsoleta – la monarchia – che ha rappresentato per 70 lunghi e densissimi anni. Ce n’è uno però – molto ricorrente in questi giorni sui social – che dichiara la propria estraneità all’evento in nome del fatto che Elisabetta non è, non era ‘come noi’, non si alzava tutte le sante mattine per andare a lavorare, non aveva il problema di far quadrare i conti a fine mese e di pagare le (sempre più care) bollette. Il che è insieme una gigantesca ovvietà – era la regina d’Inghilterra, in fondo –  un errore perché tutto si può dire meno che non abbia fatto infaticabilmente il proprio mestiere,  ma anche un segno che dice qualcosa di noi. Mancanza di immaginazione, incapacità di andare oltre la propria esperienza, effetto di un pensiero populista che ha ormai intaccato anche la nostra facoltà di giudizio su cose e persone? Forse un mix di tutto questo: preoccupa questo assumere la propria vita come unico e assoluto metro di giudizio di ciò che accade, ci impoverisce e ci rinchiude in uno spazio che non si fa permeare dal lontano e dal diverso da noi. Che sia, anche, la vita di una regina, certo.

A margine e non tanto: sono tornata dall’Inghilterra giusto la sera prima della morte di Elisabetta II. In un megamagazzino di mobili di seconda mano, posto meraviglioso e sgarrupatissimo alla periferia di Manchester, una simpatica signora bionda, dopo aver saputo che le due potenziali acquirenti erano italiane, ci ha detto nell’ordine: che, se potesse, dal suo paese se ne andrebbe domani mattina, destinazione Italia, Spagna, o qualunque altro posto; che ha votato per la Brexit sulla base di una quantità innumerevole di frottole e adesso si sente presa in giro; che suo figlio non le parla proprio per questo motivo; che la gente non compra i suoi mobili perché non ci sono soldi e vengono risparmiati per pagare le bollette invernali. Piccolo squarcio, ma non certo del paese ‘prospero’ di cui ha detto la neopremier conservatrice Liz Truss, e invece preoccupato, impaurito se non incazzato: ‘Class struggle is back’, recita una locandina del partito socialista dei lavoratori vista su tante fermate degli autobus. Se n’è andata Elisabetta: ne ha viste tante, non vedrà quel che si annuncia come un inverno inglese di molto freddo, dentro e fuori.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Devianze, belli e sani: a futura memoria (psicologo concedente)

Nel frullatore preelettorale son finiti i dolori psichici giovanili. Sbocco naturale in vista del voto se anoressia, autolesionismo, isolamento, bulimia, bullismo fossero al centro d’un piano per adolescenti vittime di due anni di pandemia e d’una società che ha rubato il futuro alle generazioni. Invece occasione è stata Giorgia Meloni che ha scambiato buio dell’anima per devianze garantendo: con me al governo lo sport farà crescere «italiani sani e determinati». Chi vellica la pancia d’un Paese smarrito canta ciò che i suoi vogliono udire e da sirena pesca nell’inconscio collettivo. Le crisi insopportabili suggeriscono novità “a prescindere”, rimozioni di massa, semplificazioni, rassicurazioni. Basta frequentare bus o vedere come sui media tutto s’appiattisce: aumento di prezzi e bollette, giochi di Putin sul gas, paure per inverno e lavoro, aggressioni di giovani sui treni, branco che istiga al suicidio. Chi nella competizione dovrebbe mettere scale di valori, idee di uomo e mondo invece non sa dare immagini che scaldino i cuori e non ha esperienze di politiche nazionali o locali coi giovani. È andata a tutti bene la logica del bonus: casa, elettrodomestici, trasporti, psicologo. Il bonus è arma ambigua: attenzione per emergenze; ma senza strategie e priorità mantiene ingiustizie, distorsioni. Negli stessi adolescenti suscita reazioni opposte. Prospettive non chiare anche in chi dovrebbe prestare le cure. Note ufficiali stupiscono. Ordine degli Psicologi del Lazio: «Non entriamo nel merito politico della questione», come i giovani fossero bega Meloni/Letta. Per chi s’occupa di psiche non prender posizione sui nessi tra idea di uomo, civitas, episodi è o superficialità (non esiste terzietà professionale avulsa dai contesti storico, civile, culturale!) o convenienza corporativa. I giovani stan male? Se non tengon dentro dolore e vuoto li sfogano su sé o altri? Per curarli Ordini e Associazioni psicoanalitiche si riservan trattative con chi vince? Altri bonus? Sarebbe tradire le attese. C’è un libro di Sciascia: “A futura memoria. Se la memoria avrà un futuro”. Con ‘ste elezioni a chi scrive sembra di farlo “a futura memoria”. Contando che i giovani ci sian sempre. Almeno loro!

