Si sta toccando un mostro sacro. Per portare al cinema Pastorale Americana di Philip Roth ci vuole coraggio e il fatto che ci abbia provato un attore, alla sua prima regia, che si impose al pubblico vent’anni fa interpretando il giovane ribelle e tossicodipendente protagonista di Trainspotting, mette ancora più curiosità. Ewan McGregor, scozzese di nascita e ancora più noto per il suo Obi-Wan Kenobi da giovane, nel prequel di Guerre Stellari, con un curriculum pieno di film di cui andare fiero, lavorando con registi da Woody Allen a Tim Burton, ha accettato la sfida per passione e soggezione nei confronti di un romanzo che ha lasciato un segno indelebile sull’immaginario collettivo del sogno americano.
Premiato con il Pulitzer nel 1997, Philip Roth descrive un’America con la lente degli anni ’60, trasformata dal senno di trent’anni dopo. La forza ribelle contro una politica guerrafondaia e consumistica, incarnata dal personaggio di Merry che per antagonismo contro il governo architetta un attentato e poi si nasconde, viene osservata con occhio critico. Così come il benestare e il benpensare della famiglia Levov, immersa nel privato della fabbrica di guanti e dell’allevamento e nella bella villa a Rimrock. Non si salva nessuno in Pastorale Americana, primeggiano ipocrisia ed egoismo.
Al settimo film tratto da un suo libro, finalmente Philip Roth ha ammesso di essere soddisfatto dell’opera realizzata da McGregor, mentre lo scrittore non potè dire lo stesso per la Macchia Umana di Robert Benton con Anthony Hopkins e Nicole Kidman, ma considerata la complessità del romanzo, era evidente l’impossibilità di farne un buon film.
In American Pastoral, come per ogni romanzo che va al cinema, bisogna accettare il patto dell’adattamento e rassegnarsi alle pagine tagliate. Sono tante, soprattutto nella parte finale, che viene persino modificata nelle scene di chiusura; ma come si faceva a portare in scena tutti quei salti in avanti e indietro narrati dallo scrittore (nel film è l’attore David Strathairn)?
Per il resto il film eccelle nella ricostruzione dell’epoca, nella cura sui personaggi: dalla superbia imperscrutabile di Dawn Dwyer Levov, interpretata da Jennifer Connelly, che abbiamo visto crescere splendidamente, film dopo film, dai tempi di C’era una volta in America di Sergio Leone; così come la testardaggine e il passaggio dalla ragione al torto della figlia Merry (Dakota Fanning), fino allo Svedese, Seymour Levov, interpretato dolorosamente dallo stesso Ewan McGregor.
Un film onesto e generoso, nello stesso tempo devastante come il libro, con una forza distruttrice che ha preso vita in anni apparentemente d’oro, in cui il Sogno Americano nascondeva e creava mostri nel proprio ventre.
In contemporanea al film è uscito l’audio libro (Emons) di Pastorale Americana letto dall’attore Massimo Popolizio. “Questo è un libro sulla memoria. Contro tutte le certezze che puoi avere su questa memoria”.
Una lettura potente e “cattiva” come ci ha spiegato nell’intervista.