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Iowa. Cruz batte Trump. Le difficoltà della Clinton

Si sgonfia l’effetto Trump. Si conferma ancora una volta la forza degli evangelici dell’Iowa, che danno la vittoria a Ted Cruz con il 27,7 per cento dei voti. Soprattutto, il partito democratico si rivela spaccato, tra l’anima riformatrice, cara all’establishment di Washington, di Hillary Clinton, e quella più progressista e visionaria incarnata da Bernie Sanders. I due praticamente si dividono il voto, 50 e 50, aprendo la strada a una stagione di primarie parecchio combattuta.

I caucus dell’Iowa ripropongono anzitutto un dato già presente nel 2008 e nel 2012, quando avevano vinto, rispettivamente, Mike Huckabee e Rick Santorum, altri due beniamini dei social conservatives. E cioè che la religione da queste parti conta, in politica, e anche un candidato come Ted Cruz, inviso a gran parte della leadership del suo partito per il clamore di molti suoi gesti (si ricorda per esempio l’ostruzionismo da lui guidato che portò alla chiusura del governo federale), anche un candidato così poco amato, così inviso a molti, alla fine riesce a prevalere. Ted Cruz, nel discorso con cui ha salutato la vittoria, ha riconosciuto il debito e l’appartenenza proprio a questo mondo di millenarismo religioso e ispirato, infarcendo le sue frasi di citazioni dalle Scritture: “I nostri diritti vengono dal nostro creatore – ha detto Cruz -. Voglio ricordarvi la promessa delle Scritture. Il pianto può durare una notte. Ma la gioia giunge la mattina. Stasera, l’Iowa ha proclamato al mondo: ‘Il mattino sta arrivando, il mattino sta arrivando’”.

All’ispirazione di Cruz ha fatto da contraltare, nel dopo voto, la delusione di Donald Trump. Il magnate repubblicano si è presentato allo Sheraton di Des Moines, dove era in programma il party elettorale, e ha srotolato un discorso che ha deluso molti dei suoi, soprattutto chi da sempre è abituato a performance ben più esplosive di Trump. Che ha cortesemente ringraziato i rivali, ha detto di essere soddisfatto del secondo posto e di “essere pronto a conquistare New Hampshire e South Carolina”, i prossimi Stati in palio. A una prima lettura dei risultati in arrivo dalle diverse contee, sembra che Trump non abbia per nulla sfondato nel “profondo” dell’Iowa, soprattutto nelle aree rurali dell’Ovest, che hanno votato compatte per Cruz. Il magnate ha conquistato il voto delle campagne dell’Est, meno toccate dal fenomeno dell’evangelismo, e delle periferie delle grandi città, soprattutto a Ovest, dove la presenza di una working class bianca – da sempre la più sensibile alle sue sparate su migranti e terrorismo – lo ha premiato. In generale sembra però che Trump non abbia goduto del forte aumento nell’affluenza al voto da parte dei repubblicani. Si potrebbe anzi dire che la sua presenza ha sì risvegliato l’interesse per i caucus, ma non si è tradotta poi in voti per lui. In altre parole, la gente è andata ai suoi comizi come si va a uno spettacolo, ma poi non l’ha votato.

Sempre in campo repubblicano, va segnalata la scomparsa dalla mappa elettorale, per lo meno in Iowa, dei repubblicani moderati: Jeb Bush, Chris Christie, John Kasich. Paricolarmente umiliante il risultato di Jeb Bush, che si ferma al tre per cento dei consensi. Bush non era nemmeno in Iowa, al momento del voto, preferendo continuare la sua campagna in New Hampshire, dove ha maggiori possibilità. Il risultato dell’Iowa è però un colpo piuttosto duro alle sue ambizioni. “Il problema è che lui non c’entra. È il cognome che si porta dietro”, mi ha detto un suo elettore. Molto più roseo il futuro che si prospetta invece per Marco Rubio. I sondaggi delle ultime ore lo davano in ripresa e il voto lo ha confermato. Rubio si è fermato a poca distanza da Trump: lo hanno votato nell’Est dello Stato ma soprattutto nell’area urbana di Des Moines, dove si trova gran parte della macchina organizzativa e politica del G.O.P. Il suo risultato in Iowa lo accredita comunque come l’unico candidato in grado di unificare, senza grandi ferite e recriminazioni, le diverse anime del partito. Rubio è stato allievo in Florida proprio di Jeb Bush, quindi ha i legami giusti con il mondo degli affari e nasce all’interno della nomenclatura repubblicana. Negli ultimi anni ha accentuato i toni religiosi delle sue prese di posizione, in modo da raggiungere parte del mondo evangelico. È ispanico, figlio di esuli cubani, e potrebbe veicolare al partito un elettorato che sinora ha votato prevalentemente democratico. È sostenitore di una politica militare forte, e questo gli assicura le credenziali giuste in un altro settore ancora dei conservatori. Rubio potrebbe essere insomma una via di mezzo plausibile tra i moderati dell’establishment e i fautori dell’anti-politica, Ted Cruz e Donald Trump.

Restano i democratici. Il voto in Iowa non promette nulla di buono per Hillary Clinton. Se pure avanti, mentre scriviamo, di un pugno di voti, il risultato equivale a uno schiaffo per le ambizioni dell’ex-First Lady. Partita, a inizio campagna, con un vantaggio enorme su Bernie Sanders per finanziamenti, organizzazione, visibilità, la Clinton si trova ora a dover combattere per la vittoria in uno Stato, l’Iowa, che per la presenza di un elettorato democratico piuttosto anziano e conservatore sembrava pendere decisamente dalla sua parte. Non è stato così e nel suo saluto ai sostenitori dopo il voto la Clinton ha dovuto ammettere di aver tirato “un sospiro di sollievo”, ripetendo quello che è rimai diventato una sorta di mantra della sua campagna: “Sono una che fa le cose, sono orgogliosa di collocarmi in una lunga linea di riformatori americani”.

Il problema, per lei, è che almeno una metà del voto democratico sembra preferirle la visionarietà e il radicalismo di Bernie Sanders, che tra l’altro a questo punto può godere del vantaggio accumulato in New Hampshire, il prossimo Stato dove si voterà. È probabile che per la Clinton la situazione migliori con l’arrivo delle primarie nel Sud. La prospettiva, per lei, è comunque quella di una sfida lunga e molto, molto difficile.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Quando le povertà dei padri e delle madri ricadono sui figli e sulle figlie. In Italia il titolo di studio dei genitori condiziona le opportunità di di vita dei minori. La povertà educativa è diventata di fatto ereditaria. Sono gli ultimi dati dell’Istat a raccontare questa ingiustizia. Il 34% dei figli di genitori con un titolo di studio inferiore o uguale alla licenza media vive in condizione di “deprivazione materiale e sociale”. La percentuale crolla al 3% se i genitori sono laureati. L'ereditarietà della povertà educativa è anche un tradimento di un principio fondante della Repubblica. L’articolo 3 della nostra Costituzione, la seconda parte, assegna un compito preciso allo stato, e cioè quello di “rimuovere gli ostacoli” che limitano di fatto l’uguaglianza tra i cittadini. Un compito evidentemente non svolto, vista la permanenza della disuguaglianza. Pubblica ha ospitato oggi la sociologa Chiara Saraceno.

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