Breaking Dad

La leva calcistica della classe 2011

Ce n’è uno sgonfio. Uno troppo gonfio. Ce n’è uno di quando erano piccoli, con Peppa Pig: inutilizzabile, pena il bando dal consesso dei ragazzini. Ah, ce ne sarebbe uno perfetto: colori della squadra preferita, giusto livello di pompaggio. Ma è talmente leggero che va dove vuole lui. Il pallone è sempre un punto di domanda. Un po’ come lo spread, che non si capisce mai del tutto perché vada su o giù. Non si sa.

Potresti trovarlo nel bagagliaio della macchina, in cantina, sotto il letto, potresti non trovarlo per niente. Eppure è un bene essenziale, per un papà con due figli maschi. E’ il salvagente. “Facciamo due tiri a pallone” è la frase passepartout. Sì, perché non è che ti venga sempre in mente un’attività entusiasmante da proporre. Oh, tu ci provi. “Facciamo un capanno di bastoni e rami”. Ok, se sono in “mood avventura” può essere una buona soluzione. “Cuciniamo” funziona, qualche volta. Ma va usato con intelligenza, per non sprecarne il potenziale; in una volta sola risolvi due problemi: il gioco e la cena. Non lo devi inflazionare.

Assolutamente da evitare, nella mia esperienza, è: “Facciamo una passeggiata”. Troppo vago. Non funziona: le loro testoline di maschietti imberbi ci si perdono dentro. Passeggiata dove? Perché? Con quale scopo? Meglio “un giro in bici”, ma non è detto.

Il pallone, invece, bè lui è inattaccabile. Un paio d’ore di gioco all’aperto sono assicurate. Un prato, un cortile, un mezzo marciapiede: per il pallone va bene quasi tutto. E poi, sono ancora più forte io! Che soddisfazione! You Tube, X-Box, Photoshop, App di ogni sorta: sì, lo ammetto, forse necessito di qualche chiarimento. Ma quando vado via sulla fascia… ragazzino, non mi stai dietro! E se calcio di sinistro dalla trequarti, spostati. Ecco: messe le cose a posto, ripristinata la gerarchia e puntualizzati i ruoli. Il pallone serve anche a questo.

Anche perché, non so se ci avete fatto caso: la partitella di calcio è esattamente quella degli anni Ottanta. Tanto per cominciare, il terreno di gioco ha delle forme variabili: si va dal classico rettangolo, al trapezio scaleno. E il bello è che la forma cambia anche durante la partita stessa. Il fenomeno è riscontrabile soprattutto sulle fasce laterali: la linea che delimita i lati lunghi del campo si sposta a seconda di chi grida per primo: “fuori!”. Se nessuno lo fa, la riga può anche scomparire e il campo dilatarsi fino alle panchine, là in fondo.

Le porte sono raramente delle vere porte. Di solito sono felpe messe a terra a fare i pali. E qui torna il fenomeno delle geometrie variabili: in verticale, infatti, la porta di estende in base a diversi fattori: l’altezza del portiere, la sua credibilità nel proclamare “alta!”, e quella dell’attaccante avversario nel ribattere: “no, è goal”.

Sono tutte situazioni che noi papà consociamo bene, per averle vissute molti anni fa. Come Mufasa che al tramonto, con la voce di Gassman, dalla collina che sovrasta il campo di pallone, dice a Simba: “Vedi, figlio mio, un giorno anche tu dovrai prendere posizione e, facendoti guidare dalla Giustizia, rispondere alla Domanda: è entrata o era sulla riga?”.

Le grandi questioni, quelle fondamentali, in fondo, sono poche: era goal o no, era fallo o no, è uscita o era in campo. Se ne discute da generazioni, anche in questo preciso momento, se ci pensate, c’è da qualche parte un ragazzino sudato che giura e spergiura che la palla sia entrata in porta, lottando con tutte le armi a disposizione per sostenere la propria tesi e farla accettare dalla maggioranza degli altri ragazzini sudati.

I papà, però, dovrebbero starsene buoni, non dovrebbero disturbare. E invece, se sono a bordo campo, anche al parchetto, anche su un prato con le felpe a fare da pali, non c’è niente da fare: si agitano come Carletto Mazzone, dando consigli, commentando le azioni, spronando il pargolo o rimbrottandolo. Oppure, vogliono giocare. Io, lo confesso, sono tra questi ultimi. E il più delle volte entro in campo, deciso a farmi valere. Pronto persino a tirare un calcio di rigore, finalmente consapevole che non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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    Biometano fatto bene e transizione agroecologica per ridurre le emissioni climalteranti degli allevamenti. Legambiente e una parte del mondo degli agricoltori sta affrontando questo aspetto dell’inquinamento dell’aria della Pianura Padana. Il metano è molto più impattante sull’effetto serra dell’anidride carbonica, ottantaquattro volte in più. Se ne è discusso in un convegno alla Cascina Nascosta del Parco Sempione di Milano tra esperti scientifici, esperienze agricole e industriali, in Lombardia e Veneto, di recupero del metano dagli allevamenti. Uno dei focus è l’attenzione alle emissioni fuggitive, quelle nel ciclo del recupero primo e dopo lo stoccaggio nei reattori. Nell’Abc dei Domini Collettivi la professoressa Marta Villa dell’Università di Trento affronta Heimat, il legame con i territori di vita che accumuna gli usi civici di questi luoghi, da lasciare migliori per le generazioni future. Per Le Storie Agroalimentari Paolo Ambrosoni recensisce il libro Storie di Mozzarelle di Germano Mucchetti, un testo sulla diversità delle paste filate più famose, e i territori di produzione. Descriviamo la riscoperta e valorizzazione di grani locali e tradizionali dell’Appennino romagnolo, ma anche del Parco del Ticino milanese, nonché di antichi forni, del fattore alla Cascina Caremma di Besate, di comunità nel borgo di Morimondo e dell’adiacente Abbazia cistercense. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti con la Fondazione Pierlombardo, in collaborazione con la Regione Lombardia, c’è la descrizione dell’agricoltore filologo Niccolò Reverdini dell’arazzo dedicato ai lavori in campagna di giugno, disegnato dal Bramantino ed esposto al Castello Sforzesco di Milano.

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