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Afghanistan, la versione di Ubaid Ahmed

Il 18 gennaio a Kabul hanno avuto inizio i colloqui di pace tra i rappresentanti diplomatici di Afghanistan, Pakistan, Cina e Stati Uniti. Annunciati a dicembre, hanno lo scopo di tentare di riavviare il processo di pace nella regione, in particolare per quanto attiene ai rapporti tra il governo di Kabul e i ribelli talebani, in conflitto da più di 14 anni.
Un negoziato difficile, a causa della spaccatura all’interno dei talebani, la complessità dei legami fra questi ultimi e il Pakistan e i diversi attacchi di alto profilo rivendicati dai talebani stessi che si sono verificati negli ultimi mesi. Tra questi anche il razzo che ha colpito l’ambasciata italiana due giorni fa. Non è ancora chiaro se fosse proprio la sede diplomatica italiana a Kabul l’obiettivo dell’attacco.

Ubaid Ahmed è il portavoce ufficiale di Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan), attualmente l’unico partito democratico e laico in Afghanistan. Fondato nel 2004 da gruppi di intellettuali storicamente in lotta contro l’invasione dell’Afghanistan delle truppe russe, i governi fantoccio e il fondamentalismo islamico, questo movimento politico si dichiara apertamente  contro l’invasione da parte delle truppe americane e le forze della Nato. Gli obiettivi del partito sono la  difesa della democrazia e dell’indipendenza, i diritti delle donne, l’uscita delle forze militari straniere dal Paese e la pratica della solidarietà con tutte le popolazioni oppresse del mondo.

Quante persone fanno parte del partito al momento?

“Il partito è presente in tutto l’Afghanistan. In totale abbiamo 30mila iscritti, tra loro il 33 per cento è composto da donne. Per quanto riguarda invece la dirigenza del partito, vi è parità fra uomo e donna. Le donne sono la metà”.
Che risultati raggiungete alle elezioni?
“In passato ci siamo presentati a delle elezioni amministrative, in alcuni collegi provinciali: nel 2009 siamo riusciti a far eleggere in varie province 23 rappresentati del nostro partito. In seguito, a causa dell’altissimo livello di corruzione che esiste nel Paese, abbiamo deciso di non partecipare alle elezioni. Il voto in Afghanistan è un processo manipolato dalle forze di occupazione americane e per questo abbiamo deciso di boicottarle”.
Considera la corruzione il problema principale dell’Afghanistan?

“Penso che il problema principale dell’Afghanistan sia la presenza militare degli Stati Uniti e della Nato e il sostegno che loro danno ai signori della guerra, ai talebani e alle altre forze reazionarie del Paese. Le conseguenze sono l’insicurezza, la povertà, il traffico di droga, rapine, estorsioni, violenza contro le donne”.

In che modo i Paesi occidentali possono aiutare l’Afghanistan a entrare in un percorso più democratico?

“Prima di tutto chi occupa l’Afghanistan deve ritirare le truppe devono ritirarle e urgentemente. I Paesi occupanti devono anche interrompere il sostegno ai signori della guerra, ai trafficanti di droga talebani e a molti altri criminali”.