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Breaking Dad

RICOMINCIO DA TRE (prima parte)

Come Troisi. Sì, perché non c’è modo migliore per ripartire con “Breaking Dad”: ricominciare da tre. Noi tre in viaggio, proprio nella città del grande Massimo.

Uno, due e tre, allora: tre biglietti del treno Milano-Napoli. E’ il nostro ultimo scampolo di vacanze: cinque giorni a esplorare, visitare, mangiare squisitezze per strada. Una piccola avventura, così l’abbiamo pensata, organizzando qualche cosa, ma non troppo per lasciarci il piacere della sorpresa e dell’improvvisazione. Della fantasia. Del resto andiamo a Napoli, mica a Zurigo.

 

GIORNO UNO

Il Frecciarossa è puntuale: partiamo, come previsto, alle 10.05 dalla stazione centrale di Milano. Sono quattro ore e mezzo, che è pochissimo se pensiamo a cosa fosse questo tragitto solo qualche anno fa (“Sì papà, ok, ai tuoi tempi ci si andava a cavallo? Ah ah ah!”). Ma non è proprio un niente, insomma bisogna inventarsi qualche cosa da fare, ché il paesaggio dal finestrino è come la musica balcanica secondo Elio: è bello e tutto quanto ma alla lunga… (ndr. per chi fosse interessato all’effetto – alla lunga –  della suddetta musica, vedere “Il complesso del Primo Maggio” di Elio e le Storie Tese, strofa 1).

Comunque, ingannato il tempo con giochini, musica e cibarie portate da casa, alle 15 e spiccioli siamo in piazza Garibaldi per il primo selfie davanti alla grande scritta sulla parete a vetrata della stazione centrale partenopea. Il nostro alloggio si trova in via Pignasecca (il nome mi piace da matti), nei Quartieri Spagnoli. Decidiamo di andarci a piedi, sono solo un paio di kilometri e viaggiamo leggeri: due piccoli trolley e uno zaino. Così cominciamo a prendere contatto con la città. E l’impatto è notevole per i ragazzi che per la prima volta ci mettono piede (io ci ero stato anni fa ma un po’ di corsa). Appena lasciata la grande via Toledo e inoltratici nei Quartieri (così li chiamano qui, senza Spagnoli) è tutto un: guarda là, guarda qua, no vabè, che figata…. I vicoli, stretti, che si arrampicano sui gradoni, i vicoli addobbati con i panni stesi, i motorini che sfrecciano con due o tre persone in sella, le bancarelle con le magliette di Maradona, gli stendini in strada, le signore con le sedie davanti alla porta aperta della loro piccola casa al piano terra. Fabri e Franci sono curiosi, osservano un po’ circospetti. Io osservo loro e ho già la sensazione di aver avuto una buona idea.

Incontriamo il nostro padrone di casa, un gentilissimo signore che fa a Fabri una sola raccomandazione, un po’ scherzando ma un po’ no. “Siete di Milano, no? E allora dite che siete dell’Inter o del Milan, come vi pare. Ma juventini, quello no. Mi raccomando.”

A questo punto abbiamo fame. Sotto casa, pochi metri alla sinistra del grande portone di ferro del nostro antico palazzo (“Vecchio, papà, è proprio vecchio…”), c’è un camion che vende: frittatine, pizza fritta, frittura di mare nel cartoccio (‘o cuoppo). Più altre svariate cose. Fritte, comunque. Più che street food è freet food.

