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Gigi Riva, addio al mitico Rombo di tuono

Gigi Riva con la maglia del Cagliari in una foto d'archivio

Gigi Riva, il mitico Rombo di tuono tanto caro a Gianni Brera, se n’è andato. Era un grande calciatore capace “di sognare di fare gol prima di una partita e poi segnare per davvero”. Ma era anche molto di più. Era il rappresentante di un’epoca, basti pensare che fu il protagonista dell’europeo vinto dall’Italia nel 1968, l’anno di grazia delle utopie. Nato sulle sponde lombarde del Lago Maggiore, fu sardo di adozione, come Fabrizio de Andrè, di cui era amico. Nel 1970 guidò il Cagliari verso la conquista di un incredibile scudetto, probabilmente nel momento in cui la Sardegna entrava davvero a far parte dell’Italia. Forse non casualmente papa Paolo VI andò per la prima volta in Sardegna proprio a pochi giorni dallo scudetto del 1970. Di quella terra divenne un’icona. Nei primi anni Settanta, in Sardegna, il volto in multicolor alla Warhol di Gigi Riva conquistava addirittura le copertine dei quaderni Pigna per i bambini delle elementari. E anche oggi sono in molti i cagliaritani che in piazza Yenne, una piazza storica del capoluogo sardo, sognano una statua di Riva al posto di quella di Carlo Felice.

Il suo viso aveva scolpito un’espressione enigmatica e silenziosa, tanto che spesso sembrava triste. Forse l’eredità di una infanzia complicata dalla morte dei genitori e della sorella piccola. Sornione e taciturno, rifiutò le lusinghe dei grandi club del Nord Italia. Non poteva tradire i sardi perché era come se avesse avuto la missione di guidare la loro riscossa. Erano gli anni in cui furoreggiavano gli spaghetti western, spesso girati proprio in Sardegna. Il suo sguardo era simile a quello dei protagonisti di quelle pellicole: Django, Sabata, Sartana, Uomo senza nome… Come loro era un pistolero solitario, come loro aveva gli occhi di ghiaccio, un volto imperturbabile e una fisionomia scarna e spigolosa. In più però, lui aveva anche un sinistro esplosivo…

  • Autore articolo
    Claudio Agostoni
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    Come suggerisce il titolo della trasmissione, presente nel palinsesto di Radio Popolare fin dagli inizi, Jazz Anthology ripercorre la ormai lunga vicenda del jazz proponendone momenti e artisti salienti. Al di là della varietà delle sue forme, per Jazz Anthology questo genere è un fenomeno unitario di innovazione musicale in rapporto con una tradizione di matrice neroamericana. Jazz Anthology vuole quindi valorizzare sia la pluralità degli aspetti del jazz che la continuità della sua storia, dedicando la propria attenzione a tutte le epoche di questa musica, dal New Orleans al bebop, fino alle espressioni più audaci degli ultimi decenni. Il programma si articola soprattutto in serie di trasmissioni a carattere monografico, con l’intenzione – in un contesto mediatico che al jazz dà pochissimo spazio e in modo molto dispersivo – di dare così un contributo alla diffusione di una effettiva cultura del jazz. La sigla di Jazz Anthology è Straight Life (Art Pepper), da Art Pepper meets The Rhythm Section (1957, Contemporary/Original Jazz Classics)

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