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Piovono Rane

Quella falsa coscienza sugli anni Settanta

In questi giorni Radio Popolare ha seguito con attenzione la vicenda degli arresti francesi.

Lo abbiamo fatto ascoltando diverse voci, da Guido Viale  a  Benedetta Tobagi. Lo abbiamo fatto, naturalmente, anche aprendo i microfoni alle diverse opinioni delle ascoltatrici e degli ascoltatori.

Lo abbiamo fatto usando qualche volta anche noi quell’espressione, “anni di piombo“, che nasce dal titolo di un  film del 1981.

Il film era bello, intelligente, profondo.

Non altrettanto intelligente e profondo è stato il percorso dell’espressione che ha generato, “anni di piombo” appunto.

Che è diventato un modo per rinchiudere tutto ciò che è avvenuto in quel decennio all’interno della questione terroristica.

Un decennio in cui invece c’era molto altro e molto di più.

Un decennio in cui era in corso (anche) in Italia un cambiamento progressista  ed egualitario.

Un cambiamento che ha portato anche a importanti riforme: dalle 150 ore per il diritto allo studio all’obiezione di coscienza al militare, dal nuovo diritto di famiglia alla creazione del servizio sanitario nazionale, fino alla legge Basaglia per la chiusura dei manicomi, per non dire dei grandi avanzamenti nei contratti dei metalmeccanici e non solo.

Tutto questo non era “anni di piombo”, ovviamente. Tutto questo era il risultato di processi profondi che sono stati fermati, anzi rovesciati, a partire dagli anni 80, quando si è imposta l’egemonia culturale e politica della destra economica.

In queste ore in Italia, sui media e in politica, vediamo la riduzione di quei grandi movimenti storici a soli “anni di piombo”.

Il che non è solo semplificazione giornalistica, è anche cancellazione di un epoca in cui le disuguaglianze diminuivano, anziché crescere come avvenuto dopo.

E forse questa cancellazione vuole sono nascondere il tramonto ormai in corso dei decenni successivi, quelli dell’avidità, del profitto, della forbice sociale allargata all’infinito.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Bad Input

La silenziosa rivoluzione del giornalismo su Internet

Che il World Wide Web abbia terremotato il mondo dell’informazione è un’affermazione abbastanza banale. Così come lo è il fatto che il suo impatto, a volerne fare un bilancio, è tutt’altro che positivo. Per lo meno a livello di qualità.

Con la migrazione sul Web, infatti, sembra che gli editori si siano messi d’impegno a interiorizzare solo gli aspetti negativi della nuova dimensione. Complice la dipendenza dagli incassi pubblicitari, da parecchio tempo l’unico obiettivo degli editori è quello di sfornare titoli “acchiappa click”, pubblicando il peggior ciarpame possibile pur di attirare qualche visitatore sul sito.

Le cose, però, stanno peggiorando esponenzialmente. Uno dei fenomeni più fastidiosi è quello che non riesco a definire meglio che “l’articolo sull’articolo”, cioè quei pezzi che sono basati interamente sul copia incolla di stralci di articoli altrui, in cui la notizia è che qualcuno ha pubblicato una notizia.

Attenzione: in molti casi questo meccanismo fa in realtà parte di veri e propri accordi commerciali che prevedono una sorta di “riuso” dei contenuti. Il risultato, però, è assolutamente deprimente.

Altro elemento involutivo è l’incapacità (che scade nel dolo) di sfruttare strumenti fondamentali del Web come i link. Trovare un articolo in cui è inserito il collegamento alla fonte è rarissimo, al punto che viene da chiedersi che diavolo costi impegnare quei cinque secondi che permetterebbero al lettore di approfondire l’argomento leggendo, per esempio, il documento originale a cui si è fatto riferimento.

Il dubbio (molto più che un dubbio, in realtà) è che i link esterni non vengano inseriti nella speranza di mantenere il lettore “agganciato” al sito. Peccato che non gli si faccia un gran bel servizio.

