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Appunti sulla mondialità

Le sanzioni internazionali, tra ipocrisia e geopolitica

L'arma a doppio taglio delle sanzioni internazionali.

Quando si parla di sanzioni internazionali, spesso si fa riferimento in modo generico a una categoria molto composita di provvedimenti, che possono essere applicati legittimamente oppure no. Le sanzioni militari o economiche sono considerate dal diritto internazionale come uno strumento lecito per colpire un Paese, o le persone fisiche che controllano un Paese, quando lo stesso viola diritti fondamentali oppure diventa una minaccia per la pace. In realtà, nella storia solo in pochi casi le sanzioni sono state applicate in nome del diritto internazionale. Le più note sono probabilmente quelle che isolarono il Sudafrica per via dell’apartheid: la Convenzione ONU contro l’apartheid entrò in vigore nel 1976 e a metà degli anni ’80 vi aderirono anche Stati Uniti e Regno Unito. Pochi anni più tardi, nel 1990 furono varate sanzioni contro l’Iraq reo di avere invaso il Kuwait.

Perché le sanzioni abbiano legittimità devono discendere dalla condanna espressa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ed è qui che generalmente si inceppa il meccanismo. Come noto, lo statuto del massimo organismo delle Nazioni Unite per la sicurezza e la pace prevede che cinque nazioni (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito) godano di uno status particolare: sono membri permanenti (mentre gli altri 20 Stati lo sono a rotazione) e hanno potere di veto su qualsiasi argomento discusso dal Consiglio. Questo meccanismo “truccato”, che fu pensato nella logica della Guerra Fredda, è quello che impedisce, al netto di rarissime eccezioni, che il Consiglio di Sicurezza sia davvero una guida del diritto internazionale. Lo si è drammaticamente verificato nelle ultime settimane, dopo il sanguinoso colpo di Stato in Myanmar, non condannato a causa del veto cinese.

Questa situazione porta quindi diverse potenze, tra le quali figurano quelle stesse che a turno paralizzano l’ONU, a imporre sanzioni unilaterali. Cioè decise in autonomia, senza il riscontro delle norme del diritto internazionale. L’elenco è lungo, ma il caso più antico tuttora in corso è l’embargo statunitense contro Cuba: risale al 1962 ed è stato condannato dall’Assemblea Generale dell’ONU per ben dieci volte, con una schiacciante maggioranza che include l’Europa.

Negli ultimi anni le sanzioni economiche si sono concentrate sulle persone fisiche individuate come responsabili di particolari situazioni o sugli scambi commerciali. Contro il Venezuela, ad esempio, gli Stati Uniti hanno cambiato strategia rispetto al caso cubano, imponendo sanzioni nei confronti di aziende, militari e politici legati al governo bolivariano. Ora lo stesso strumento viene usato per i generali birmani golpisti. Si tratta di un’evoluzione delle sanzioni che parte da una presa di coscienza: quando si agisce contro un intero Paese si rischia che a pagarne le conseguenze siano soprattutto i più poveri. Perciò attualmente si tende a colpire gli interessi personali dei responsabili delle violazioni dei diritti umani.

Nel caso delle sanzioni commerciali la vicenda si fa più complessa: addirittura rischiano di diventare un boomerang. Talvolta chi le impone ne è consapevole, e ciò ne indebolisce la portata. È il caso delle sanzioni europee contro la Russia per l’intervento in Ucraina, varate sì, ma senza interrompere l’afflusso di gas dalla Siberia verso l’Unione. A volte però la situazione sfugge di mano, ed è il caso della guerra dei dazi dichiarata da Donald Trump contro la Cina per obbligarla a bilanciare i rapporti commerciali, situazione che alla fine ha colpito più l’economia USA di quella cinese.

Si può concludere quindi che le sanzioni unilaterali sono rischiose, oltre che spesso ingiuste. D’altra parte sono l’unico strumento possibile, giacché il sistema ONU è bloccato. Proprio questo dato di fatto dovrebbe portare a dare massima priorità alla riforma del Consiglio di Sicurezza, così da restituire legittimità a uno strumento spesso usato in modo improprio. Per fortuna però, sia pur raramente, qualcuno lo adopera per una giusta causa: come quando vengono colpiti nelle tasche i generali birmani.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Politica leggera

No Draghi, la demagogia vaccinale no

A pensarci, l’uscita di Draghi contro chi salta la fila per farsi il vaccino non mi è piaciuta granché.

