Approfondimenti

Bruce Springsteen è l’artista della settimana di Radio Pop, con il disco soul Only the strong survive

Bruce Springsteen - Only the strong survive

Bruce Springsteen – Only the strong survive: in questa occasione, diversamente da come spesso ci capita, non servirà dedicare dello spazio a raccontare la biografia del nostro artista della settimana: non ce n’è bisogno. Si chiama Bruce Springsteen (sito ufficiale) ed è uno dei protagonisti più celebrati della storia della musica.

Springsteen, come molti di voi già sapranno, prosegue la sua ormai cinquantennale carriera con un album di cover appena uscito, intitolato appunto Only the strong survive, interamente basato sul repertorio del soul americano.

“Volevo fare un disco in cui poter pensare solo a cantare”, aveva spiegato il Boss raccontando le origini di questo progetto. Va detto che, fin dal primo ascolto, questo obiettivo sembra ampiamente e limpidamente riuscito: la voce di Bruce Springsteen, incurante dei 73 anni dichiarati all’anagrafe, splende in ogni traccia e scalda ogni canzone.

C’è leggerezza, c’è gioia, ci sono calore e potenza, più che intensità emotiva e pathos, nelle interpretazioni di Only the strong survive. Aveva voglia di divertirsi Springsteen, sembra esserci riuscito alla grande, e di conseguenza ci si diverte parecchio anche ad ascoltarlo, è un album che scorre con grazia dalla prima canzone all’ultima.

Bruce Springsteen - Only the strong surviveLa scelta dei brani è in buona parte coerente con questo spirito. Il repertorio elude i classicissimi del genere e ripesca invece brani non particolarmente celebrati. Se infatti due dei singoli che hanno anticipato l’uscita – “Nightshift” dei Commodores e “Don’t play that song” portata al successo da Ben E. King e in seguito da Aretha Franklin – potevano essere brani un po’ più conosciuti, buona parte della scaletta propone canzoni che in molti ascolteranno per la prima volta. I brani inoltre non arrivano tutti, come forse si poteva immaginare, da quella che si considera la golden age del soul, quindi gli anni ’60 e ’70, ma sono diversi i brani più recenti (tra cui anche la stessa “Nightshift”).

È un disco perfetto? No, per chi scrive evidentemente no. In una recensione pubblicata dall’edizione USA di Rolling Stone, Jonathan Bernstein sottolineava, credo molto giustamente, un rammarico: che per un progetto come questo, Springsteen abbia scelto di affidarsi, sostanzialmente, a se stesso e al produttore Ron Aniello. Gli strumenti che ascoltiamo nel disco (fiati e archi a parte) sono stati in buona parte registrati dallo stesso Aniello, per un album nato non da session calde e affollate, ma da un più asettico lavoro di studio. Il risultato finale porta con sé un po’ di questa scelta.

Difficile non pensare, ascoltando con spirito critico Only the strong survive, al lavoro fatto per l’album del 2006 We Shall Overcome: The Seeger Sessions, un disco fondamentale per la carriera di Springsteen, che gli fece ritrovare una meritata centralità nella scena musicale americana. Un disco che ha più di un elemento in comune con quest’ultima uscita, per come vedeva Springsteen cimentarsi nella rilettura di un repertorio cruciale per la cultura popolare americana, nonché fondamentale per la sua identità musicale.

Uno dei principali punti di forza di quel disco risiedeva nella creazione di un gruppo di musicisti che, affiancandosi a Springsteen, ne aveva arricchito le intenzioni e le possibilità, portando sensibilità diverse, colori, calore. E una pasta sonora concreta, materica, che si adattava tanto a brani lenti e scuri, quanto a pezzi di grande energia e con arrangiamenti molto ricchi.

In questo caso, invece, troviamo arrangiamenti in generale piuttosto fedeli agli originali, con equilibri che si ripetono sovente, ma soprattutto un unico, grande, protagonista. Bruce: sempre nell’occhio del riflettore, sempre impegnato a luccicare, a riempire la scena con la propria voce e il proprio carisma. Il risultato è, crediamo anche per questo, un po’ mono-dimensionale. Manca soprattutto una dinamica, che accompagni l’ascoltatore tra diverse atmosfere e differenti stati d’animo, suscitando così una varietà di emozioni.

Rilievi critici che vengono da un profondo appassionato dell’arte di Springsteen e che non mettono in discussione il valore complessivo di questo disco, Only the strong survive, che ascolteremo con grande piacere per i prossimi sette giorni, e a cui dedicheremo uno speciale domenica 20 novembre, in onda dalle 18.30 alle 19. Qui sotto, il video di una delle nostre canzoni preferite del disco: “I wish it would rain”, un singolo dei Temptations del 1967.

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  • Autore articolo
    Niccolò Vecchia
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    “Radicalità ed empatia”. Con queste parole Willem Dafoe definisce la carriera di Ursina Lardi. “Attrice dalla cifra sempre intensa, disponibile a mettersi in gioco, aderendo a piani registici di diversa prospettiva – recita la motivazione – Ursina Lardi sta connotando in chiave sempre più autoriale la propria creatività d’attrice. In tutti i personaggi che ha affrontato [...] Ursina Lardi ha avuto l’infinita grazia e la dolorosa consapevolezza di connotare con grande umanità ogni singola battuta, ogni sfumatura di testi, siano classici o contemporanei. Il suo stare in scena dà al suo corpo la forza di diventare non solo meccanismo teatrale assoluto, ma anche testimonianza e forse sfida, corpo politico per eccellenza. [...] Nella tenerezza di un sorriso o nel terrore amaro di uno sguardo, Ursina Lardi incarna le mille sfumature di un’epoca giunta al disperato tracollo e svela – al tempo stesso – le possibilità di una resistenza non solo artistica, ma politica e umana. Per questo, e per l’impegno con cui, sicuramente, affronterà il tempo a venire, facendo del teatro lo specchio critico della civiltà, Ursina Lardi è destinataria del Leone d’Argento della Biennale Teatro 2025”. Oggi a Cult è andato in onda il discorso tenuto da Ursina Lardi alla consegna del Leone d'Argento.

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