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Quattro morti sul lavoro nel giro di poche ore, dal Friuli alla Campania

morti sul lavoro ANSA

Quattro vittime nel giro di poche ore. Dal Friuli alla Campania, nell’arco di una giornata tre operai e un agricoltore sono morti sul lavoro, riportando attenzione su un tema che finisce al centro del dibattito pubblico solo in circostanze eccezionali e senza effetti concreti sulla questione della sicurezza.

Forse in questo caso, come in altre limitate eccezioni, se ne parlerà un po’ di più. Potrebbe succedere perché una delle quattro vittime, Daniel Tafa, era molto giovane: aveva 22 anni appena compiuti ed è stato colpito da una scheggia incandescente in un’azienda che si occupa di ingranaggi industriali a Maniago, in Friuli Venezia Giulia.

Può darsi che stavolta se ne parli un po’ di più anche per il numero di vittime, quattro in poche ore: oltre a Daniel Tafa, Umberto Rosito, 38 anni, travolto in autostrada in Umbria mentre veniva allestito un cantiere, Nicola Sicignano, 51 anni, incastrato – secondo le prime informazioni – in un nastro trasportatore in Campania, e Franco Cordioli, 70 anni, colpito da un malore in un’azienda agricola mantovana, dove sarebbe andato a dare una mano nonostante fosse in pensione.

Sindacati, organizzazioni come l’Associazione mutilati e invalidi del lavoro, partiti di opposizione hanno commentato tornando a chiedere interventi incisivi, che però poi alla fine non arrivano mai: se non è successo dopo stragi come quella ferroviaria di Brandizzo o del cantiere Esselunga di Firenze, per citarne solo due tra quelle degli ultimi anni, pensare che accada stavolta è praticamente utopia. Restano le richieste che continuano a venir giustamente ripetute: dai controlli che mancano alla responsabilità delle aziende negli appalti, dall’istituzione di una procura nazionale del lavoro a quella del reato di omicidio sul lavoro.

  • Autore articolo
    Andrea Monti
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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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