Anzi non mi è piaciuta per niente.

Buona per la demagogia, postura che non gli dovrebbe appartenere.

In Italia ci sono state fino a oggi centinaia di migliaia di persone giovani e in forze che sono state vaccinate prima degli anziani e dei fragili, cioè prima di quelli che di covid muoiono.

La colpa è:

-delle regioni, che hanno dato precedenze quantomeno discutibili, si pensi alla Toscana amministrata dal piddino (un po’ anomalo) Giani. Ma gli esempi possibili sono molti: la Campania di De Luca, la Puglia di Emiliano, la Calabria, la Sicilia.

-del Governo, quindi anche di Draghi, che avrebbe potuto imporre criteri anagrafici validi in tutta Italia, e non lo ha fatto (imporre significa imporre, non significa dirlo e poi stare a vedere cosa succede).

Personalmente non condivido la scelta di aver vaccinato in via prioritaria categorie che avrebbero potuto attendere. E ho trovato deprimente lo spettacolo delle lamentele reciproche e di parte (“e allora gli insegnanti?” “e allora i poliziotti?” “e i magistrati, vogliamo parlare dei magistrati”?) quando troppo pochi hanno affermato che il solo approccio logico, oltre che civile, sarebbe stato quello di vaccinare in rigoroso ordine di età, fatti salvi i fragili e gli operatori sanitari.

Ciò detto, si è trattato di scelte politiche, non del prevalere del furbo, categoria di cui pure il paese abbonda.

Di solito, quando si addita il capro espiatorio, poi dal giorno dopo tutto ricomincia esattamente come prima.

Speriamo che non finisca così anche questa volta, all’italiana

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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L'Ambrosiano

Eutanasia degli anziani, lacrime di coccodrillo. Gode l’INPS

Nulla è cambiato in un anno: tra i morti di Covid la percentuale di anziani sfiora il 90 per cento del totale. La differenza sta nelle condizioni in cui l’ecatombe è gestita e narrata. Allora eravamo impreparati e sulla decimazione di una generazione si poteva piangere per i decessi in completa solitudine e i funerali nemmeno celebrati.

Oggi, le Autorità celebrano la ricorrenza dei camion militari carichi di salme portate in altre regioni; intanto molti di quei pubblici poteri non somministrano vaccini agli ultraottantenni e, se lo fanno, usano il contagocce e si servono di sistemi informatici scandalosi per inefficienza e umilianti per i cittadini. Immunizzano altre categorie ai cui richiami sono molto sensibili. Draghi ha denunciato la loro sudditanza a interessi altri rispetto a una corretta tutela della salute delle categorie più deboli, li ha accusati di agire «in base a qualche forza contrattuale». Loro non si danno per intesi. L’han detto: «Gli anziani non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese» (Toti, Liguria); «Gli anziani possono attendere» e «Vaccini in base al Pil» (Moratti, Lombardia).

In un anno il Paese ha cambiato pelle? O il virus ha portato alla luce una parte di tenebre già presente in noi? C’è una visione generale secondo cui merita di vivere chi serve: gli altri si arrangino. È la cultura dello scarto denunciata dal Papa. Quanto agli anziani, le Rsa, di cui nella pandemia abbiamo visto i disagi, son segnali d’una mentalità che ghettizza e, appunto, scarta.

Insomma Paese e politica che non riescono ad affrontare il “fine vita” in Parlamento, di fatto legittimano una sorta d’eutanasia “controllata” degli anziani. Con prevedibili risvolti “produttivi”: è stato calcolato che nel decennio l’INPS risparmierà una dozzina di miliardi grazie ai morti Covid. Del resto il Ministero della Salute ha messo le mani avanti. Nel Piano Pandemico 2021-23 ha previsto che se le risorse saranno scarse i «trattamenti necessari [andranno forniti] preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne beneficio». Dicono che «Non è consentito agire violando gli standard dell’etica e della deontologia, ma può essere necessario». Amen.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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DisOrdine internazionale

