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Mia cara Olympe

Gli appunti di Giorgia e il momento sbagliato

Ci sono gesti comunicativi che, a dispetto della loro sbarazzina e informale apparenza, nascono per così dire già stonati e fuori fase. Gli appunti di Giorgia –  rubrica social, che la premier promette settimanale, dei quadernini sui quali tutto scrive, tutto annota e soprattutto niente nasconde – mi sembra siano un esempio che la scelta del giusto tempo è, nella comunicazione politica, decisiva per il suo risultato.

Dovrebbero, gli appunti di Giorgia, essere un ulteriore tassello di quella immagine da leader minuziosamente e infaticabilmente perseguita da anni da Meloni tra autobiografie, social e stampa amica: l’immagine di Giorgia – lei che non si ferma davanti a nessun ostacolo, non ha paura di niente, che afferma le proprie idee ma al contempo resta proprio come tutti e pure come tutte. E gli appunti cosa dovrebbero aggiungere? Che nella biografia di una che si è fatta da sé, che conosciamo ormai a memoria, c’è posto anche per l’agenda con le letterine del proprio nome un po’ infantile – in fondo chi di noi  non lo è almeno un pochino ? –  ma c’è applicazione, impegno a ricordarsi tutto (non lo facciamo anche noi alle prese con ben minori incombenze?) un filo di secchioneria e tanta, tantissima ‘trasparenza’, Nessun problema a rispondere su nulla, il  suo lapsus mentre voleva dire ovviamente il contrario.

Giorgia a capo del governo ma anche Giorgia ieri, oggi e sempre proprio come noi (e la nostra agenda). E  trasparente come l’acqua, senza nulla da nascondere, anzi con il suo lavoro da mettere, settimana dopo settimana, a disposizione di tutti, senza mediazione alcuna. Sicuri sia questo il tempo e la fase adatti a questo messaggio? Mentre il Censis ci dipinge ripiegati e impauriti tra Covid, guerra, inflazione e crisi energetica, disillusi, stufi del populismo e sempre meno disposti a seguire gli influencer di turno, mentre ogni giorno porta al governo dieci grane – e tocca rimettere mano al provvedimento antirave fatto con i piedi, vedersela con le critiche sulla manovra che vanno da Bankitalia ai sindacati, tenere a bada le pensate di Salvini eccetera eccetera.

L’orgogliosa singolarità dell’Io sono Giorgia poteva funzionare, ha funzionato come messaggio quando era unica opposizione nel paese. Poteva funzionare rivendicare una autoattribuita diversità rispetto al resto del ceto politico e insieme sottolineare il proprio essere underdog, una come tante e tanti. Fino al momento dell’insediamento però. Ora c’è la realtà a fare da inciampo, le scelte da fare, le critiche cui replicare, i mille problemi da risolvere, una postura più autorevole da assumere. E se proprio si vuole insistere con il leaderismo servirebbe allora una supereroina (tradotto per chi crede ancora alla politica, un governo all’altezza delle domande e dei guai da affrontare) e non certo una Giorgia come noi che spunta la to do list sull’agenda e che ci appare colpita dal boomerang della puerilità.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

L’alibi dei diritti

Del Venezuela non si parla ormai da molto tempo. Il Paese sudamericano è uscito dai riflettori dei media internazionali all’inizio della pandemia, per scomparire definitivamente con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Fondamentalmente ciò è accaduto perché gli Stati Uniti, fino a pochi anni fa impegnati in una campagna a tutto campo contro il governo di Nicolás Maduro, hanno concesso al Venezuela un’apertura che va letta integralmente nella logica della geopolitica del petrolio, scossa appunto dalla guerra Ucraina. È l’ennesima dimostrazione di come i diritti umani e politici si possano barattare senza rimorsi per garantirsi la continuità nei rifornimenti di materie prime strategiche. Sabato 26 novembre, a Città del Messico, l’opposizione e il governo venezuelano hanno raggiunto un accordo di minima per la ripresa del dialogo, agevolato dalla Norvegia in veste di mediatore e – soprattutto – dall’impegno statunitense sullo scongelamento dei capitali venezuelani all’estero, bloccati dalle diverse sanzioni accumulate negli anni dal Paese e dalla sua classe dirigente. I fondi dovrebbero essere investiti nella sanità e per l’alimentazione di un popolo ormai provatissimo: la crisi economica, infatti, risale addirittura a tempi precedenti alle sanzioni, quando fu innescata dall’incapacità dell’erede di Hugo Chávez di gestire l’economia nazionale.

