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Il tè nel deserto

Il futuro del cinema Odeon di Milano

Per molto tempo quando Corso Vittorio Emanuele, alle spalle del Duomo, aveva una sala di proiezione quasi ogni 100 metri si usava dire “Milano la città dei cinema”. Negli ultimi vent’anni poco a poco si sono spente le luci dei proiettori per lasciare spazio alle vetrine di negozi di abbigliamento, di maquillage, di biancheria intima e scarpe. L’ultimo in ordine di tempo, nel 2017 è stato l’Apollo, sostituito dal megastore della Apple. Ora è arrivata la notizia, che già circolava in via ufficiosa, del dimezzamento del Cinema Odeon: nel 2024 cinquemila metri quadri di quegli spazi diventeranno un centro commerciale. Nato come teatro nel 1803, diventato cinema nel 1929 e multisala nel 1986, nella nuova versione l’Oeon dovrà comunque preservare i vincolo architettonici, come il foyer, i pavimenti in marmo e lo scalone principale. Il luogo che sabato sera ha puntato i suoi fari su Lady Gaga per l’anteprima glamour di House of Gucci è pronto per spegnere le luci e aprire i cantieri.

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Maharishi, l’India e la Meditazione Trascendentale: quando i Beatles si elevarono verso stati più elevati di coscienza…

Hotel Hilton di Londra, Inghilterra, 24 agosto 1967, ore 15 circa.
In un universo parallelo forse John Lennon, George Harrison, Paul McCartney e Ringo Starr sarebbero quattro normali ragazzi inglesi poco più che ventenni, che amano il calcio, lavorano in qualche fabbrica di Liverpool e nel weekend si sbronzano al pub giocando a freccette.
Nel nostro universo invece sono tutto fuorché normali. Si ipotizza siano addirittura più famosi di Gesù. E, blasfemia a parte, nel febbraio del 1968 è altamente probabile che i teenager europei e americani abbiamo sentito parlare più dei Beatles che del Cristo.
In quel periodo, questi quattro nuovi messia, conoscono il saggio indiano Maharishi Mahesh Yogi, che si trova a Londra per insegnare la Meditazione Trascendentale.
Si tratta di un’antica tecnica mentale indiana capace di ridurre stress, ansia, centrando maggiormente la persona nella realtà e aumentandone la consapevolezza. Più un’altra serie di innegabili benefici che toccano tanto la componente fisica quanto quella spirituale.
L’incontro con Maharishi si rivela proficuo, così ne segue un altro a Bangor in Galles, a cui prende parte anche Mick Jagger.
Mentre i quattro si trovano in Galles, li raggiunge la notizia della morte di Brian Epstein, il loro manager e pigmalione.
Lennon e Harrison superano il terribile lutto anche grazie alla consapevolezza ottenuta con la nuova pratica, e decidono di aiutare Maharishi a divulgarla a quante più persone possibili.
Lo yogi finisce così in prima serata al David Frost Show. Il risultato? Il giorno dopo migliaia di persone accorrono ai centri di rigenerazione spirituale per chiedere informazioni.
Anche George e John partecipano al David Frost Show per parlare esclusivamente di Meditazione Trascendentale.
Rigenerati dalla cura Maharishi, i Fab Four decidono di approfondire la loro conoscenza della pratica e pianificano un ritiro nell’ashram indiano del maestro. In particolare è Harrison, che da tempo ha iniziato un lungo percorso spirituale che lo accompagnerà poi durante tutta la vita, a spingere per recarsi in India.
John e George, con le rispettive mogli, arrivano all’ashram di Rishikesh, lontano 150 miglia dalla capitale, il 16 febbraio del 1968, in taxi.
Paul McCartney, la sua compagna Jane Asher, Ringo Starr e sua moglie raggiungono invece il posto quattro giorni dopo.
Sono presenti altre celebrità dell’epoca, tra cui Mia Farrow, Mike Love dei Beach Boys e il menestrello Donovan.
L’ashram, il cui nome ufficiale è International Academy of Meditation, sorge nei pressi del Gange, proprio ai piedi dell’Himalaya. Un luogo altamente suggestivo.
La vita quotidiana scorre in modo rilassato. Le giornate trascorrono fra lunghe sedute di meditazione, l’ascolto delle lezioni di Maharishi e periodi di socializzazione.
Il saggio indiano si rileva assai disponibile con i Beatles, dando loro lezioni private, visto che sono giunti quando il corso è già iniziato da tre mesi.
I reporter intanto si scatenano dando ampio risalto alla notizia; la permanenza dei Beatles in India si rivelerà uno degli eventi chiave che daranno un ulteriore e definitivo slancio al forte interesse per le dottrine orientali, in particolare indiane, che caratterizzerà la cultura giovanile occidentale degli anni a venire.
Di quel periodo super chiacchierato sui giornali dell’epoca rimane la famosa fotografia di Maharishi con i suoi famosi discepoli al fianco. Lo scatto è tuttora considerato come uno dei più emblematici della storia del rock.