Una vergogna d’Europa

È difficile capire come sia potuta accadere la figuraccia planetaria dei vertici UE in udienza dal sultano di Ankara. Lo squallido teatrino a cui il mondo ha assistito sarà stato pure orchestrato da Erdogan, ma non sarebbe potuto andare in onda senza l’attiva partecipazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel e, spiace dirlo, della stessa presidente della commissione europea Ursula von der Leyen.
Von Der Leyen sostiene di aver comunque “perorato i diritti delle donne”, nei suoi colloqui riservati con il presidente della Turchia. Sarà; ma il mondo l’ha vista abbozzare, mentre l’altro rappresentante dell’Unione neppure faceva mostra di accorgersi di che cosa stava andando in scena grazie alla sua partecipazione. Si potrebbe parlare di un grave danno subito dal concetto di “pluralismo culturale non relativista” (che cioè ritiene alcuni principi fondamentali non negoziabili: come la parità di genere), se non fosse che persino al suo interno l’Unione dimostra di essere disposta a trattare su qualunque cosa. Basti pensare a quanto concesso ai regimi sempre meno “liberali” di Ungheria e Polonia, cioè di due Stati membri, a proposito del “rispetto dello Stato di diritto” come pre-requisito per poter accedere ai fondi di Next Generation Ue.
Ma qui è in gioco qualcosa di politicamente meno ambizioso e, al tempo stesso, più vitale: che cosa l’Unione pensa di essere, oltre a un gigantesco mercato unico. Altro che “grande potenza morale” come i suoi inutili e controproducenti aedi l’hanno voluta cantare alla fine della Guerra fredda. Qui siamo di fronte a un meschino e gretto attorucolo, inconsistente dal punto di vista della capacità di provare a modellare il tempo e lo spazio sulla base dei suoi valori e delle sue aspirazioni ideali. C’è solo una cosa peggiore di essere vili e irrilevanti: saperlo e contemporaneamente fare finta che non sia vero.
Tutto questo mentre oltreoceano, a Washington, abbiamo un settuagenario presidente che propone una radicale riforma del modo in cui capitalismo e innovazione tecnologica sono stati (mal)governati negli ultimi quarant’anni. E mette al centro della sua azione politica la creazione di (buoni) posti di lavoro, il riequilibrio del carico fiscale e lo scandalo di un’elusione fiscale che ha portato i giganti economici e finanziari a non contribuire al sacrificio collettivo per la lotta alla pandemia. Sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale, che esplicita la necessità di una tassazione straordinaria sul reddito e sul patrimonio dei più ricchi per fa ripartire l’economia (altro che la flat tax di Salvini e la contrapposizione tra “statali” e “autonomi” di Meloni). In questo sforzo, il silenzio europeo è assordante, la sua timidezza politica imbarazzante, la sua pochezza culturale vergognosa.

  • Vittorio Emanuele Parsi

    Insegna Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica a Milano, dove dirige l’ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – e all’USI di Lugano. Si occupa da molti anni dello studio delle trasformazioni del sistema globale, al crocevia tra politica ed economia e tra ambito domestico e internazionale. Ultimi volumi: Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo (2021), The Wrecking of the Liberal World Order (2021).

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Palazzeide

La Tv del dolore e the show must go on

Il 13 per cento di share valgono la dignità e il dolore di una madre calpestati dallo show mediatico?
Perché, ma so bene che è una domanda retorica, qualcuno in alto in viale Mazzini non ha fermato la trasmissione di ieri sera “Chi l’ha visto”, che si è buttata a capofitto sul caso di Denise Pipitone?
Si sapeva già da ore che quella ragazza in Russia non era Denise, la notizia era nota, perché allora rimestare nel dolore di una madre che da 17 anni sta cercando la figlia e forse per qualche secondo si è illusa?
Chiaramente per gli ascolti, per quella attenzione morbosa per i casi più disperati, quelli che uno guarda alla Tv e pensa “guarda che disgraziati, figli che scappano di casa, anziani che spariscono, a me non succederà mai,” ma come al circo si continua a guardare, attratti dalle storture dell’anima e dal dolore che fa tanto ascolto.
Come il presidente del Consiglio europeo Michel avrebbe guadagnato mille punti alzandosi dalla sedia ieri ad Ankara, perché ai principi si dimostra di crederci solo quando si mettono in pratica, così ieri sera la trasmissione della Sciarelli doveva scegliere di non trattare il caso di Denise.
Perché altrimenti continuiamo a dire che è ingiusta la Tv del dolore, ma poi si continua ad alimentarla.
Del resto quella trasmissione non è diventata estremamente famosa da quando in diretta (mi vengono i brividi a pensare come è stato possibile organizzare una cosa così) la madre di Sarah, il famoso delitto di Avetrana, apprese del ritrovamento del corpo della figlia insieme a milioni di altre persone?
Se qualcuno ai piani alti della Rai avesse avuto a cuore la dignità delle persone colpite dalle tragedie, tanto considerata quando si tratta di andare in Commissione di Vigilanza o scrivere le Carte dei diritti, allora da tempo quella trasmissione avrebbe dovuto chiudere.
Poi magari ne avrebbero fatte altre dieci sulle tv private, ma la televisione pubblica non può permettersi questo.

