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Coronavirus, Rezza (ISS): “Fino a 10 giorni per vedere gli effetti delle misure”

epidemia coronavirus

L’Italia sta ancora affrontando l’emergenza legata all’epidemia di coronavirus COVID-19, con un focolaio principale in Lombardia e focolai più piccoli in altre Regioni come Veneto ed Emilia-Romagna. Le misure varate sono piuttosto restrittive, ma necessarie per contenere il diffondersi dell’epidemia di coronavirus e non sovraccaricare il sistema sanitario nazionale.

Il bilancio che quotidianamente viene diffuso dalla Protezione Civile ci dice che nelle ultime 24 ore il numero delle persone contagiate è stato minore rispetto ai giorni precedenti, ma questo non significa che le misure per limitare il coronavirus si stiano già rivelando efficaci. Ne abbiamo parlato col professor Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (ISS). L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Cosa ci dicono i numeri allo stato attuale?

Quei numeri sono variazioni temporali del numero dei casi che vengono riportati, ma non sono influenti. Bisognerebbe vedere la curva e il trend per data di comparsa dei sintomi che non vengono riportati in questi dati. L’interpretazione va fatta con molta cautela. Fanno su e giù, ma è semplicemente dovuto al fatto che un giorno si notificano più casi e un giorno di meno.

In che fase siamo ora?

In teoria siamo ancora in una fase di crescita perché questo è un focolaio nato intorno alla seconda metà di gennaio ed è ormai maturo. Gli effetti delle misure di controllo non si possono vedere subito perché c’è un tempo di incubazione va ad allungare i tempi di valutazione nella risposta agli interventi interventi. Ci vorranno fino a dieci giorni per vedere gli effetti. Bisogna tenere duro con il “distanziamento sociale”, ce l’hanno fatta i cinesi a Wuhan e credo che possiamo farcela anche noi a contenere un numero più basso di persone.

Una settimana o dieci giorni a partire da oggi?

Impossibile dirlo con esattezza, bisognerebbe avere la sfera di cristallo. Bisogna tenere duro e continuare con queste misure e al limite estenderle. Qui è in gioco la possibilità di arginare un’ondata epidemica su grossa scala, che vuol dire avere su grossa scala quello che sta accadendo in questo momento nella zona rossa, con gli ospedali pieni. Questo è il problema maggiore di questo coronavirus. La maggior parte dei casi non ha sintomi o ne ha pochi, ma per il 10% dei casi bisogna ricorrere a terapie di supporto importanti e quindi bisogna fare in modo che non ci sia un afflusso agli ospedali tale da metterli in crisi e, soprattutto, mettere in crisi il sistema delle terapie intensive.

Abbiamo certezze sul tempo di incubazione?

Il tempo di incubazione medio è di 4-5 giorni, 14 giorni è il tempo massimo del periodo di incubazione. Ma non è così immediato vedere i risultati: il distanziamento sociale è una cosa che avviene gradualmente. Tra le famiglie magari si è continuato a trasmettere l’infezione e non è così matematico vedere i risultati. In Cina hanno impiegato dei mesi, anche se era un focolaio molto grande e l’infezione circolava ormai da qualche mese. In Italia si è cominciato a prendere questi provvedimenti dopo circa 3-4 settimane, appena è stato diagnosticato il primo caso. Chiaramente il focolaio è più piccolo e si può ancora cercare di contenere, ma ci vuole un po’ di pazienza.

Avrà letto gli appelli di una città come Milano a ripartire.

Ma certo, bisogna ripartire. Ma prima di ripartire bisogna non far ripartire l’infezione. Una città come Milano non si deve bloccare, anche perché non ha le condizioni da zona rossa. Però è chiaro che se tutti cominciassero a fare feste in locali chiusi, fare baldoria in strada e creare le condizioni per la diffusione del virus, poi altro che chiusura di Milano. Si tratta di prevenire una rapida circolazione virale. Poi, se si vuole dire che tutto va bene e non ci frega niente di aumentare la circolazione virale, qualcuno se ne assumerà la responsabilità. È una limitazione a termine, tra due mesi ricominceremo tutto come prima.
Il nostro obiettivo è spegnere il focolaio principale e spero che entro una settimana si vedranno già i primi risultati. Però non è che appena si vede un’inversione di tendenza si può dire che abbiamo vinto. Ci sono altri piccoli focolai in Veneto o Emilia-Romagna ed altre regioni. Quando sono piccoli si può agire immediatamente e circoscriverli. Perché aspettare e farli diventare grandi focolai? Io credo che il Paese sia in grado di reagire e che la gente capisca.

Il problema è chi è fermo col proprio lavoro.

Questo è vero, è una cosa molto preoccupante. Io però faccio l’epidemiologo e devo tutelare la salute della gente. Credo però che se si riesce a superare la crisi, l’economia possa riprendersi e ripartire bene. Se il Paese si bloccasse completamente gli effetti sarebbero ben più gravi.

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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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