Tutto da buttare, quindi? No. Perché quando le cose non funzionano, di solito generano cambiamenti. Uno di questi è il fenomeno delle newsletter gestite attraverso piattaforme di pubblicazione indipendenti. Un esempio è Substack, che offre tutto quello che serve per pubblicare newsletter e ottenere anche una retribuzione attraverso la sottoscrizione dei lettori.

Il fenomeno sta crescendo, anche perché sono sempre di più i giornalisti stufi del fatto che i loro articoli siano “misurati” solo in base al numero di click e non in termini di qualità. Per fortuna, sembra che non manchino nemmeno i lettori affamati di informazione di qualità. Anche su Internet.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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In alto a sinistra

No, non è limitazione della libertà di pensiero

Chiariamolo subito: no, non è limitazione della libertà di pensiero. Perché quella che si chiede di limitare si chiama apologia di fascismo. Che è un crimine.

È un crimine la commemorazione di Sergio Ramelli, perché con la scusa di ricordare un giovane (missino) ucciso nel 1975 si porta in scena ogni anno un’ignobile accozzaglia di braccia tese, di teste rasate, di slogan neofascisti e di “presenti” urlati a squarciagola.

È un crimine andare ogni anno a Dongo, coadiuvati da qualche prete collaborazionista che celebra pure una messa, per ricordare la fucilazione di Benito Mussolini e Claretta Petacci. Anche in questo caso con centinaia di militanti neofascisti in divisa squadrista, braccia tese, tatuaggi di croci celtiche e svastiche, insulti ai partigiani e a chi ci liberò dalla dittatura.

Vietare manifestazioni di questo tipo non è limitazione della libertà di pensiero, così come non lo è chiedere la chiusura di una pseudolibreria, come quella di Altaforte a Cernusco sul Naviglio, che dietro il paravento della cultura organizza incontri con picchiatori e neofascisti, ed è di fatto la sede, nemmeno tanto mascherata, di Casapound.

A impedire manifestazioni di questo tipo, criminali, dovrebbero pensarci le istituzioni democratiche e antifasciste nate dalla Resistenza. Ma troppo spesso non lo fanno. E allora forse sarebbe il caso che a organizzarsi, in maniera militante, siano i cittadini, democratici e antifascisti, che nei valori della Resistenza e della Costituzione si riconoscono.

E che nessuno parli di limitazione della libertà di pensiero. L’apologia di fascismo è un crimine, che come tale va trattata. E sentire i nipotini (più o meno pentiti) di chi zittiva a colpi di manganello chi la pensava diversamente, riempirsi la bocca di termini come libertà e tolleranza, farebbe sorridere, se non fosse una questione maledettamente seria.

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

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Politica leggera

E allora gli assembramenti di sinistra? Eh?

Quando il tweet falso di Giorgia Meloni che celebra la Resistenza ha iniziato a circolare sui whatsapp di molti di noi, lo abbiamo capito subito che era un fake.

Figurati se la segretaria dell’ex Movimento Sociale si mette davvero a celebrare gli alleati e i partigiani che hanno liberato l’Italia. E’ ovvio che non può essere. E infatti non è. La vera Giorgia Meloni ha trascorso la giornata del 25 aprile a polemizzare sul tema riaperture e con chi ha partecipato ai cortei (e allora gli assembramenti di sinistra? Eh?) .

“Una destra moderna deve parlare al futuro” dice la fake-Meloni.

“I giornalisti di sinistra non ci devono dire cosa deve essere la destra” dice la Meloni vera.

In effetti a ben vedere il problema non sta in chi debba dire cosa alla destra italiana. Il problema sta in quello che la destra italiana pensa, dice, e fa.

L’aspetto interessante del tweet fake di Giorgia Meloni è che afferma quella che dovrebbe essere una banale verità: una destra moderna dovrebbe essere antifascista e dovrebbe guardare al futuro. Come succede nel mondo civile, più o meno. La destra italiana invece moderna non è, guarda con malcelato orgoglio al passato fascista e con fastidio esplicito nei confronti di chi glielo fa notare.

