Mia cara Olympe

Ucraina, la scena antica della guerra

La guerra in Ucraina consegna a noi, al sicuro nel caldo delle nostre case (e quanto è concreta  questa immagine, vista la dipendenza dal gas russo) la sensazione di un immeritato privilegio e la più costante delle scene: gli addii al confine, le donne in fuga per mettere in salvo i piccoli e gli uomini –  padri, fratelli, amici e fidanzati – che tornano indietro a combattere contro le truppe russe che hanno invaso il loro paese. Agli uomini la guerra, πόλεμος, alle donne la vita, la cura, l’accudimento delle esistenze più fragili.

Ognuno e ognuna costretto in un unico e antico ruolo che azzera differenze, volontà, speranze, progetti e che appare insieme tanto arcaico quanto resistente. Terribile e distruttivo il maschile, seppur nella parte di chi si difende da un’aggressione, quanto fondamentale per la parte del femminile che ha in cura la nuda possibilità della sopravvivenza umana. Questa è la vita, questa è la guerra, nei secoli dei secoli, ci dicono le file di auto verso i confini, i bambini portati per mano dalle mamme, le facce di maschi giovani che, davanti alle telecamere della guerra, raccontano in diretta le separazioni, per genere e per destino da tutti subito, delle famiglie. E se è vero che guerra ha continuato ad essere in tante parti del mondo anche prima dell’invasione dell’Ucraina, è vero – un po’ vergognosamente – che la prossimità produce un’identificazione più forte con gli aggrediti di oggi, come più forte è la sensazione di un pericolo che ci riguarda da vicino.

Intanto la vita continua e si fa forza. Anche in guerra, sotto le bombe, nel rumore delle esplosioni e delle sirene di allarme. E arriva fin qua nelle forme più impensabili, stridenti e insieme struggenti. E dunque può capitare, è capitato ad una giovane docente di un’università europea, di ricevere una mail da una propria studentessa: chiede un semplice rinvio nella consegna del proprio saggio di fine corso. Quante volte è capitato di ricevere una simile richiesta: mai però da una giovane donna che lo scrive, mentre, con la sua famiglia, è nascosta in un garage, in Ucraina.

 

 

 

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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