Cose notevoli del nostro appartamento: la vista dal balcone che affaccia su un vicolo lungo e stretto che sembra ricostruito da Sorrentino; l’ascensore che bisogna metterci 20 centesimi per farlo partire; la scritta incisa sul muro dell’androne – chissà quanti decenni fa – “Gennaro ama M.” (decidiamo che è Maria); il cortile che dà sul mercato giornaliero di verdure, pesce e carabattole della nostra via.

 

GIORNO DUE

Il secondo giorno comincia con una colazione come si deve. A base di caffè, cappuccino e sfogliatella, riccia e frolla. Segue dibattito su quale sia più buona. Io scelgo la frolla, ai ragazzi piace di più la riccia, a Fabri ancora di più il cornetto al cioccolato. Il tutto guardando piazza del Plebiscito che si allarga maestosa alla nostra destra. La percorriamo in tutta la sua larghezza, sotto un cielo blu e una luce smagliante. Il colonnato è imponente, Fabri lo fotografa e ci si fa un selfie; ma invano tento di aver udienza quando, leggendo la nostra fedele Lonely Planet, provo a spiegarne le origini. Giusto, papà, che palle, me lo dico da solo. Va meglio con un tizio che vuole vendermi dei cornetti rossi e che io rimbalzo un po’ bruscamente pigliandomi un vaffa in napoletano stretto. Ecco, questa cosa piace molto: vedi, uno si ingegna e poi…

La tappa successiva è lui. Il Mare. Il mare luccicante che abbraccia, ricambiato, questa città meravigliosa. E’ proprio meravigliosa, siamo appena al secondo giorno ed è evidente a tutti e tre. Ce lo diciamo anche, ogni tanto. Scendiamo attraversando il rione di Chiaia. A un certo punto Fabri dice: “246”. Cosa? “Duecentoquarantasei motorini, li sto contando”. Poi ci fermiamo ad ascoltare due signori sulla sessantina che suonano una chitarra e un mandolino. La prima fa l’accompagnamento, il secondo la melodia, come osserva Franci con il suo esperto orecchio di chitarrista. Diamo un po’ di moneta ai due musicisti, che non sembrano farci molto caso, anche perché hanno gli occhi chiusi e sono completamente assorbiti dalla musica.

Arriviamo sul lungomare Caracciolo. C’è poca gente – siamo in agosto – qualcuno che corre, qualcuno porta il cane a passeggio. Tre ragazzini sfrecciano avanti e indietro con un monopattino elettrico, gridandosi cose che non capiamo. Uno è magro magro e biondo, con i capelli lunghi sul davanti. L’altro è grassoccio, con una pettinatura da calciatore e il ciuffo ossigenato. Il terzo è più piccolo, potrebbe essere il fratello minore di uno degli altri due. “Sono scugnizzi?”, chiede Fabri. Bè, non so non è che sia proprio una cosa precisa, è un modo di dire. Mi sembrano dei bravi ragazzi, in ogni caso. “Sì, secondo me sono scugnizzi”, conclude Fabri. Nel frattempo è saltato fuori un pallone e i tre si sono messi a giocare a cavallo del marciapiede.

La nostra meta, ora è la Mappatella. E’ una spiaggetta cittadina in direzione Mergellina, ma prima. Ci vanno i napoletani così, in pausa pranzo, o per passare qualche ora sul mare senza andare in vacanza. Si portano una sedia, una sdraio, qualcuno ha l’ombrellone, grandi borse, come quella da cui una signora estrae una teglia di parmigiana. Ci togliamo calze e scarpe ed entriamo in acqua anche noi fino alle ginocchia: si sta bene, ci rinfreschiamo un po’. Volano palloni e richiami di mamme a bambini che sguazzano.

 

[CONTINUA –  nella prossima puntata: Il Santo Maradona, la città sotterranea, quella bruciata dalla lava e la pizza del nostro amico Patrizio]   

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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Mia cara Olympe

Quanta paura dobbiamo avere di Giorgia Meloni?

Non so voi, ma io non ho ancora capito quanta paura bisogna avere di Meloni e soci, mentre, implacabili, i sondaggi continuano a dirci di un distacco che non appare facilmente colmabile.