Ringo e la moglie sono i primi a rientrare in Inghilterra dopo due settimane perché hanno nostalgia di casa e dei figli. Al suo ritorno, il batterista, racconta di essersi trovato molto bene, di meditare ogni giorno e di sentirsi una persona migliore.
Paul parte invece con Jane il 26 marzo, al termine di cinque intense settimane, anche lui completamente soddisfatto dell’esperienza.
John e George, invece, scelgono di trattenersi più a lungo ma, dopo alcune settimane di apparente beatitudine, rompono l’idillio e lasciano improvvisamente l’asharan. Tornato in patria, John si scaglierà pubblicamente contro lo yogi, arrivando a dichiarare: “Abbiamo commesso un errore”. Scriverà quindi la canzone Sexy Sadie, dedicata proprio a Maharishi, dove il guru viene dipinto come un uomo supponente e subdolo, che utilizza il proprio potere per sedurre le sue giovani allieve. Pare che alla base dell’ arrabbiatura di John e della conseguente partenza di lui e George ci sia una voce secondo la quale Maharishi avrebbe fatto delle pesanti avances a Mia Farrow durante un puja.
Una voce che ben presto si rivela totalmente infondata e messa in giro dall’ingegnere del suono dei Fab Four, Alex Mardas, per tutti Magic Alex. Dopo l’improvvisa scomparsa di Brian Epstein, Alex ambisce alla prestigiosa poltrona di quinto scarafaggio, e vede nella figura del Maharishi un possibile ostacolo nella gestione della band.
Jenny Boyd, ex cognata di George, racconta: “Allora arrivò Magic Alex. Venne perché non era d’accordo che i Beatles meditassero e voleva che John rientrasse in Europa. Divenne amico con un’altra ragazza del nostro gruppo, li vedevo camminare insieme nell’ashram, ovviamente complottando qualcosa”.
Nella sua autobiografia, Cynthia Lennon riporta: “Alex e un’altra ragazza cominciarono a piantare i semi del dubbio in menti molto aperte… la voce sparsa da Alex – che Maharishi fosse stato indiscreto con una certa donna, rivelandosi un mascalzone – cominciò a guadagnare terreno. Tutto senza una minima prova o giustificazione. Per me era ovvio che Alex volesse più di ogni altra cosa i Beatles lontani dall’India. Ci fu molta confusione e, in mezzo ad accuse e rabbia, Maharishi venne accusato e condannato senza avere la possibilità di difendersi. Alex chiamò subito un taxi per l’aeroporto e fece in modo che John e George non avessero possibilità di parlare con Maharishi”.
Deepak Chopra, scrittore ed ex braccio destro del leader del movimento di Meditazione Tracscendentale, sostiene invece un’altra versione: Maharishi, colpito negativamente dal continuo uso di droghe da parte dei membri della band, ne chiede conto a George e John, che indispettiti decidono di andarsene.
Altri ancora ritengono che il motivo della partenza dei due sia invece da ricercare nel film documentario su Maharishi le cui riprese sono previste in quei giorni. I Beatles non vorrebbero prendervi parte ma non sanno come dirlo al guru, così decidono di andarsene adducendo la scusa delle attenzioni alla Farrow.
Il mistero verrà chiarito soltanto parecchi anni dopo quando Star e Harrison prenderanno parte a un concerto in onore di Maharishi e lo loderanno pubblicamente, scusandosi per le tante falsità che si sono dette riguardo la loro dipartita dall’India.
In seguito sarà George stesso a smentire categoricamente quelle voci e fornire una versione definitiva all’intera faccenda: “In India qualcuno cominciò a spargere voci negative su Maharishi, voci che hanno invaso i “media” per anni. C’erano molte storie sul fatto che Maharishi non fosse a un livello… non si sa bene di che cosa, ma questo era detto solo per gelosia. Ci vorrebbero degli psichiatri per capire. Non so che cosa passò per la testa di certe persone, ma so che tutta questa merda fu inventata. Probabilmente è persino riportato nei libri di storia che Maharishi cercò di importunare Mia Farrow – in realtà la voce riguardava un’altra ragazza americana bionda con capelli corti, come Mia. Ma sono tutte balle, completamente balle.”.
E sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizzeranno Star e McCartney.
Qualsiasi sia stato il valore dell’esperienza della meditazione per i Beatles, il viaggio in India con Maharishi genera comunque un periodo straordinario per la loro creatività. Quasi tutte le canzoni che appariranno nel White Album e in Abbey Road vengono scritte in quelle poche settimane. Persino Ringo compone una canzone, Don’t Pass Me By.
Per la prima volta dopo anni il cervello di John è libero dalle droghe e la musica gli esce fuori come un fiume: Julia, Dear Prudence, The Continuing Story Of Bungalow Bill, Mean Mr.Mustard, Across the Universe, Cry Baby Cry, Polythene Pam, Yer Blues, I’m So Tired.
Anche Paul è molto prolifico e scrive quindici canzoni tra cui: Wild Honey Pie, Rocky Racoon e Back in the USSR. Mother Nature’s Son è addirittura ispirata da una lezione sulla natura di Maharishi; la medesima lezione ispira anche John che compone I’m just a child of nature, il cui titolo in seguito verrà cambiato in Jealous Guy. Dear Prudence viene invece scritta per la sorella di Mia Farrow, Prudence, che ancora oggi è un’apprezzata insegnante di Meditazione Trascendentale.
Qualche anno dopo anche John Lennon rivalutò l’esperienza indiana, dichiarando: “In India scrissi centinaia di canzoni. Scrissi alcune delle mie canzoni più belle. Era un bel posto. Bello e sicuro, e tutti sorridevano sempre. L’esperienza ne è valsa la pena, se non altro per le canzoni che sono venute fuori. Siamo ancora al cento per cento in favore della meditazione,anche se non andremo a costruire un tempio dorato nell’Himalaya”.
Gli fa eco Paul: “Guardando indietro sento che l’esperienza con Maharishi è stata molto valida. Erano i pazzi anni ‘60, avevo usato molte droghe, non ero innamorato di nessuno, non ero tranquillo. Penso fossi alla ricerca di qualcosa per riempire un buco. Ricordo che mi sentivo un po’ vuoto. L’esperienza della meditazione è stata un grosso dono che Maharishi mi ha fatto per tutta la vita, ancora oggi uso il mio mantra. È stato sempre nel retro della mia mente. Per esempio quando ero in prigione in Giappone è stato molto utile; ho meditato molto laggiù ed è stata un’ottima cosa. Non mi permettevano di scrivere e non volevo stare lì a fare niente. La mia mente era agitata e la meditazione mi è stata d’aiuto.
La trovai molto utile allora e la trovo molto utile ancora oggi. Ora dico ai miei figli: “andate a imparare il vostro mantra, perché, se mai vorrete meditare e siete in cima a una montagna da qualche parte, saprete che cosa fare”.
Dopo molti anni ma l’esperienza è ancora viva e apprezzata nell’universo fab four.
Yoko Ono, in un’intervista rilasciata a Rolling Stone nel 2009, ha aggiunto: “John sarebbe stato il primo oggi, se fosse ancora qui, a riconoscere e ad apprezzare tutto quello che Maharishi ha fatto per il mondo”.
Che altro aggiungere? George ha meditato per tutta la sua vita, Ringo e Paul lo fanno ancora oggi. La meditazione è tutt’ora praticata in tutto il mondo, da attori, cantanti, artisti ma anche tanta gente comune in cerca di nuova consapevolezza. Venti minuti al giorno, due volte al giorno. Vale anche per il sottoscritto.
E allora tutti giù, in acque profonde, alla ricerca del nostro album bianco.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Piovono Rane

