Mia cara Olympe

Un Nobel, uno scienziato simpatico e le ragazze Stem

L’hanno già detto e scritto in tanti: nell’anno in cui l’Italia ha vinto tanto, è arrivato anche un Nobel pesante come quello per la fisica, toccato, tra la fantastica ola delle studentesse e degli studenti della Sapienza di Roma, ad uno scienziato simpatico che studia cose difficilissime, che hanno a che fare con il disordine e la complessità come i vetri di spin, ma anche  poetiche come il volo degli storni che periodicamente ci incantano.

Il premiato, Giorgio Parisi, è stato impeccabile: primo suo pensiero, quello per la ricerca italiana che andrebbe assai più sostenuta, per ricercatrici e ricercatori in costante debito di attenzione e ossigeno economico che spesso prendono la porta e se ne vanno, mentre pochi  dall’estero ne arrivano. È una delle facce di quel fenomeno che pigramente chiamiamo dei cervelli in fuga e che drena da molti anni e per molte ragioni, intelligenze e giovinezze; fenomeno spesso evocato dalla politica ma sul quale poco veramente si fa. Così poco che si considera utile ad arginarlo persino una borsa di studio da 500 euro; avete capito bene, 500 euro per far sì che gli studenti sardi non prendano il volo dalla bella isola.

Il premiato di oggi è un brillante studente di ieri della stessa università in cui è amatissimo docente. Nel tentativo di capire  di cosa si occupa, mi sono imbattuta in un piccolo, bel film a lui dedicato, firmato da Gian Luca Bianco e Eugenio Alberti  nel 2013 per Rai cultura ‘Giorgio Parisi e la fisica della complessità’. 

Credo di avere capito qualcosa in più della sua ricerca e delle fisica in generale, nonostante i miei limiti già evidenti ai tempi del liceo per fortuna classico, ma a valere la visione sono soprattutto un paio di cose che racconta, percorrendo il corridoio dell’istituto di fisica della Sapienza e nominando gli scienziati che ci hanno lavorato (neanche una donna, sigh!) ed entrando poi in un’aula rimasta eguale a quando ci si sedeva da studente. Negli anni ’60 e ’70 quel posto, ricorda Parisi, era animato da giovani fisici e quella loro giovinezza colpiva e attraeva. Era gente che apriva le strade, che richiamava studenti, che aveva forti connessioni internazionali. Come il suo maestro, star internazionale della fisica teorica, Nicola Cabibbo, di cui il Nobel di oggi cita una frase che andrebbe scolpita nelle università e nelle teste di chi studia e di chi insegna: ‘Se non ci divertiamo a risolvere questo problema perché dovremmo studiarlo?’. L’altra cosa che Parisi sottolinea è lo scambio tra docente e discenti: dice che è stato fondamentale per lui avere una squadra di studenti, ragionare con loro, apprendere e passare conoscenze.

Bellissimo, in questi tempi in cui l’utilità – se non l’accontentarsi – sembra essere la parola chiave nella scelta dei percorsi e dei lavori e le passioni, gli interessi, la curiosità che Parisi giudica molle fondamentali appaiono come un lusso che non ci si può permettere. Tanto più per le ragazze, come ha ricordato giustamente Elisabetta Camussi su Repubblica qualche giorno fa,  sostenendo che, senza modelli cui ispirarsi e soprattutto senza un investimento pubblico a largo spettro che riguardi il lavoro, il welfare, la condivisione dei compiti di cura, persino la  giusta spinta affinché le donne si laureino nelle discipline Stem, fisica inclusa, rischia di essere soltanto l’ennesima prescrizione sociale caricata sulle loro spalle. ‘Chi aiuta le ragazze (ma anche i ragazzi) ad avere una visione di sé nel futuro? In un futuro bello e possibile, ossia realizzabile?” ha scritto. Ecco il punto – riguarda la scuola, il discorso pubblico e ovviamente la politica – affinché piccoli e soprattutto piccole Parisi  crescano e, semmai, portino anche a casa il Nobel.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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