Mia cara Olympe

Lucia Annunziata e il romanzo delle dimissioni

Non so se qualcuno lo abbia già scritto – la mia breve e probabilmente difettosa indagine sul web ha prodotto solo titoli di ambito giuslavoristico o di lettura sociologica – ma piacerebbe leggere un gran romanzo delle dimissioni in Italia. Pensateci, affidato ad una penna caustica e intelligente e che stia lontana dai populismi, il gran romanzo potrebbe spaziare tra le mille storie – come dimenticare, per esempio le dimissioni di papa Benedetto XVI rivelate dallo scoop della vaticanista dell’Ansa Giovanna Ghirri grazie alla sua conoscenza del latino?  – e soprattutto le mille posture delle dimissioni all’italiana.  Ci sono quelle soltanto minacciate, quelle sussurrate per portare a casa il risultato, quelle offerte perché si venga tirati per la giacchetta e implorati di restare, quelle manifesto di indignazione colmo di virtù civili, quelle da maschio alfa che non si fa mettere i piedi in testa, quelle un po’ democristiane che si lasciano tutte le porte aperte, ché nella vita non si sa mai.. Queste ultime direi molto frequenti.

E, accanto, c’è il grande capitolo delle reazioni alle dimissioni medesime: nell’italico mondo va alla grande quella che svaluta il gesto, che lo ridimensiona e lo rimpicciolisce. Il recente caso Fazio è paradigmatico: ci sarà anche il governo Meloni, ci sarà anche l’occupazione della Rai  ma – e non so quante volte ho letto questa frase sui social –  “Hai presente quanto guadagna Fazio? E io dovrei preoccuparmi se lascia la Rai? Ma chi se ne frega”.

Poi arriva il giorno in cui se ne va Lucia Annunziata, alle cui dimissioni andrebbe dedicato un capitolo. Perché le sue sono (rare) dimissioni senza equivoci. Cioè sono dimissioni che chiunque può capire, anche senza essere addentro alle segrete manovre Rai, anche senza appartenere al mondo giornalistico o di ‘quelli che sanno le cose’. Dimissioni lineari: non mi piacete, non mi piace il governo Meloni, non mi piace l’occupazione della Rai, ma al contempo non voglio che il mio lavoro sia in ostaggio. Nero su bianco, righe poche, ma chiare e concise. Dirà qualcuno che sono ingenua, che il retroscena c’è sempre, che c’è pronta una candidatura alle europee, che lei, un po’ meno di Fazio ma egualmente, se lo può permettere e per cui le è facile sbattere la porta mentre ci sono quelli che, per causa di bollette, devono restare sotto il giogo straniero… Oppure qualcuno dirà – altro italianissimo sport – che non è poi così brava, che è filoquesto o filoquello, che quella volta o in quella occasione…

Sapete che c’è? La breve lettera di Annunziata – e non mi arrischio a sostenere che c’entra il genere, ma chissà forse sì, ma di sicuro c’entra il rispetto di sé e del proprio lavoro, forse anche l’età di chi ne ha viste e passate tante e non vuole più passarle tutte – mi è sembrata  una boccata d’aria nell’Italia che si accoda, che tira la pietra e nasconde la mano, nell’Italia dei bizantinismi e delle circonlocuzioni, delle porte sempre lasciate socchiuse, nell’Italia che si dimette ma forse anche no. Attenzione, una boccata d’aria, non un gesto di eroismo. E, per chi fosse punto da curiosità, no, non sono sua amica.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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