Pecore e leoni, che non lo sono

Ieri ho seguito le due manifestazioni no pass più importanti, Milano e Torino, con le rispettive voci di persone comuni e oratori dal palco.

Tra le cose che mi hanno colpito, l’accusa frequentissima agli altri di “avere paura”. Cioè di accettare il vaccino, e quindi il certificato verde, per paura personale, per tremebonda codardia di fronte al virus che loro invece affrontano petto in fuori, “meglio morti che schiavi”.

La paura. Che poi è normale e comprensibile sentimento umano: e immagino che sì, molte persone si siano vaccinate per avere meno probabilità di finire intubati, o morti. Penso a un paio di miei amici diabetici, ad esempio, che non vedevano l’ora di avere le due dosi. Can you blame them, seriamente?

Ma è proprio di molti anche l’approccio opposto, quello eroico, diciamo. Quello dell’orgogliosa chiusa di Robert Kennedy jr, all’Arco della Pace, ieri, “morirò nei miei stivali”. Ricordate “sine ullo metu”? Era una delle frasi più frequenti nelle versioni di latino: è l’idea del coraggio come valore, valore ben più nobile della paura, spesso indicata come codardia.

E fin qui, potrebbero essere scelte, approcci esistenziali: da una parte la paura e dall’altra il coraggio.

Le continue metafore belliche con cui è stato definita (appunto) la “guerra al virus” confermerebbero questo dualismo.

Il che, però, è solo un’ulteriore prova di come quelle metafore belliche fossero sbagliate.

Per tanti motivi.

In guerra, tanto per cominciare, il coraggioso difende gli altri: è la sua eroica resistenza, là in prima linea, a consentire al codardo in retrovia di scappare.

In questo caso – quello del Covid – è un po’ diverso: l’eroica resistenza del no vax mette in pericolo in primis lui, certo, ma aumenta il rischio anche per gli altri, che hanno comunque il 25-30 per cento di probabilità di infettarsi. Qui l’eroe non svolge alcuna funzione meritoria per gli altri, mi pare. Un po’ strano, come eroe.

E questa è già una prima asimmetria.

Ma ce n’è una seconda, forse un po’ più decisiva.

Una seconda che il no-vax non prende nemmeno in considerazione.

E cioè: ma se la mia paura non riguardasse soltanto me ma soprattutto gli altri, la società nel suo insieme?

Voglio dire: io, ad esempio, come under 60 (seppur per poco) senza alcuna malattia pregressa ho pochissime probabilità di finire in ospedale, ancor meno intubato, ancor meno nella tomba: così almeno dicono le statistiche, che mi danno più probabilità di schiattare nella gita in moto fuori porta.

Quindi, personalmente, potrei abbastanza fregarmene no?

Ma invece sì, ho paura: per tutto il resto.

Ho paura perché ho visto cosa ci succede attorno quando l’epidemia dilaga. I vecchi e i deboli portati via nei camion, la gente chiusa in casa, i pacchi alimentari, le malattie psichiche, la coda disperata al supermarket, l’azzeramento del reddito di chi non è un lavoratore dipendente, gli elicotteri della D’Urso che inseguono i runner, i bambini e i ragazzi privati della socialità, i negozi chiusi e le strade deserte. E tutto il resto, è storia di ieri anche se lo abbiamo rimosso.