Intanto, il Venezuela è entrato nella storia come lo Stato americano che ha perso la maggior quota di popolazione nel minor tempo. Sono circa 7 milioni, secondo i dati delle Nazioni Unite, i venezuelani che negli ultimi 8 anni sono emigrati in altri Paesi latinoamericani, soprattutto Colombia e Perù, o verso gli Stati Uniti e l’Europa: significa che quasi il 25% della popolazione totale è fuggita cercando opportunità all’estero, un fenomeno che non si era mai verificato in tempi di pace. Eppure il governo di Maduro è ancora al potere e gode di un discreto consenso, ovviamente al netto dei dubbi sulla libertà di espressione e sulla trasparenza degli ultimi processi elettorali, come più volte denunciato. Ma oggi il punto non è questo, bensì il fatto che il termometro dell’importanza dei diritti si è dimostrato fortemente legato a considerazioni di realpolitik. Nulla di nuovo, per carità: è la semplice constatazione della schizofrenia di un mondo che a parole difende i diritti calpestati, esigendo ad esempio che i calciatori delle nazionali occidentali compiano gesti politici ai Mondiali di calcio, ma che non si sogna di interrompere le relazioni finanziarie con il Qatar, né di sanzionare la Cina per la vicenda degli uiguri. E che ora chiude un occhio sul Venezuela dopo averlo messo al bando per anni, anche se il governo che ha dissanguato il Paese non intende cambiare nulla, nemmeno davanti all’esodo di un quarto della popolazione. Probabilmente erano sbagliate le sanzioni, così come ora è sbagliato, in nome del petrolio, fare finta che tutto sia normale a Caracas.

Sarebbe ora, come già chiesto da diversi intellettuali, che l’Occidente si togliesse definitivamente la maschera dell’ipocrisia e affrontasse la realtà in modo pragmatico. Le sanzioni e le condanne, se non sono seguite dai fatti, servono solo a ripulire la propria coscienza, ma chi viola i diritti questo lo sa benissimo. Il re è nudo: dopo secoli di colonialismo, e qualche decennio di finta protezione dei diritti, il mondo ormai si divide tra regimi e parolai. Se i regimi sono sempre esistiti, e continuano a fare il loro gioco, i parolai rappresentano la versione politically correct di un gioco d’interessi che è anch’esso antico come il mondo: che la mia mano destra non sappia cosa fa la sinistra. Nel frattempo, la democrazia arretra ovunque, e chi pensa che a difenderla basterà una campagna sui social o una dichiarazione roboante sui diritti calpestati o è ingenuo oppure complice.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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La nave di Penelope

Il mostro del dimensionamento

La soluzione del governo al problema delle troppe scuole in reggenza, cioè senza preside titolare, è il dimensionamento. Ma è una soluzione o è una normalizzazione del problema? Facciamo un passo indietro.

Dimensionamento. Una parola da addetti ai lavori su cui vige parecchia confusione. In questi giorni si sono spesi fiumi d’inchiostro e sono volate parole d’indignazione, slogan e accuse al ministro “che vuole chiudere decine di scuole”. Poi sono arrivate le rassicurazioni. Viene spiegato che i plessi rimangono, i bambini continueranno a sedersi allo stesso banco dello stesso edificio e che si tratta solo di un fatto amministrativo: si raggruppano i plessi sotto un’unica guida insieme ad altre scuole. Un solo preside e un solo dsga (direttore dei servizi generali e amministrativi).

Niente di nuovo, in realtà. Alle scuole piccole e con pochi iscritti succede di continuo. Vengono “accorpate”. Un modo per razionalizzare spesa e gestione. Al momento la regola è che sotto ai 600 iscritti (portati a 500 in modo provvisorio dai precedenti governi) la scuola perde la sua autonomia e viene “unita” a un’altra.

Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, riporta La Stampa, spiega come il numero di plessi rimarrà invariato ma che le autonomia scolastiche diminuiranno di 700 unità in due anni. Ricorda, contestualmente che ci sono 975 reggenti al momento: si tratta di presidi che oltre a farlo da titolari nella scuola dove sono assegnati, devono coprire da “supplenti” l’incarico in altri istituti attualmente privi di dirigente scolastico. Per cui, secondo quanto dice Valditara, con il dimensionamento ci sarà una riduzione delle reggenze che negli anni arriverà “fino alla loro eliminazione”.

Forse ci si aspetta che sia un risultato positivo. Ma non lo è.

Se ora i presidi reggenti si trovano a lavorare in più istituti, non sempre vicini tra di loro e a volte molto diversi anche come tipo di utenza e problematiche (si pensi a chi amministra da anni un liceo e si trova con un istituto comprensivo con diversi plessi tra elementari e medie) e con una maggiorazione ridicola (ma questa è un’altra storia) al loro stipendio ordinario, con il dimensionamento sparisce questa figura ma non il metodo. Perché di fatto quello che ora è (o dovrebbe essere) una situazione straordinaria diventerà ordinaria. Molte scuole che prima erano in reggenza ora perderanno l’autonomia e entreranno a far parte di altre. Di fatto verranno assegnate ai presidi di queste ultime che diventeranno ufficialmente titolari anche di quelle che hanno perso l’autonomia.