In Italia si ripropone periodicamente la discussione sul ritiro delle nostre truppe in Afghanistan: cosa si dovrebbe fare secondo lei?
“Devono andarsene. Sono solo delle marionette nelle mani delle forze americane, non stanno facendo nulla di buono per l’Afghanistan. Anche gli italiani sostengono i signori della guerra: per esempio Ismail Ahan, un vero e proprio criminale di guerra, stretto alleato delle truppe italiane in Afghanistan. Ahan vive in Herat, nell’Afghanistan occidentale, dove le truppe italiane sono di stanza. Anche organizzazioni di cooperazione italiana commettono gravi errori: per esempio dando il loro supporto a una donna afghana di nome Fausia Kopi: sappiamo che è stata eletta in parlamento grazie al supporto dei signori della guerra. Lei stessa potrebbe essere definita una signora della guerra, perché fa moltissima propaganda  a sostegno dei peggiori criminali del Paese e recentemente è citata in un report pubblicato da una organizzazione di donne per un caso di appropriazione indebita nel quale è coinvolta anche una Ong italiana”.
Cosa pensa la popolazione afghana in merito alla presenza delle forze internazionali?
“In primo luogo, i cittadini afghani, che per la maggior parte sono scarsamente alfabetizzati, considerano qualsiasi truppa internazionale come americana. Alla fine tutti vengono chiamati ‘gli americani’ e questo è un aspetto negativo. Ancora più importante è il fatto che queste truppe da quando hanno invaso il Paese nel 2001 hanno riportato al potere i peggiori criminali. Per esempio Fahit, che è stato ministro della difesa in questo governo, è definito da Human Rights Watch un criminale di guerra. Dostum, l’attuale vicepresidente dell’Afghanistan è citato in un report per i suoi crimini di guerra. Queste persone hanno molto più potere di prima, sono molto più ricchi. Questo denaro lo hanno ottenuto grazie alle truppe di occupazione, oltre che con il traffico di droghe, furti e d altri crimini”.
Quindi le elezioni in Afghanistan non si sono svolte in maniera libera?
“Le elezioni presidenziali si sono svolte nel 2014, e sono state le elezioni più comiche del mondo, perché i risultati fino all’ultimo non sono stati annunciati. I due candidati principali hanno entrambi truccato la votazione, nonostante la presenza di osservatori internazionali, i quali hanno riportato il fatto che ai seggi hanno votato pochissime persone. Questo vi può dare l’idea del livello di corruzione. Ogni giorno fra i politici volano accuse di corruzione reciproca, ma alla fine non succede nulla.
John Kerry è venuto dagli Stati Uniti per imporre una soluzione di governo, e dopo un anno, tutte le ricerche mostrano che la gente è ancora più infelice, scontenta di questo governo, perché ha fatto tantissime promesse e nessuna è mai stata mantenuta ed il Paese anzichè avanzare, è arretrato”.
Che cosa succederebbe se le truppe di occupazione se ne andassero?
“Affermare che le truppe se ne devono andare non significa pensare che questa sarebbe la soluzione di tutti i problemi e che immediatamente le cose andrebbero per il verso giusto. Ovviamente si verificherebbe una fase di caos, con conflitti, addirittura guerre. Però, guardiamo a quello che sta succedendo adesso: c’è insicurezza, corruzione e molti altri problemi. Attualmente il popolo afghano ha tre oppressori: le forze di occupazione della Nato, il governo afghano in combutta con i signori della guerra e le altre forze reazionarie e i talebani: almeno uno di questi oppressori verrebbe tolto dallo scenario”.
In tema di diritti delle donne : nei loro confronti il livello di violenza ed accanimento è ancora molto alto. Ci sono reazioni nella società civile?
“Posso fare l’esempio di Farkhunda: era una ragazza di 27 anni, uccisa nel marzo del 2015, in pieno giorno, nel centro della città, da un gruppo di uomini che l’accusavano di aver bruciato il Corano. Le successive indagini rivelarono poi che questa accusa era infondata. Questo gruppo di uomini prima l’ha picchiata e fatta cadere da un muro alto 4 metri, poi l’hanno legata e trascinata con una macchina per almeno trecento metri ed infine l’hanno bruciata. Il tutto è durato almeno due ore e mezzo e si è svolto a 500 metri dalla stazione di polizia. Alcuni agenti hanno assistito all’aggressione, qualcuno di loro ha cercato di salvare la ragazza, ma infine l’hanno abbandonata al suo destino, hanno lasciato che la uccidessero. Nel corso delle investigazioni questi poliziotti hanno dichiarato di aver ricevuto degli ordini dall’alto che gli imponevano di non intervenire, perché se lo avessero fatto ci sarebbero state altre vittime. Sharaf Baghlany, uno degli assassini, ha ripreso tutta la scena con il suo telefonino e lo ha pubblicato sul suo profilo Facebook. Si è vantato del crimine commesso, dicendo che un gruppo di coraggiosi musulmani aveva fatto giustizia a seguito di un sacrilegio. Dopo poche ore un personaggio politico, una donna, sottosegretario alla cultura, ha dichiarato che queste persone avevano agito per un fine giusto.
Allo stesso tempo, però, c’è stata una reazione da parte di molti afgani, scesi in piazza contro il crimine che era stato compiuto. Inoltre è successa una cosa senza precedenti, anche per il mondo musulmano: normalmente nei funerali le donne non hanno il diritto di trasportare le salme alla tomba, ma in questo caso, al funerale di Farkhunda è stato rotto un tabù. Le donne erano in prima fila e sono state loro a portare Farkhunda nella sua tomba”.
Come esponente di un partito che si oppone così apertamente al governo e ai fondamentalismi , non si sente minacciato? Ti è mai successo qualcosa?
“Noi tutti siamo in pericolo. Nel 2007 un nostro attivista è stato ucciso dai talbani e ogni volta che facciamo una manifestazione corriamo il rischio di essere incarcerati, torturati, uccisi. Nel 2012 abbiamo organizzato una manifestazione contro il governo afgano e i suoi sostenitori criminali a cui hanno partecipato circa 5mila persone. In quell’occasione hanno arrestato 25 membri del partito, me compreso; ci hanno trattenuti per 10 giorni, ci hanno picchiato, ma alla fine ci hanno rilasciato. È normale per noi incorrere in situazioni di questo tipo. Alcuni nostri attivisti , in alcune province secondarie, non possono fare apertamente attività politica, lo devono fare di nascosto”.
Nonostante tutto questo, crede che qualcosa stia cambiando nella testa del suo popolo?
“Sì, siamo fiduciosi che molte cose possono cambiare, perché le persone sono piu coscienti che in passato del fatto che al governo ci sono dei criminali e si stanno ribellando in molte occasioni. Vogliono fare qualcosa di diverso. Ho molta più speranza di prima”.
  • Autore articolo
    Serena Tarabini
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    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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