Sì, ho paura di vivere ancora in un posto così. E francamente, non la trovo codardia. Così come non trovo eroico chi si crede tale ma non svolge alcun ruolo positivo per gli altri.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Mia cara Olympe

Violenza domestica: ‘Maid’ e il reddito di libertà

Funzionerà  il reddito di libertà, misura di sostegno economico  – fino a 400 euro al mese per un anno –  pensata per le donne vittima di violenza con o senza figli? Per avere una risposa, o meglio per capire come dovrebbe funzionare guardate ‘Maid’, la straordinaria serie americana firmata da Molly Smith Metzler, con Margaret Qualley e Andie McDowell, storia di ‘normale’ violenza domestica, di uomini che bevono e di rifugi per donne che da loro scappano, storia delle vite luccicanti e insieme oscure degli altri, quelli nelle cui case la giovane protagonista Alex pulisce e pulisce a otto dollari e 50 centesimi l’ora per pagare a se stessa e alla propria bambina la libertà di andare, lasciarsi alle spalle relazioni abusanti e difficili e inventarsi una vita nuova.

Ma quella è l’America, si dirà, l’America dei bianchi poveri, delle vite che cascano a pezzi e senza reti di protezione, delle sperequazioni intollerabili tra ville da riviste d’arredamento e catapecchie precarie o roulottes nei parcheggi, tra cappotti di cashmere e cibo spazzatura, tra lavori d’élite e cessi luridi – ne dovrà pulire 380 Alex per costruirsi la propria via d’uscita.  Eppure, tra le moltissime cose che ‘Maid’ suggerisce, interrogando in profondità e con i dovuti chiaroscuri la relazione di coppia e, altro importantissimo tema, quella tra Alex e  sua madre, alcune sono assai utili  a capire di cosa ha bisogno una donna che, pur di non vedere più pezzi di un bicchiere rotto dal partner tra i capelli della sua bambina, scappa da casa e poi, dinamica nota, ci ritorna per scapparne di nuovo. ‘Maid’, va detto, è ispirato ad una storia vera, al memoir di Stephanie Land, edito in Italia da Astoria ”Donna delle pulizie. Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre  e ciò  restituisce un peso specifico alla storia di Alex, proprio nel senso indicato da Annie Ernaux, per la quale la scrittura è ‘ricerca del reale, del reale sociale, collettivo, del reale delle donne’ e l’io è, appunto, un io collettivo. Storia di una per leggere quella di tante, insomma.

E dunque il reddito di libertà: c’è una sequenza in cui Alex – la bimba in braccio, una notte passata in macchina dopo i pugni contro il muro troppo vicini per non capire che è l’ora di prendere Maddy e fuggire via – si rivolge ai servizi sociali. Lei ha cambiato, al seguito della madre errante dopo aver lasciato il padre, sei licei diversi, non ha soldi, non ha lavoro, lui non l’ha picchiata e lei non vuole denunciare quel che ancora non le è chiaro come abuso psicologico, sulla sua famiglia non può contare. Il colloquio è surreale e se vi ricorda anche l’Inghilterra di certi film di Ken Loach non sbagliate: ‘Può darmi qualcosa di utile? Ha qualche abilità particolare? Lavora?’ chiede l’assistente sociale. ‘No’ .’Mi servono due buste paga per metterla in lista per una casa popolare e l’elenco è lungo’. ‘Non potete fare nient’altro per noi?’ ‘Sinceramente senza un lavoro, no’. ‘Ma come posso trovare lavoro se non ho i soldi per l’asilo? ‘Quando avrà un lavoro potremo fare domanda per i fondi per l’asilo pubblico’. ‘Serve un lavoro per dimostrare che mi serve un asilo per lavorare?  Ma che cazzata è questa?’ conclude amara Alex.