Mi spiego meglio: del significato di un eventuale premierato Meloni – argomento che suscita giustamente un grande dibattito tra donne e femministe, essendo una prima volta nel nostro paese – ho già scritto qui. In breve, se non nego il segno di maggiore equità che questa eventualità porta con sé in un paese in cui non fa e non ha mai fatto scandalo la sottorappresentazione femminile in politica, giudico la parte di agenda che più riguarda le donne non soltanto deficitaria, ma culturalmente e praticamente pericolosa, a riprova che non è mai bastato e tantomeno basta adesso essere ‘una donna’ per significare una differenza, in termini di sguardo, di politiche, di riduzioni dei tanti gap che contraddistinguono la situazione italiana.

Poi c’è il ‘resto’. Ci sono le politiche economiche e quella sciagurata flat tax che, per esempio, significherà con ogni probabilità tagli alla sanità pubblica con conseguente campo largo per quella privata; la ripresa del progetto delle autonomie differenziate che penalizzerà ulteriormente il sud; c’è il tema della scuola declinato su una meritocrazia che non ne risolverà gli indubbi problemi. E si potrebbe andare avanti, mettendo ai primi posti la questione delle migrazioni e delle politiche relative, i ventilati blocchi navali: un’idea di Italia escludente, di un ‘prima gli italiani’ che non guarda correttamente né all’ineludibilità e alle caratteristiche del fenomeno migratorio né alla crisi demografica. E c’è il tema dei diritti civili e del modello di società che il centrodestra propaganda, un’idea retriva, difensiva che si appella ad una ‘tradizione’ che sa di stantio. (Ci si potrebbe chiedere allora come mai questo livello di consenso: una risposta sta nella paura di ceti svantaggiati o già impoveriti, un’altra negli interessi da tutelare, un’altra ancora nella ‘novità’ della proposta che però lascia intravedere una radice politica esistente e resistente in Italia). Per contro ci sono sfide enormi da affrontare, alcune delle quali, come l’utilizzo corretto degli ingenti fondi del Pnrr, sono veramente l’ultima spiaggia per disegnare un paese più equo, moderno e green.

Il ‘resto’ dunque appare pesante e motiva un enorme timore, non ultimo per quanto riguarda chi e con quali competenze dovrà gestire i fronti di cui sopra, guerra e covid inclusi: in tanti però dicono, ed è un argomento non peregrino, che un conto è la propaganda elettorale, altro è governare e che sarà la situazione internazionale e la spada  di Damocle della reazione dei mercati a consigliare cautela e ragionevolezza. Qualcuno si spinge a dire che c’è da augurarselo, visto che la posta in gioco è altissima e che, se non dovessimo rispettare il programma, rischiamo di perdere le prossime tranches di finanziamenti europei.

C’è però un ultimo punto che esula sia dalla questione del programma e delle competenze, sia da ogni possibile cautela il centrodestra possa mettere in campo per garantirsi una navigazione non troppa burrascosa: un premierato Meloni segnerebbe l’archiviazione della matrice antifascista sulla quale è nata la repubblica e si fonda la nostra costituzione. Non esattamente un dettaglio e neanche un punto di mero principio per chi interpreta l’antifascismo come una categoria di sintesi che guarda e legge la storia per tenere la barra dritta sul futuro. E qui sì che mi sembra che di paura c’è da avercene:  come ben sappiamo, una radice di destra reazionaria, parafascista nell’Italia del 2022 continua a vivere e non potrà che prosperare.

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Ma parleremo anche di cosa le appassiona ed entuasisma. Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

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    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 17, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

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    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    Giocare col fuoco: storie, canzoni, poesie di e con Fabrizio Coppola Un contenitore di musica e letteratura senza alcuna preclusione di genere, né musicale né letterario. Ci muoveremo seguendo i percorsi segreti che legano le opere l’una all’altra, come a unire una serie di puntini immaginari su una mappa del tesoro. Memoir e saggi, fiction e non fiction, poesia (moltissima poesia), musica classica, folk, pop e r’n’r, mescolati insieme per provare a rimettere a fuoco la centralità dell’esperienza umana e del racconto che siamo in grado di farne.

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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    Comizi d’amore di domenica 09/11/2025

    Quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto. Ogni domenica dalle 13.20 alle 14.00, a cura di Stefano Ghittoni.

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