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Mario Dondero, un ricordo

Mario Dondero sapeva sorprendere e colpire al cuore. Con le sue fotografie che hanno ritratto senza finzioni il secondo Novecento e con il suo modo di stare al mondo, così avanti e così rétro allo stesso tempo. Una sera, di ritorno dal Festival della Fotografia etica di Lodi, ci perdemmo in macchina nelle campagne attorno, mentre raccontava di quella volta in cui era andato a trovare Paolo Conte per un reportage. Girammo in tondo per mezz’ora tra cascine e fontanili, al buio. Il navigatore del nostro amico Antonio era impazzito. Mario, co-pilota improvvisato, ebbe un’uscita geniale: “Se volete ho una bussola!” e infilò la mano in tasca per prenderla.

Con una levità disarmante, ti chiamava un sabato mattina (sapendo che eri a Milano) per invitarti all’inaugurazione della sua mostra, tre ore dopo, a Fermo, nelle Marche. O ancora, già nell’epoca dei cellulari, ti segnava a penna il suo numero di telefono su un biglietto dell’autobus non ancora timbrato.

Mario sorprendeva e incantava per il gusto con cui raccontava le cose della sua vita, una miscela rara di talento, fortuna, umanità, curiosità intellettuale, garbo, consapevolezza di sé e del mondo, passione civile, avventura e umiltà. Era stato partigiano a 16 anni nella Repubblica dell’Ossola e, in fondo, non ha mai smesso di esserlo: non ha mai esitato a scegliere da che parte stare, ma senza rigidità. “Quando andavo all’asilo, per esempio, facevo l’abissino contro le camicie nere e il pellerossa contro le giacche blu. Non so, mi sono sempre trovato istintivamente all’opposizione”, raccontò qualche anno fa in una bella intervista ad Angelo Ferracuti.

Cercava sempre il contatto con le persone conosciute e sconosciute, ti prendeva sottobraccio e avviava con naturalezza una conversazione. Era mosso da pari interesse per quelli senza nome e per i Grandi, tutti incontrati, osservati e ritratti con la stessa pietas. Si considerava un sopravvissuto, non solo dei fascisti, ma anche dei selfie: “Se l’obbiettivo è sempre rivolto verso se stessi, non si vede nulla”.

Per qualche mese non dava notizie di sé, poi riappariva senza preavviso nelle redazioni che gli erano care. Arrivava il più delle volte all’ora di pranzo, perché amava la convivialità, con la macchina fotografica a tracolla su una spalla e sull’altra un borsone pieno di stampe e qualche camicia stropicciata. Da lì, alla rinfusa, quasi senza un filo conduttore, se non quello della sua esistenza, estraeva foto in bianco e nero di Maria Callas, di un menino de rua che dorme abbandonato tra le braccia di una statua materna, di Jean-Paul Sartre, di un contadino toscano, di François Mitterrand, degli amici seduti ai tavolini del bar Jamaica a Brera, di Charlie Chaplin, degli stagisti di un settimanale, dei bambini algerini nei giorni dell’Indipendenza, delle barricate del Maggio francese, della riunione di redazione di Le Monde, di Alekos Panagulis in uno scatto rubato nell’aula del Tribunale militare che lo avrebbe condannato due volte a morte, e decine di altre ancora.

Ti chiedevi, incantata e sorpresa, come fosse stato capace di non mancare mai l’appuntamento con la Storia, di catturare quella smorfia, quell’istante, quel gesto, quella luce. Come in quella fotografia di un’aula della Sorbona nel ’68, zeppa di studenti, nella quale i raggi di sole che casualmente irrompevano dalle finestre diventavano spirito del tempo, la forza del cambiamento che illuminava una generazione. O in quell’altra fotografia del 1958 che Mario volle intitolare “La deposizione di De Gaulle”. In realtà, il generale era nel pieno del suo potere, stava per diventare presidente. Semplicemente quello scatto fissò il momento in cui una sua gigantografia veniva smontata dal palco di un congresso: De Gaulle era finito a testa in giù e Mario poté esprimere il suo auspicio.

