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Coronavirus: perché tanti casi di contagio in Italia?

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Per tutti gli aggiornamenti sulle disposizioni per il contenimento dei casi di contagio in Italia da Covid-19 ascoltate i podcast dei nostri notiziari.

Questa mattina è stato ospite a Prisma Walter Ricciardi, membro del consiglio esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Lo hanno intervistato Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni.

Ci sarà una missione OMS in Italia?

Sì dopodomani arriverà il direttore regionale europeo dell’OMS per approfondire quello che sta succedendo in Italia.

Cosa sta succedendo nel nostro Paese?

L’italia è passata dall’avere pochissimi casi di contagio a essere il terzo Paese al mondo, ha lo stesso numero di casi dei Paesi limitrofi alla Cina. E’ una situazione che merita attenzione e un grande lavoro di squadra, merita grande coesione nazionale, perché con questa epidemia non si scherza. Non bisogna nemmeno esagerare, perché su cento pazienti ottanta guariscono, quindici hanno qualche problema e, anche se solo cinque hanno problemi gravi, proprio per questo non va sottovalutata. Perciò bisogna agire come si fa nei casi di epidemia, cioè attraverso un approccio scientifico e “quasi militare”, con un’unica catena di comando che speriamo oggi sia messa in moto.

“Unica catena” nel senso che le singole regioni si stanno muovendo in ordine sparso?

Sì, si muovono troppo in ordine sparso. Non ci possono essere l’approccio lombardo che chiude i bar alle 18, l’approccio veneto che prevede tamponi in tutti i comuni, quello della Toscana che lascia maggiore libertà: c’è bisogno di un’unica linea di comando che faccia riferimento al ministro della Salute che per dettato costituzionale ha la responsabilità di tutelare la salute su tutto il territorio nazionale. Ministro e viceministro stanno facendo un lavoro splendido, però in questo momento, come nel caso di una guerra, si assumano tutta la responsabilità: nelle guerre non si chiede ai colonnelli cosa fare, le decisioni sono prese dal vertice, in modo rapido e su tutto il territorio nazionale. Auspico che oggi si faccia così.

Perché in Italia ci sono così tanti casi rispetto agli altri Paesi europei? Può essere dovuto all’alto numero di test?

Può derivare anche da questo: quando si cerca, in caso di virus e batteri, spesso si trova. Però probabilmente questa non è la causa principale, è più probabile che un paio di settimane fa qualcuno (verosimilmente una singola persona) sia entrato in Italia da zone ad alto rischio senza essere identificato. Quello che sta succedendo è che l’esordio sintomatologico è contemporaneo, quindi è probabile che la fonte di contagio sia “puntuale”, molto molto limitata. Il contagio comincia così, poi ci sono dei cosiddetti “superspreader” cioè persone che non contagiano due o tre persone (come avviene abitualmente), ma ne contagiano dieci o dodici. Questo determina un’accelerazione. Quello che è avvenuto con ogni probabilità è che non abbiamo intercettato questi primi casi di contagio.

Non è servito chiudere i voli con la Cina?

Io e l’OMS siamo sempre stati critici riguardo questa misura, perché l’evidenza scientifica ci dice che nell’era dei viaggi rapidi con treni, aerei e navi, questa misura ha senso soltanto se viene fatta da tutta l’Europa. Perché se si bloccano i voli diretti, ma una persona arriva facendo scalo, non si riesce a individuare. In questo senso anche le proposte di sospendere il Trattato di Schengen e bloccare la circolazione sono un controsenso perché isolandosi si riesce meno a tenere sotto controllo la situazione. Il bandolo della matassa va ritrovato con l’unità di tutti i Paesi.

È possibile fare previsioni su quanto durerà la fase di blocchi emergenziali?

Per quanto riguarda la SARS che aveva una capacità infettiva inferiore, ma una gravità superiore, la questione durò fino a maggio/giugno, perciò dobbiamo prevedere che sarà una battaglia lunga da fronteggiare, non sarà certamente una battaglia di giorni o di settimane, ma probabilmente di mesi. È chiaro che le prossime due settimane sono quelle decisive, perché attraverso misure che devono essere chiare e inderogabili in tutta Italia, possiamo chiudere questa “finestra” e quindi eseguire gli interventi più importanti, ma la previsione è che questa situazione durerà mesi. Siamo in “territori inesplorati”, mai avremmo immaginato che la Cina bloccasse sessanta milioni di persone, quindi data la situazione non si può escludere niente: l’importante è limitare il numero dei contagi ai due focolai epidemici di Veneto e Lombardia ed evitare che si propaghi nelle altre regioni. Se ci riusciamo è probabile che il periodo di misure eccezionali si accorcerà.

La pur bassa percentuale di pazienti che hanno bisogno di assistenza diventa un numero ingestibile se una larga parete della popolazione è contagiata…

Certo e proprio per questo bisogna fare un piano di contingenza. Bisogna far sì che chiunque ne abbia bisogno riceva le cure adeguate, ma siccome parliamo di pazienti contagiosi, ci vuole una gestione che non faccia diventare l’ospedale una fonte di contagio. Occorrono indicazioni precise al personale sanitario. Non è un caso che si siano infettati i medici e gli infermieri: evidentemente sono arrivati a questo appuntamento non pienamente consapevoli della straordinarietà di questa situazione.

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    Rispetto agli anni novanta l’aria che respiriamo a Milano e in Lombardia è meno inquinata, ma si fa ancora troppo poco per diminuire le immissioni di polveri nell’aria. Le condizioni orografiche e meteorologiche del bacino Padano, sfavorevoli alla dispersione delle polveri sottili, richiederebbero un impegno maggiore delle istituzioni. Ma cosa inquina di più oggi? Come si dovrebbe intervenire alla luce delle nuove tecnologie? Come proteggerci, anche nelle nostre case? Ne abbiamo parlato con Luca Ferrero, docente di chimica dell’atmosfera all’Università Bicocca di Milano, Roberto Boffi, pneumologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, e con i milanesi che camminano in città.

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