Quindi, questi presidi continueranno a doversi dividere tra più istituti e più plessi. Come loro anche i dsga, che non sono figure mitologiche ma importanti membri del personale scolastico. Il dsga è colui che dirige il personale Ata, le segreterie e firma bandi e bilanci. Una figura fondamentale e in via d’estinzione, visto che sono tante le scuole a non averne uno titolare.

Di fatto con il dimensionamento, presidi e dsga avranno più lavoro e potranno garantire meno presenza in ognuno di questi plessi, esattamente come avviene con le reggenze. Insomma si va verso un indebolimento dell’efficienza e a un peggioramento del servizio scolastico, non a una soluzione del problema.

Oltretutto, alzando la soglia minima dell’autonomia a 900 studenti, si andrà verso mega scuole, o mega aggregati di plessi (soprattutto per quanto riguarda gli istituti comprensivi). Che cosa ne può derivare?

Che cosa ne pensate? Mi piacerebbe conoscere le vostre idee. Scrivetemi a: lanavedipenelope@gmail.com

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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L'Ambrosiano

Opposizioni

Fogli bianchi sventolati, mani sulla bocca, ciocche di capelli tagliati, scena muta all’inno nazionale: l’opposizione parla coi simboli; è la sua forza: far diverso da ciò che il sentire diffuso vorrebbe; resistere ai gorghi delle simmetrie; rispondere alla violenza col suo opposto, che non è solo “non violenza”, ma mostrare una verità “altra”, una realtà diversa e possibile; denunciare quanto la debolezza sia forza. Il simbolo è potente perché rivela le contraddizioni; trasforma l’immagine in icona, la nudità in risorsa, il silenzio in grido, la voglia di cambiare in pagina scevra d’odio così che trovi spazio lo scriver di futuro, la sopravvivenza in sogno d’un domani che rende nuovo l’oggi, il corpo in presidio d’umanità condivisa. L’opposizione sfida acquiescenza, conformismo, mentalità corrente, collusioni; costringe a non far finta di niente, a non voltarsi dall’altra parte. È un lampo, un attimo da esprimere, cogliere al volo; poi cercheranno di far tornare il vecchio, perché agenti antisommossa sparano, pasdaran perseguitano parenti, l’universo del calcio è prono al dio denaro, autocrati con mire imperiali resuscitate ricattano il mondo: i nemici dell’uomo san di poter far leva sulla colpevole disunione di chi dovrebbe contrastarli attuando condizioni perché abbiano cittadinanza libertà, diritti, giustizia, pace. Son morti a milioni. I lampi lasciano indelebili tracce. L’oppositore sogna d’imprimere uno stigma nella carne della realtà. «Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga»: parole che il Nobel Camus scrisse con l’angoscia del mondo a blocchi e della corsa alle armi nucleari. Rapporti internazionali e storie dei singoli Paesi in Europa presentano affinità col 1957, grazie anche a Putin. In Italia i partiti fattisi cacciare all’opposizione non sembrano imparare dalla storia. Dovrebbero almeno avere l’umiltà e la lungimiranza di lavorare per non autodistruggersi e trascinare con sé nel cupio dissolvi l’idea stessa di opposizione: la speranza. Primi sostenitori delle destre sono gli inconsolabili orfani di potere, governo, incarichi, enti. Le idee? Dopo. Ad avercele però.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Il calcio è di tutti

Alla base di tutti i discorsi c’è sempre lui, il calcio. Uno sport nato in Inghilterra, come quasi tutti i giochi di squadra moderni, ed esportato in quasi tutto l’Occidente dai dirigenti delle compagnie britanniche durante la globalizzazione di fine Ottocento. Piaciuto velocemente nel resto d’Europa e anche (soprattutto) in Sudamerica, ha poi contagiato l’Africa, l’Asia e infine il Medio Oriente. La grande differenza, nella passione per questo gioco, è quella tra i Paesi dove a calcio giocano praticamente tutti i bambini e quelli dove il calcio è, più o meno, una moda. I grandi scrittori che hanno raccontato il calcio sono nati dove il calcio si beve col latte materno: basti pensare all’uruguayano Eduardo Galeano, all’argentino Osvaldo Soriano, all’italiano Gianni Brera o all’inglese Nick Hornby. Autori che hanno dato una dimensione letteraria e anche fantastica al calcio, ad esempio con la partita tra socialisti e comunisti nella Terra del Fuoco, arbitrata da un figlio di Butch Cassidy, raccontata da Soriano.