Ecco: chi scappa, chi si rivolge ad un centro antiviolenza ha bisogno di ascolto e di aiuto, non di schiantarsi contro il muro di gomma della burocrazia e del rinvio ad altro ufficio o a una carta che non è mai quella giusta. E se l’Italia non è l’America già a leggere qui come inoltrare la richiesta si vede la farraginosità dei tanti passaggi, già i centri della rete D.i.Re notano che, per ottenere la misura, è prevista una certificazione dei servizi sociali che ‘non è necessaria né per l’astensione dal lavoro a causa della violenza, né per gli assegni familiari, mentre invece è stata imposta per il reddito di libertà’. Per non parlare poi dello stanziamento  complessivo: la rete calcola che i soldi stanziati potrebbero aiutare nel loro percorso di autonomia ‘al massimo 625 donne in tutta Italia, quando sono oltre 20.000 ogni anno le donne accolte nei soli centri antiviolenza della rete D.i.Re, e circa 50.000 nel totale dei 302 centri antiviolenza contati dall’ISTAT nel 2018′. Certo la coperta  del welfare è corta, certo non tutte le donne vittime di violenza hanno problemi economici, ma molte per svariate ragioni sì e devono sapere su cosa, ed effettivamente, possono contare. Una misura strutturale chiede la rete D.i.Re, perché strutturale è la violenza. E l’efficace espediente narrativo di ‘Maid’ ritorna in mente: mentre Alex fa la spesa, mentre si sforza di far partire la vecchia macchina per andare a lavorare, in ogni momento della sua vita difficile una sorta di tassametro segnala, a lei e a noi che vediamo, il calare delle sue scarsissime finanze. È un indicatore concreto e, insieme, una metafora della possibilità di farcela a tirarsi fuori da relazioni tossiche. La nuova misura ha un  nome impegnativo, reddito di libertà, tocca onorarlo.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La nave di Penelope

Scalate, vette e classifiche: fanno davvero bene alla scuola?

La pubblicazione dell’ “Eduscopio” è uno dei momenti concitati dell’anno dei cronisti che si occupano di scuola. Si tratta di un portale della Fondazione Agnelli che ha l’obiettivo di aiutare le famiglie o gli studenti che stanno concludendo le medie nella scelta del liceo o dell’istituto tecnico o professionale in cui iscriversi. I ricercatori, attraverso l’analisi dei dati occupazionali o del rendimento universitario degli ex studenti nei due anni successivi al diploma, investono le varie scuole di punteggi che indicherebbero la qualità della preparazione che impartiscono. In questo modo si creano, inevitabilmente, delle classifiche.

Le classifiche e i dati sono cose a cui nessun giornalista riesce a resistere. Così, alla vigilia della pubblicazione dei dati online, noi cronisti apriamo in anteprima le tabelle del territorio di riferimento e li confrontiamo con quelli degli anni precedenti, cercando una chiave di lettura.

A volte commentiamo i risultati con i colleghi che seguono anno dopo anno l’argomento. “I paritari sono scesi, c’è la rivincita degli statali. Poi hai visto che quest’anno, finalmente, tra i licei classici c’è una new entry che viene dalla periferia?”. Ci si confronta come tifosi all’estrazione dei gironi della Champions League. Ma, in realtà, buona parte di noi si chiede se questa classifica, come altre, aiuti davvero studenti e famiglie nella scelta della scuola migliore per loro.

Un dubbio portato avanti anche da alcuni dirigenti scolastici, che a volte accolgono con sollievo il fatto di scendere dal podio. Spiegano che più si è in alto e più si ricevono richieste di iscrizione, trovandosi inevitabilmente a reindirizzare qualcuno per mancanza di posto. Uno dei presidi di un blasonato liceo scientifico milanese, sempre sul podio, fa notare, ogni anno, che ci sono ottime scuole che risultano assenti dalla top 10 e che magari ricevono meno iscrizioni proprio per questo.

E poi si sa, quando le scuole hanno troppe richieste, devono mettere dei criteri di selezione. E spesso, a fare la differenza, è la pagella di seconda media. Così si inizia presto a fare questa rincorsa alla vetta. Che continua alle superiori: per arrivare alla lode alla maturità si parte dai voti della terza superiore. Ma questo voler eccellere a tutti i costi, senza mai potersi permettere errori, fa davvero bene ai ragazzi? Davvero vogliamo dei giovanissimi agonisti della lavagna, sempre in competizione con i propri coetanei fin da piccoli?

In ogni caso, per la scelta di una scuola, può contare davvero solo la performance degli ex studenti? Se si considera il livello occupazionale dei neo diplomati, cosa succederà alla classifica quando verrà preso in considerazione un momento di flessione del mercato del lavoro? Nell’Eduscopio di quest’anno non si sente del tutto l’ “effetto Covid” dal momento che prende in considerazione i risultati dei diplomati del 2015/16, 2016/17 e 2017/18 fino al settembre del 2020.