Era chiaro che quel tweet era un fake. Sarebbe stato bello il contrario. Per l’Italia avrebbe significato essere un paese un po’ più moderno e non la periferia culturale dell’occidente.

(e allora gli assembramenti di sinistra? Eh?)

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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La scuola non serve a nulla

“Trilogia della clausura 2 e 3”: altri due spunti per una didattica creativa!

(...ma è davvero finita, con la DAD?...)

Ecco, in un sol colpo, gli episodi 2 e 3 dell’ideale, già iniziata la settimana scorsa, “Trilogia della clausura”: spunti per lavorare con la letteratura in modo “teatralcreativo” a scuola. Perché due in un sol colpo? Perché sarebbero stati pensati per la DAD, e visto che si torna in presenza, non è il caso di tirarla troppo per le lunghe; pur tuttavia, concorderere con me nel trovar questi spunti comunque fantastici e riproponibili, un po’ rimodulati, anche in presenza. Tiè!

Clausura due: l’oralità, ovvero come trasformare un libro in un podcast dignitoso, con il lavoro da casa di 25 pischelli caciaroni e usando solo Zoom. Libro, “Il passaggio dell’orso” di G. Festa: storie di natura, interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete, ove per poco il prof, non si spaura. Perché mica solo la storia: questi recitano pure i dialoghi e persino i rumori. Nel libro rumore di passi? Nel podcast due dita che scalpicciano. Nel libro ruscello di montagna? Nel podcast rubinetto in cucina. E qualcuno, sapido, in un passaggio su bestie e ululati ci piazza sotto un discorso di Salvini con belluino ruggire di pontidesca folla.
Risultato? Non ci vinciamo l’Oscar, ma un’altra candela è stata accesa sull’altare della creatività, e in più i pischelli mi hanno mostrato come si usa Audacity. E il naufragar m’è dolce in questo mare, specie se il rubinetto di cui sopra lo si è dimenticato aperto.

Clausura tre: la drammaturgia! E qui i miei ci hanno addirittura vinto un premio: primi tra le scuole Medie nel Festival di Scrittura Teatrale Nazionale “Scrivere il Teatro”. Titolo “Chiusi dentro”. Sfida: raccontare la vita in DAD con una metafora: due soldatucci greci chiusi dentro il cavallo. Bello? Per me e i ragazzi, fighissimo. Soprattutto se rileggo la motivazione del premio:

“Il testo scritto dai ragazzi dell’IC “Umberto Eco” di Milano si segnala non soltanto per l’originalità della riscrittura del più noto degli eventi narrati nei poemi omerici, ma anche per l’efficacia della situazione scenica, che rimanda metaforicamente e senza mai fare riferimenti diretti ad una condizione di costrizione quanto mai attuale.
Un assai ben congegnato meccanismo di ribaltamento dei piani narrativi ci trasporta, infatti, all’interno del cavallo di legno, apparentemente abbandonato sulla spiaggia di Ilio, e ci sospende in un’attesa tragicomica. Un’attesa che si consuma non all’interno della testa, laddove Ulisse e Menelao, presenze appena evocate e pendenti dall’alto, possono osservare le mura e le porte di Troia, studiare le mosse del nemico e verificare l’esito del proprio inganno; ma nel ristretto e marginale spazio di una zampa, per di più posteriore, in cui due soldati a corto di acqua e di aria – l’irrequieto e disilluso Merione e il devoto e bellicoso Trasimede – altra libertà non hanno che guardare impazienti dal buco sbagliato, inutile e rivolto verso il mare.
Non resta loro che impegnarsi a vicenda in una fitta schermaglia all’interno di questa sospensione, in equilibrio tra il desiderio di evasione del primo e le rassicurazioni e i pruriti guerreschi dell’altro, tra il mondo di fuori, apparentemente vuoto e fermo, e le frammentarie notizie ricevute dai piani alti, sempre indirette e filtrate dal solo Idomeneo, penultimo anello della catena. Una disputa che si snoda fino alla risoluzione finale, che ironicamente non può che confermare su chi ricadano le conseguenze delle necessità dei potenti.”

Bello da lucciconi, no?

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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