Il gioco del pallone non è solo lo sport di base per milioni di ragazzi, e sempre più anche per moltissime ragazze, ma anche un fenomeno sociologico, psicologico e perfino antropologico. È ampiamente risaputo come questo gioco – che qualcuno, parafrasando Marx, definisce “oppio dei popoli” – sia strumentalizzabile da regimi in cerca di visibilità. Lo fecero per primi i militari brasiliani, che “sequestrarono” le vittorie della nazionale e la figura di Pelé, seguiti a ruota dai militari argentini che nel 1978 organizzarono il primo vero Mondiale della vergogna. Senza dimenticare i mondiali di Putin nel 2018, per arrivare all’edizione 2022 in Qatar. Il colpo d’occhio offerto dal palco d’onore dello stadio al-Bayt, durante la cerimonia di apertura, faceva venire i brividi: vi era rappresentata una sorta di “nazionale” del totalitarismo: al-Sisi, Erdoğan, il principe saudita Bin Salman, oltre allo sceicco del Qatar Al Thani. Un mondiale-business che produrrà un giro d’affari di 7,5 miliardi di dollari e che lascerà alla Fifa un miliardo di profitto.

Intanto, per il Mondiale del 2030 si candidano Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Tutti Paesi dove il calcio non è mai stato praticato né seguito, ma che hanno bisogno di una vetrina globale che il gioco del pallone può dare. Una vetrina che, però, è stata costruita nel tempo da milioni di bambini italiani, francesi, brasiliani e argentini che fin da piccoli sognavano di diventare bravi giocatori per poter aiutare la propria famiglia. Perché il calcio è stato un formidabile ascensore sociale, sebbene riservato a pochi, selezionati non sulla base degli studi o del lavoro ma dell’abilità con i piedi.

Per questo i bambini, e non solo loro, malgrado tutto seguiranno il Mondiale 2022. Perché è un’opportunità che si presenta ogni 4 anni che consente di dire “siamo i migliori”. Perché quella coppa rende orgogliosa una nazione, e seguire il calcio alza l’autostima di persone povere che vedono gente come loro che è riuscita ad emergere. Il calcio è tutto questo e anche di più, e nessuno staterello autoritario, per quanti miliardi spenda, potrà mai appropriarsi di una briciola di questa storia. Perché non si tratta di una storia costruita da generali o da principi, ma da milioni e milioni di diseredati che sono corsi dietro un pallone per farsi valere, per farsi sentire.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 16-09-2025

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    “Gaza City brucia di fronte al suo mare”. Israele lancia l’offensiva di terra sulla città

    L’esercito israeliano ha lanciato questa notte l’invasione di terra su Gaza City. Da ieri i carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli. Il servizio di Valeria Schroter.

    Clip - 16-09-2025

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    Esteri di martedì 16/09/2025

    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

    Esteri - 16-09-2025

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    L'Orizzonte di martedì 16/09 18:35

    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

    L’Orizzonte - 16-09-2025

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    Le Guthrie Family Singers portano avanti il messaggio di umanità del nonno Woody

    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

    Clip - 16-09-2025

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    Poveri ma belli di martedì 16/09/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 16-09-2025

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    Vieni con me di martedì 16/09/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Volume di martedì 16/09/2025

    Iniziamo parlando del festival Coachella 2026 di cui è appena stata annunciata la lineup e ricordando Victor Jara, cantautore cileno simbolo della canzone sociale e di protesta che scomparse oggi 52 anni fa durante la dittatura Pinochet. Proseguiamo con il mini live in studio delle Guthrie Family Singers, trio di discendenti di terza e quarta generazione dell'icona folk americana Woody Guthrie. Nell'ultima parte accenniamo al concerto di raccolta fondi per la Palestina del 18 settembre, organizzato a Firenze da Piero Pelù, e ricordiamo la stella del cinema Robert Redford appena scomparsa.

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    Una Napoli sconosciuta in bianco e nero in “Sotto le nuvole” di Gianfranco Rosi

    Già vincitore di un Leone d’Oro per “Sacro Gra” nel 2013 e di un Orso d’Oro tre anni dopo alla Berlinale, Rosi riceve anche il Premio Speciale della Giuria di Venezia 82. In “Sotto le nuvole” l’esplorazione si sposta nella Napoli della circumvesuviana, in un bianco e nero inedito per la città dei mille colori, tra la terra che ogni tanto trema, sotterranei archeologici in mano alla camorra, la centrale dei Vigili del Fuoco, le fumarole dei Campi Flegrei e il Porto di Torre Annunziata con con una nave siriana che scarica grano ucraino. “È il mio primo film non politico” sostiene Rosi, eppure nel fuoricampo di “Sotto le nuvole” il non detto arriva anche in senso politico. L'intervista di Barbara Sorrentini

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    Musica leggerissima di martedì 16/09/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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