Anche nel caso dei risultati universitari, gli anni di riferimento sono gli stessi. Questo significa anche un’altra cosa: si parla di persone diplomate fino a tre anni fa. In che modo questo può restituire una fotografia fedele di quanto avviene dentro a una scuola? In tre anni possono essere cambiati i dirigenti scolastici, i docenti. E ovviamente i ragazzi. Possono esserci state riforme, cambi di programma e pandemie. Come è successo effettivamente, portando la scuola in Dad, con tutte le conseguenze del caso.

Ci sono anche altri fattori che uno strumento che valuta la performance non prende in considerazione: come le proposte, l’innovazione e i progetti che le scuole portano avanti. Soprattutto quelli che riguardano la sfera sociale e dell’inclusività. Tutti argomenti che meritano di essere presi in considerazione quando si sceglie di passare cinque anni di un’età così difficile, come l’adolescenza, dentro a una scuola e non un’altra. Il liceo non è l’università, a volte si dimentica questo aspetto.

Per tutte queste ragioni penso che lo strumento dell’Eduscopio sia utile, perché può dare indicazioni interessanti, ma da solo non è sufficiente per prendere una decisione. Che cosa ne pensate? Mi piacerebbe conoscere le vostre idee. Scrivetemi a: lanavedipenelope@gmail.com

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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    Emma Dante con “L’angelo del focolare” al Piccolo Teatro: “Quante volte muore una donna?”

    L’attesissimo nuovo lavoro di Emma Dante, “L’angelo del focolare”, debutta in prima nazionale al Piccolo Teatro Grassi. Quante volte muore una donna che subisce da sempre la violenza del marito? Nessuno le ha creduto da viva e nessuno le crede neppure da morta. Così, anche dopo essere stata uccisa, ogni mattina si alza e ripete i gesti di tutti i giorni, svolge le faccende domestiche, subisce violenza e infine muore di nuovo, in un infernale circolo vizioso. Un opera potentissima, struggente, imperdibile. Emma Dante l’ha raccontata alla stampa.

    Clip - 11-11-2025

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    Musica leggerissima di martedì 11/11/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Adolescenti. Ritiro sociale: la paura dello sguardo altrui

    La dispersione scolastica e il ritiro sociale sono due fenomeni che colpiscono ragazze e ragazzi che “si sentono fuori dal network relazionale della classe, che hanno paura dell'incontro con l'altro sesso, che hanno paura della socializzazione e che, quindi, preferiscono starsene fuori, preferiscono di no” ci spiega Antonio Piotti, psicologo e psicoterapeuta dell'Istituto Minotauro, esperto di disagio giovanile e adolescenziale. Storie di adolescenti che si sentono esclusi, famiglie in difficoltà, territori poveri di possibilità o scuole che faticano a trattenere i più fragili. Ragazze e ragazzi che abbandonano la scuola prima di avere conseguito un diploma o che si autorecludono in casa. Ascolta l'intervista andata in onda a Fuori registro, la trasmissione dedicata al mondo della scuola, in onda ogni martedì, dalle 20.30 alle 21.30, a cura di Lara Pipitone, Chiara Pappalardo e Sara Mignolli.

    Clip - 11-11-2025

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    Considera l’armadillo di martedì 11/11/2025

    Con Guido Pinoli, ornitologo di @Selvatica. Milano facciamo un punto sugli uccelli metropolitani e raccontiamo dell'escursione del 15 novembre a @Oasi Naturalista della Martesana, ma anche di @Enpa, di Fugatti, di @Regione Toscana e caccia. A cura di Cecilia Di Lieto.

