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Kandia Kouyaté: la rinascita

L’album di Kandia Kouyaté pubblicato dall’etichetta britannica Sterns Africa porta con sé due buone notizie. Cominciamo dalla prima. Kandia Kouyaté nasce alla vigilia dell’indipendenza del Mali, nel ’59, a Kita, una città della parte sudoccidentale del paese.

La sua è una importante famiglia di griot, approdata in Mali dalla Guinea. La bambina cresce immersa nella cultura mandinga di origine, e presto manifesta un grande inclinazione per il canto. Tuttavia quelli dopo l’indipendenza sono anni di forte trasformazione e modernizzazione, in cui le basi del tradizionale status dei griot stanno tramontando, e il padre, illustre suonatore di balafon, per assicurare un futuro a Kandia preferisce garantirle un’istruzione: le fa frequentare la scuola, e Kandia prosegue con ottimi risultati negli studi fino a quando a causa di una malattia il padre è costretto a smettere di lavorare e Kandia abbraccia allora la professione di cantante per sopperire ai bisogni della famiglia.

Trasferitasi nella capitale Bamako, si unisce ad una formazione diretta dallo zio Mady Sylla Kouyaté, gli Apollos, assai popolare negli anni settanta: comincia a lavorare soprattutto nei matrimoni interpretando un repertorio sia tradizionale che moderno e sia locale che internazionale, e il suo talento non passa inosservato. Due anni dopo l’arrivo a Bamako, diciottenne, sposa un griot di grande reputazione, va ad abitare con il marito a Kayes, nel nordovest del Mali, e comincia a dedicarsi allo studio sia della tecnica vocale che del patrimonio di testi e musiche di cui i griot sono depositari.

Nell’80 un suo recital ad Abidjan, in Costa d’Avorio, si trasforma in una cassetta che circola in Africa occidentale e accresce la sua notorietà. Nell’83 torna in Mali, dove un ricco ammiratore le finanzia la pubblicazione di un’altra cassetta e contribuisce a far decollare definitivamente la sua carriera.

Intorno all’arte di Kandia Kouyaté si crea un seguito riverente e persino timoroso: nel suo canto potente, dal timbro piuttosto grave, c’è più che una speciale qualità, c’è qualcosa che suscita un’emozione profonda, tanto che tra chi assiste alle sue esibizioni sono frequenti vertigini e svenimenti, e Kandia viene soprannominata “La Dangereuse”, “pericolosa”.

Assurge a “ngara”, un appellativo riservato all’eccellenza nel canto: è una delle grandi dive del Mali, una delle grandi voci femminili maliane della nuova generazione che si afferma negli anni ottanta. Proprio per il suo successo, e per la dimensione per certi versi ancora tradizionale e comunitaria della sua arte e della sua attività, legate precipuamente alla relazione diretta con il pubblico, per diverso tempo Kandia Kouyaté non sente il bisogno di incidere dischi, e declina molte offerte di contratti discografici: le è più che sufficiente che le sue cassette siano rinomate nelle aree di cultura mandinga dell’Africa occidentale, e che vadano più lontano solo con i canali dell’immigrazione in Francia.

Chi riesce infine a persuaderla è Ibrahima Sylla, il senegalese che è stato il più importante produttore dell’Africa occidentale degli ultimi decenni. A cavallo tra fine anni novanta e inizio del nuovo millennio Kandia Kouyaté realizza con Sylla due importanti album destinati al mercato internazionale e pubblicati dalla Sterns, Kita Kan (1999) e Biriko (2002), ed è poi coinvolta nell’operazione, tradottasi nell’album Mandekalou (Syllart 2004), con cui Sylla vuole celebrare l’arte dei griot mandinghi.

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Ma al culmine della sua consacrazione, nel 2004 Kandia Kouyate è vittima di un ictus: è ormai impossibilitata a cantare, e ha anche dimenticato tutto il suo repertorio. Un po’ per volta recupera, ma si considera ormai fuori gioco. E’ Ibrahima Sylla che nel 2011 insiste per riportarla in uno studio di registrazione, e perché lei si sforzi di richiamare alla mente quel bagaglio di canti che considera perduto.

Il risultato è questo album, Renascence, e questa “rinascita” di Kandia Kouyate, che ora in un brano può cantare anche la sua malattia e ringraziare Dio e chi l’ha aiutata a superarla, è la prima buona notizia. Già malato all’epoca di questo lavoro, Ibrahima Sylla è mancato nel 2013 senza arrivare a vedere l’album. Sua figlia Binetou Sylla ha affidato il completamento della produzione a François Bréant, che aveva collaborato con Sylla fra l’altro per Soro di Salif Keita, e che qui, incaricandosi personalmente di ritmi, effetti e archi campionati, dà un tocco di oculata modernità ad una musica il cui respiro è prevalentemente acustico.

L’album di Kandia Kouyate conferma che, come Binetou Sylla aveva promesso, l’attività portata avanti dal padre non si sarebbe fermata: e questa è la seconda buona notizia, e un’altra rinascita.

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  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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