  • Anna Bredice

    A Roma con il cuore, una figlia e la testa, a due passi dai tetti belli di Garbatella e dal Gazometro di Ostiense, atmosfere tra Ozpetek e il caffè sospeso di Casetta Rossa. A Milano con gli affetti, la famiglia e la radio della vita. Seguo la politica per Radio Popolare da tanti anni, con impegno, partecipazione, a volte rabbia e passione.

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    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 13-11-2025

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    Poveri ma belli di giovedì 13/11/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 13-11-2025

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    Il ricordo del Bataclan, dieci anni dopo la strage: “C’era bisogno di tornare a vivere”

    Sono passati dieci anni da quella notte del 13 novembre 2015, in cui durante il concerto degli Eagles Of Death Metal centotrenta persone persero la vita nell’attacco terroristico che colpì il Bataclan di Parigi. Costruito nel 1864 e dal 1991 dichiarato monumento storico, negli anni il locale ha portato sul palco della capitale innumerevoli artisti internazionali diventando un vero e proprio ”tempio della musica” francese. Oggi a Volume, il ricordo della “generazione Bataclan” e del concerto inaugurale tenuto da Sting un anno dopo la strage, in occasione della riapertura del locale. Ascolta lo speciale sul Bataclan.

    Clip - 13-11-2025

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    Sulle tracce di Rumi con Kader Abdolah

    “Quello che cerchi sta cercando te” (Iperborea) è uno dei più recenti titoli di Kader Abdolah, celebre scrittore iraniano da tempo emigrato in Olanda, in seguito a persecuzioni politiche. Il libro ripercorre le vicende e analizza le opere del famoso poeta persiano Rumi, vissuto nel 1200 e a sua volta esule dopo l’invasione mongola in Persia, e divenuto celebre in tutto il mondo proprio in seguito al forzato espatrio. A Bookcity Milano per presentare il libro, Kader Abdolah è stato ospite a Cult, intervistato da Ira Rubini.

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    Vieni con me di giovedì 13/11/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Volume di giovedì 13/11/2025

    Dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 16.00, Elisa Graci e Dario Grande vi accompagnano alla scoperta del suono di oggi: notizie, tendenze e storie di musica accompagnate dalle uscite discografiche più imperdibili, interviste con artisti affermati e nuove voci, mini live in studio e approfondimenti su cinema, serie TV e sottoculture emergenti. Il tutto a ritmo di giochi, curiosità e tanta interazione con il pubblico. Non fartelo raccontare, alza il Volume!

    Volume - 13-11-2025

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    Musica leggerissima di giovedì 13/11/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

    Musica leggerissima - 13-11-2025

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    "La fotografia è luce" diceva Mimmo Jodice: Roberta Valtorta ricorda il grande maestro

    Domenico Jodice detto Mimmo, classe 1934 nato a Napoli nel Rione Sanità, aveva 91 anni. Lascia un grande archivio che dovrebbe trovare posto a Capodimonte. Cominciò a esporre le sue foto nella famosa galleria di Lucio Amelio negli anni ‘60 collaborando con artisti come Andy Warhol, Sol LeWitt, Joseph Beuys, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis e tanti altri. Negli anni successivi le sue fotografie furono esposte in moltissime gallerie e musei di tutto il mondo. Nel 2006 l’Università Federico II gli conferì la Laurea Honoris Causa in Architettura. Una grande retrospettiva del suo lavoro fu ospitata al Madre, il Museo d’Arte contemporanea di Napoli. Ricordiamo l’uomo e il grande fotografo con un’importante conoscitrice del suo lavoro e autrice di ben tre libri e numerose pubblicazioni: Roberta Valtorta. L’intervista di Tiziana Ricci.