Era un uomo di mondo ma non mondano, pieno di vitalità e amore per la vita. Passati gli ottant’anni, ti consigliava i cafés e i ristoranti di Parigi, la città che aveva visto e vissuto forse più di ogni altra. Diceva che il suo preferito era Le Polidor, al 41 di rue Monsieur le Prince, piatti della tradizione francese e litri di Bordeaux. E provavi a immaginartelo lì, negli anni Sessanta con i suoi amici philosophes.

Fotografava in continuazione i suoi incontri. Poi per mesi nessuno vedeva più una stampa e affettuosamente ti chiedevi se si fosse ricordato di mettere il rullino. Poi, appunto, ricompariva e regalava le sue foto. Spesso si firmava Mario (Dondero), come se quel cognome così rotondo, e così importante, fosse un dettaglio.

Non c’erano orpelli, né photoshop negli scatti di Mario, solo un’intensa attrazione per la realtà che sarebbe diventata memoria. Di Robert Capa, l’esempio di “fotografo zingaresco” che lo ha sempre ispirato, amava citare una frase in particolare, che oggi rimane scolpita come un testamento: “La migliore propaganda è la verità”. E allora non c’è niente di più vero di queste sue parole: “Per fare belle foto bisogna sapere voler bene. E io vorrei essere ricordato come uno che ha voluto bene agli altri”.

  • Autore articolo
    Valentina Redaelli
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

    Clip - 01-07-2025

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    quando le piante dei nostri balconi tirano un sospiro di sollievo, perché finalmente qualcuno che la sa lunga ci spiega come e quando bagnarle, come trattarle, reinvasarle, esporle al sole. Ospite della puntata Ambra Pagliari (pianteinveranda su Instagram). A seguire microfono aperto con tutti gli scempi da pollice nero di cui siete e siamo capaci. Con Vittoria Davalli e Alessandro Diegoli

    Poveri ma belli - 01-07-2025

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    Almendra di martedì 01/07/2025

    Almendra è fresca e dolce. Almendra è defaticante e corroborante. Almendra si beve tutta di un fiato. Almendra è una trasmissione estiva di Radio Popolare in cui ascoltare tanta bella musica, storie e racconti da Milano e dal mondo, e anche qualche approfondimento (senza esagerare, promesso). A luglio a cura di Luca Santoro, ad agosto di Dario Grande.

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    Addio all’architetto Francesco Borella

    E’ morto l’architetto Francesco Borella, per tanti il papà del Parco Nord Milano. Lo ha diretto per venti anni dagli inizi degli anni ‘80, quando lo ha progettato insieme al paesaggista Adreas Kipar. Cava dopo cava, orto spontaneo dopo orto spontaneo, aziende agricole in dismissione dopo aziende agricole a fine ciclo, ha rigenerato e riconesso con percorsi ciclopedonali l’ampia area che tra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo si estende a Cusano Milanino, Cormano e ai quartieri milanesi di Affori, Bruzzano, Niguarda e Bicocca. Un parco che negli anni ‘70, quando è stato voluto con le mobilitazioni popolari, sembrava impensabile che potesse avere le presenze che ha il più noto e storico Parco di Monza. Fabio Fimiani ha chiesto un ricordo dell’attuale presidente del Parco Nord di Milano, Marzio Marzorati. Radio Popolare si stringe affettuosamente con un abbraccio ai figli Joanna, Cristiana, Giacomo e Sebastiano Borella.

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    Il podcast di Francesco Tragni e Giuseppe Fiori registrato dal vivo a Germi. Enrico Gabrielli è stato il secondo ospite che ha raccontato quali sono i suoi vinili di riferimento: polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato con artisti come Muse e PJ Harvey, e fa parte dei gruppi Calibro 35, Winstons e Mariposa (in passato anche negli Afterhours). Complessivamente compare in oltre 200 dischi. Ha anche suonato il flauto traverso nella sigla di Dodici Pollici.

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