Appunti sulla mondialità

Il colpo di coda della Brexit…per la Gran Bretagna

Per il Regno Unito, il bilancio dei primi sei anni da Paese extracomunitario non è di sicuro positivo. Contrariamente a quanto dicevano nel 2016 i sostenitori dell’uscita dall’Europa, l’export con gli Stati comunitari è crollato: -40,7% in media, con punte del -63% nel settore alimentare. Nel frattempo l’export verso altri Paesi è cresciuto di un misero 1,7%, mentre l’import dall’UE è calato del 28,8%. A questi dati si sommano i numeri negativi dovuti alla pandemia e alla guerra in Ucraina. Il governatore della Banca d’Inghilterra, la banca centrale del Regno Unito, recentemente ha definito “apocalittico” lo scenario che va delineandosi per i cittadini britannici: calo del PIL, calo della sterlina rispetto al dollaro, aumento dei prezzi alimentari, inflazione al 9% su base annua. Intanto da vari sondaggi emerge il dramma sociale di un Paese nel quale un quarto della popolazione salta i pasti per risparmiare e due terzi non possono permettersi di tenere acceso il riscaldamento quanto vorrebbero.

Ovviamente si tratta di problemi comuni a molti Paesi in questa fase. Oltremanica, però, le criticità sono amplificate dalla solitudine del Regno Unito in campo internazionale e dalla sua autoesclusione dal mercato più ricco al mondo, quello comunitario. Come facilmente prevedibile, la perdita della posizione di privilegio garantita dall’appartenenza a un mercato con regole comuni, e senza dazi interni, è difficilmente recuperabile attraverso le aperture ad altri mercati esteri. Soprattutto perché la produzione britannica ha standard molto elevati e ciò determina prezzi più alti rispetto a quelli praticati dai concorrenti esterni all’UE, statunitensi o asiatici. Londra aveva sottovalutato questi due fattori: da un lato l’avvenuto adattamento della sua produzione ai bisogni, alle regole e ai costi dell’Unione Europea, dall’altro i tempi lunghi che servono per costruire una rete di accordi e regole condivise con altri Paesi del mondo, e anche con l’UE stessa, dovendo ora interagire da Paese extracomunitario.

Il sogno tardo-imperialista alla base della Brexit, cioè rimettere la Gran Bretagna al centro del mondo, come ai tempi della regina Vittoria, appariva già in sé un obiettivo ridicolo. Guardando poi le valutazioni alla base di quel progetto, erano evidentemente fuori luogo l’importanza attribuita al Commonwealth e la fiducia nella reale consistenza di questa organizzazione: si è scambiata per un’opportunità economica quella che, in realtà, è poco più di una semplice concessione alla nostalgia di Londra. Hanno prevalso, invece, l’arroganza del pensarsi ancora come un impero capace di imporre agli altri le proprie regole e i propri tempi, e soprattutto il sognare che da soli sarebbe stato possibile ottenere vantaggi maggiori di quelli garantiti dal mercato comune.

Nel frattempo, il prezzo pagato dai britannici ha raffreddato gli animi sovranisti in Europa. E probabilmente proprio le difficoltà di Londra fuori dall’Unione hanno fatto sì che, per la prima volta, a Bruxelles si sia deciso emettere debito comune, come sta accadendo per il programma Next Generation EU. Tuttavia, non è detto che quegli Stati che ieri usavano lo scetticismo inglese come alibi per giustificare i loro tentennamenti, ora si dimostrino pronti a compiere passi concreti verso un maggiore coordinamento europeo. Che andrebbe invece programmato, anche a rischio di perdere per strada altri Paesi oppure di ipotizzare, come ha abbozzato Emmanuel Macron, un’Unione “a due velocità”: e cioè con un nucleo di Stati che intraprendono una strada comune e un altro nucleo di Stati collegati da accordi commerciali. L’esempio della deriva del Regno Unito, che in tempi di globalizzazione si era illuso di potercela fare da solo, dovrebbe spronare tutti i Paesi membri verso la ricerca di nuove formule di convivenza più avanzate. Solo così, in un mondo nel quale le potenze stanno tornando sulla scena in modo aggressivo, l’Europa potrà trovare un suo ruolo. Oppure, rompendo le righe, tutti i 27 Stati potrebbero tornare a essere come la Gran Bretagna: isole ai margini.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Violenza stradale, numeri un po' in calo. Il rimedio: l’educazione e diminuire la velocità

    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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