
La stretta di mano tra Trump e Al-Sharaa è uno sviluppo molto importante. I presidenti di Stati Uniti e Siria non si incontravano dal 2000. In quell’occasione furono Bill Clinton e Hafez al-Assad, il padre di Bashar. E già allora Damasco era sotto sanzioni americane, introdotte nel 1979 e poi confermate e consolidate nel 2003 e nel 2011.
Nonostante l’approccio duro su molti dossier, Donald Trump vorrebbe un Medio Oriente pacificato. Non è un caso che stia negoziando con l’Iran e che qualche giorno fa abbia raggiunto un accordo per una tregua con gli Houthi dello Yemen. E probabilmente non è nemmeno un caso che nonostante la solida alleanza con Israele ci siano sempre più differenze con Netanyahu, visto che la strategia della guerra infinita del primo ministro israeliano a Gaza non è compatibile con l’idea di una regione pacificata. Un Medio Oriente senza conflitti vorrebbe dire un contesto molto più favorevole agli affari.
Abbiamo detto più volte che il viaggio di Trump di questi giorni è tutto centrato sugli affari. Ma non si possono fare affari in una regione attraversata in continuazione da guerre e crisi. Il cerchio quindi si chiude. La Casa Bianca vuole fare affari e allo stesso tempo vuole il minimo impegno militare. E anche questo aspetto è un pezzo importante del viaggio di Trump: i paesi del Golfo che sta visitando sono sì i più ricchi, ma sono anche quelli a cui il presidente americano possa chiedere di gestire situazioni delicate, in sostanza delegare.
Nell’incontro con Al-Sharaa Trump ha parlato del disimpegno americano dalla Siria. Attualmente i militari americani sono presenti nel nord-est, la zona a maggioranza curda. Trump ha chiesto per esempio al leader siriano di gestire la sicurezza dei campi dove ci sono gli ex-membri dell’ISIS, attualmente monitorati dai curdi. Lo scioglimento del PKK curdo in Turchia, legato a doppio filo alle milizie curde in Siria, annunciato proprio questa settimana, porterà probabilmente a una mossa analoga da parte dei curdi siriani.
Tutte le notizie di questi giorni sembrano far parte dello stesso mosaico, un mosaico allargato, che tiene dentro diversi paesi. Trump ha anche chiesto la normalizzazione dei rapporti tra Siria e Israele. Ma ovviamente la stretta di mano di Riad tra Trump e Al-Sharaa ha anche una dimensione interna tutta siriana. C’è il percorso del nuovo leader siriano, che aveva combattuto gli americani in Iraq, era stato per anni nelle loro prigioni, aveva fondato l’ala siriana di Al-Qaida, e oggi ha incontrato il presidente del paese che aveva messo una ricca taglia sulla tua testa. Donald Trump – in linea con il suo stile – lo ha definto un “tipo tosto”.
Ieri sera, all’annuncio della rimozione delle sanzioni americane, nelle principali città siriane hanno festeggiato. La riapertura al mondo è per i siriani una buona notizia. In un paese dove il 90% della popolazione vive sulla soglia della povertà è comprensibile. Comprensibile anche che sia comparso più volte, nelle piazze, il faccione del presidente americano. A Damasco non si può usare la carta di credito. Le banche non possono interagire con eventuali investitori stranieri. La riammissione nella comunità finanziaria internazionale è per i siriani un passaggio epocale. E la riammissione passa anche dalla stretta di mano con il presidente del paese più potente al mondo. E ricordiamo che la scorsa settimana Al-Sharaa era già stato ricevuto a Parigi da Macron. Il suo percorso dalla guerriglia alla politica globale è stato molto rapido. Ma attenzione, questo non vuol dire che sarà tutto facile. Al momento il presidente siriano ha molto più successo all’estero che non in casa.
La normalizzazione dei rapporti con la comunità internazionale e il probabile arrivo di investimenti semplificheranno le cose su vari fronti interni, ma alcuni di questi sono molto complessi. A partire dalla convivenza tra le varie comunità etnico-religiose. Soprattutto il rapporto tra la maggoranza sunnita, di cui fa parte lo stesso apparato di governo, e le minoranze. Negli ultimi mesi ci sono state violenze contro gli aluti e contro i drusi. E soprattutto le autorità centrali non hanno ancora il controllo di alcune milizie sunnite. Dopo decenni di soprusi ai tempi degli Assad è purtroppo prevedibile che ci sia voglia di vendetta. Ma se non si dovesse risolvere questo nodo gli investimenti di Trump potrebbero non bastare a rimettere in piedi il paese.