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Il tempo sta scadendo. Il nuovo monito degli scienziati che si occupano di riscaldamento globale

combustibili fossili

“Time is running out”, il tempo sta scadendo: è questo l’avvertimento ribadito più e più volte dagli scienziati che si occupano di cambiamento climatico. Con il passare degli anni si aggrava sempre di più la salute del pianeta che, senza un’azione tempestiva, rischia di andare incontro a un’inesorabile autodistruzione. Governi e aziende che si occupano di energia hanno più volte fatto promesse in merito. La più recente è il Patto per il clima di Glasgow, accordo firmato da 197 Paesi il 13 novembre 2021 alla conclusione della Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Tra i tanti obiettivi del patto, ci sono l’impegno a far rimanere sotto i 2 gradi l’aumento delle temperature, il conseguente taglio delle emissioni del 45% entro il 2030 e la riduzione del consumo di carbone, che produce quasi il 40% della CO2 emessa su scala globale. A volte, però, le promesse non bastano. Ce lo ricorda il Guardian che nel reportage pubblicato da un team di giornalisti esperti di ambiente, affiancati da organizzazioni indipendenti, analisti e studiosi di tutto il mondo, ha reso pubblici i progetti in cui sono impegnate le principali compagnie petrolifere. Cinque mesi di lavoro per realizzare un inchiesta sullo sfruttamento dei carburanti fossili che ha dell’incredibile.

Le principali aziende internazionali dell’energia stanno investendo o hanno intenzione di investire in 195 “carbon bombs”, ovvero giganteschi progetti di estrazione di gas e petrolio, che in totale immetteranno nell’ambiente un quantitativo di Co2 equivalente a 18 anni di emissioni attualmente prodotte a livello globale. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2021 hanno raggiunto le 36,3 gigatonnellate. Più della metà di questi progetti, il 60%, sono già partiti.

L’inchiesta ha anche rivelato che, nonostante il Medio Oriente e la Russia siano solitamente indicati come le regioni del mondo più coinvolte nello sfruttamento di gas e petrolio, Stati Uniti, Canada e Australia sono tra i Paesi con i più estesi progetti di espansione e il numero più elevato di “carbon bombs”.

Tra questi, c’è anche il progetto che riguarda la regione settentrionale monzambicana di Cabo Delgado, interessata da un conflitto legato allo sfruttamento delle risorse del territorio, di cui abbiamo parlato pochi giorni fa con l’attivista dell’associazione Justicia Ambiental Kete Fumo.

Il progetto di estrazione, che porterà a un enorme aumento delle emissioni di gas serra in uno dei Paesi più poveri e più toccati dal cambiamento climatico, ha ricevuto finanziamenti per oltre 1 miliardo di sterline da parte del governo del Regno Unito e ha portato sul posto alcune delle maggiori compagnie che si occupano di energia, attratte dai profitti che questo affare frutterà loro.

Secondo i dati ottenuti dal Guardian dall’organizzazione indipendente Carbon Tracker, una dozzina delle principali compagnie hanno intenzione di spendere collettivamente circa 387 milioni di dollari al giorno per sfruttare risorse fossili fino al 2030. Una parte significativa di questi fondi verranno spesi per mantenere progetti già esistenti, mentre un quarto dell’investimento, circa 103 milioni di dollari al giorno, sono destinati a progetti futuri. Soldi che, come giustamente nota il quotidiano britannico, potrebbero essere spesi per lo sviluppo di fonti energetiche “pulite”.

I Governi del mondo si sono detti d’accordo nel mantenere sotto i 2 gradi il riscaldamento globale. Ma, sempre secondo Carbon Tracker, il 27% degli investimenti futuri previsti dalle compagnie sono incompatibili con questo obiettivo.

Liberare il mondo dai combustibili fossili è un’operazione resa ancora più difficile dai sussidi che a questi vengono destinati. Ciò li rende molto più economici a dispetto dei danni che producono, inclusa la morte di circa 7 milioni di persone all’anno.

L’inchiesta del Guardian si chiude con una serie di domande: i Governi del mondo agiranno per interrompere la scommessa sul clima di queste compagnie? I Paesi “ricchi” supporteranno una corretta transizione per i Paesi in via di sviluppo per scongiurare  la crisi? E si impegneranno in modo costante e corale per rendere il mondo rapidamente indipendente dai combustibili fossili e condurci in un futuro che sfrutti energia pulita e ci consenta di vivere in un clima sostenibile?

“Solo il tempo ce lo dirà”, conclude il quotidiano britannico, “ma, a differenza di gas e petrolio, di tempo ne resta poco”.

 

Eleonora Panseri
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    Redazione
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