    Considera l’armadillo - 11-11-2025

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    Cult di martedì 11/11/2025

    Cult è condotto da Ira Rubini e realizzato dalla redazione culturale di Radio Popolare. Cult è cinema, arti visive, musica, teatro, letteratura, filosofia, sociologia, comunicazione, danza, fumetti e graphic-novels… e molto altro! Cult è in onda dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 11.30. La sigla di Cult è “Two Dots” di Lusine. CHIAMA IN DIRETTA: 02.33.001.001

    Cult - 11-11-2025

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    Pubblica di martedì 11/11/2025

    Promemoria per i tempi di manovre di bilancio. Più soldi guadagni e maggiori sono i benefici fiscali che ricevi dal governo. E’ il capolavoro politico-fiscale che il governo Meloni è riuscito a realizzare con l’ultima legge di bilancio, ora in discussione in parlamento. Ha scritto l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), istituzione indipendente, nei giorni scorsi: «la riduzione dell’aliquota legale dal 35 al 33 per cento, nell’intervallo di reddito tra 28.000 e 50.000 euro, produce un beneficio fiscale differenziato che cresce al crescere del reddito». Ripetiamo: il taglio delle aliquote Irpef ha prodotto «un beneficio fiscale differenziato che cresce al crescere del reddito». Una manovra regressiva, che fa aumentare le disuguaglianze. Alla stessa conclusione è arrivata anche l’Istat e la Banca d’Italia. Ma il governo Meloni ha preso le distanze da queste conclusioni. Pubblica oggi ha ospitato l’economia Maurizio Franzini e la sociologa Enrica Morlicchio. Di fronte alle politiche della destra al governo che aumentano esplicitamente le disuguaglianze, abbiamo deciso di partire dai fondamentali con i nosti ospiti: che cos’è l’uguaglianza? Cosa significa parlare di uguaglianza in un paese che la prevede fin dalla sua Costituzione (articolo 3)? Quali meccanismi ha messo in moto l’esecutivo per una manovra “di classe”?

    Pubblica - 11-11-2025

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    A come America di martedì 11/11/2025

    Donald Trump e la svolta conservatrice della democrazia USA. A cura di Roberto Festa e Fabrizio Tonello.

    A come America - 11-11-2025

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    A come America di martedì 11/11/2025

    A cura di Roberto Festa con Fabrizio Tonello

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 11-11-2025

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    MASSIMO FILIPPI - LAIKA, FORSE

    MASSIMO FILIPPI - LAIKA, FORSE - presentato da Cecilia Di Lieto

    Note dell’autore - 11-11-2025

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    Dopo il taglio ai fondi antismog da Meloni e Salvini meno soldi ai trasporti lombardi

    Dopo la sforbiciata da 270 milioni in tre anni ai fondi per le politiche anti inquinamento, arriva la conferma che dal governo Meloni arriveranno fondi insufficienti anche per il trasporto pubblico locale. La Lombardia è particolarmente penalizzata e se n’è accorto persino il presidente della giunta lombarda Attilio Fontana che ora chiede più risorse al Governo. La Lombardia riceve il 17,6% delle risorse nazionali destinate al trasporto pubblico, una quota che sembra destinata a non aumentare. Il risultato per chi si muove sui mezzi pubblici è che, sia con la mano del governo nazionale, sia con quello di quello regionale, i fondi sono insufficienti. E davanti ai finanziamenti insufficienti tocca ai comuni integrare con fondi propri. Per le opposizioni di centrosinistra la destra è incapace di risolvere i problemi dei cittadini. La denuncia di Simone Negri, consigliere regionale del Pd che si occupa di trasporti.

    Clip - 11-11-2025

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    CECCHETTIN DUE ANNI DOPO

    La giovane età di vittima e assassino non era un’anomalia. Due anni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin i dati lo confermano: si abbassa progressivamente l’età di chi agisce e subisce violenza. Qualcosa non funziona, forse, nel passaggio generazionale anche da parte di chi si sente assolto. Servirebbe parlarne a scuola? Si, ma soltanto con l’autorizzazione delle famiglie, secondo la destra. Cioè di quei soggetti all’interno dei quali, quando c’è, la violenza viene esercitata. Ospiti: Elisabetta Canevini, Presidente quinta sezione penale del Tribunale di Milano; Lara Pipitone, insegnante, conduttrice di “Fuori Registro” su RP; Lorenzo Gasparrini, filosofo, formatore per la Fondazione Giulia Cecchettin. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 11-11-2025

Adesso in diretta