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    Considera l’armadillo di giovedì 13/11/2025

    Noi e altri animali È la trasmissione che da settembre del 2014 si interroga su i mille intrecci di una coabitazione sul pianeta attraverso letteratura, musica, scienza, costume, linguaggio, arte e storia. Ogni giorno con l’ospite di turno si approfondisce un argomento e si amplia il Bestiario che stiamo compilando. In onda da lunedì a venerdì dalle 12.45 alle 13.15. A cura di Cecilia Di Lieto.

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    Cult di giovedì 13/11/2025

    Oggi a Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare: il libro "Un cerchio di ciliege" (Tralerighe) di Alba Bonetti; Marco Politi su "La rivoluzione incompiuta" (IlMillimetro); la 1° edizione di SLAM - Sounds Like a Movie, festival sulle colonne sonore a Triennale Milano; ospite in studio, lo scrittore Iraniano-olandese Kader Abdolah per il suo libro "Quello che cerchi sta cercando te" (Iperborea); la rubrica di lirica di Giovanni Chiodi...

    Cult - 13-11-2025

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    Material for an Exhibition. Opere sopravvissute al bombardamento di Gaza nel 2023

    A Brescia è in corso l’ottava edizione del Festival della Pace. Uno degli eventi di maggior interesse è la mostra al Museo Santa Giulia che ha l’obiettivo di mettere in luce il ruolo dell’arte come pratica capace di tessere relazioni di solidarietà. In mostra opere di Emily Jacir, artista palestinese Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 2007. Le sue opere sono testimonianza dell’ingiustizia e oppressione subite dal suo popolo. In mostra anche le opere salvate dal bombardamento avvenuto nel 2023 di Eltiqa (in lingua araba: “incontro”) un centro per l’arte contemporanea a Gaza. Abbiamo incontrato in mostra due degli artisti che hanno fondato Eltiqa: Mohammed Al-Hawajri e Dina Mattar, poi anche Emily Jacir davanti alle sue installazioni. Le interviste di Tiziana Ricci.

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    Pubblica di giovedì 13/11/2025

    Carlo Rovelli, fisico teorico, è stato ospite oggi a Pubblica. Dieci anni fa, pochi giorni dopo le stragi di Parigi e del Batclan nelle quali furono uccise 130 persone, lanciò una «proposta per la Mesopotamia». Rovelli la illustrò a Radio Popolare: «l’Occidente - sosteneva - può continuare a bombardare (l’Isis, ndr), ma i bombardamenti, come ripetono i vertici militari, non portano a nulla. Nessuno ha voglia di invadere di nuovo la Mesopotamia, per riaprire il problema. Penso sia necessario parlare con lo Stato islamico. L’alternativa è la guerra senza fine». Dieci anni dopo, e in altri contesti, il senso della proposta di Rovelli resta intatto. Ne abbiamo parlato oggi con lui nel corso della trasmissione, insieme al suo ultimo libro «Sull'uguaglianza di tutte le cose. Lezioni americane». Nel testo (pubblicato da Adelphi, 2025) sono raccolte sei lezioni che Rovelli ha tenuto a Princeton (Stati Uniti) un anno fa, chiamato come fisico a raccontare ai filosofi il mondo dei fenomeni quantistici. Che cosa è accaduto negli ultimi dieci anni nella conocenza del mondo? «Ci siamo accorti sempre di più che le grandi teorie del XX secolo, scientifiche e fisica, funzionano incredibilmente bene», racconta Rovelli. «Lo sforzo ora è cercare di capire cosa implicano queste grandi teorie per la nostra comprensione del mondo. Il contenuto del mio libro è questo: che cosa ci dice sul mondo la grande rivoluzione culturale del XX secolo, quella dei quanti e della relatività». Buona lettura.

    Pubblica - 13-11-2025

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    A come Africa di giovedì 13/11/2025

    Col sociologo e scrittore Luciano Ardesi facciamo il punto sul #SaharaOccidentale, a 50 anni dalla #MarciaVerde del #Marocco; poi parliamo di #Cop30 e #clima con Lydia Wanja KIngeru, giovane attivista ambientalista del #Kenya in partenza per Belém. A cura di Sara Milanese.

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 13-11-2025

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