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La rivolta di Campobello come banco di prova per nuove lotte bracciantili

*Le informazioni riportate nel testo sono frutto delle nostre osservazioni sul campo e di due interviste fatte con Martina Lo Cascio, ricercatrice e attivista del gruppo Contadinazioni, e Simone Cremaschi, assegnista di ricerca all’Università Bocconi.

È di pochi giorni fa la notizia delle dimissioni del prefetto Michele di Bari, capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno, dopo che sua moglie è risultata indagata per caporalato nel foggiano. Una notizia di grossa portata proprio perché, in quanto braccio destro della Ministra Lamorgese, Di Bari negli ultimi anni ha gestito tutti i protocolli di prevenzione del caporalato e fatto regolari visite ai paesi del sud Italia dove la legge contro il caporalato viene più spesso utilizzata. I giornali nazionali hanno riportato la notizia e intervistato il prefetto, mettendo in risalto che l’accusa secondo cui la «Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie di Di Bari, trattava direttamente con il “caporale” gambiano Bakary Saidy, arrestato ieri» è ancora tutta da dimostrare. Le uniche due persone ad essere state portate in carcere, intanto, sono i presunti “caporali”, uno gambiano e l’altro senegalese. A loro, però, i giornali italiani non lasciano il beneficio del dubbio, né tantomeno si sono interrogati su quali siano le cause che portano allo sfruttamento in agricoltura.
La retorica distorta dell’informazione italiana offre lo spunto per una riflessione più ampia su quale sia la realtà non raccontata dei cosiddetti “ghetti” italiani, sulle dinamiche al loro interno, sul ruolo delle istituzioni e di chi prova a fare politica in queste periferie d’Italia, lavoratori braccianti inclusi. La nostra riflessione comincia a Campobello di Mazara, uno degli ultimi insediamenti visitati da Di Bari, giusto qualche settimana prima delle sue dimissioni.

Lo sguardo dei lavoratori

Campobello di Mazara si trova a pochi chilometri dal mare del Canale di Sicilia, in una piana ad est di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, dove i campi di ulivo si estendono sterminati per decine di chilometri. D’estate la zona è meta turistica assai frequentata, come tutta la Sicilia d’altronde. Ma già da fine agosto, Campobello inizia a popolarsi di lavoratori stagionali, che ogni anno arrivano a migliaia per la raccolta delle olive da tavola, che a Campobello è – insieme proprio al turismo – l’attività trainante dell’economia locale.
Molti di questi lavoratori stagionali, come è noto, abitano in insediamenti informali in condizioni molto degradate per i normali standard di luce, acqua e gas a cui siamo abituati. Inoltre, vivono gravi condizioni di sfruttamento lavorativo e subiscono il ricatto della mancata regolarizzazione. Di tutto questo abbiamo racconti, spesso sensazionalistici, che arrivano fin sulla grande stampa; ma delle storie di resistenza, come la rivolta avvenuta durante quest’ultima stagione di raccolta, si sa poco nonostante l’importanza che questa ha avuto per i braccianti razzializzati e che può avere anche per tutti e tutte noi. Quest’anno, a Campobello, molti lavoratori hanno deciso di ribellarsi perché nella notte tra il 29 e il 30 settembre nel campo abitativo informale dove risiedevano è scoppiato un grosso incendio improvviso – ma figlio di anni di assenza di interventi istituzionali – che ha ucciso uno di loro, Omar Baldeh, e che ha distrutto la maggior parte del campo dove abitavano.
Raccontare la storia di Campobello di Mazara, e raccontarla dal punto di vista dei lavoratori, ci aiuterà a capire come le filiere dell’agricoltura della grande distribuzione organizzata diano vita a forme di abitare che sono strettamente legate allo sfruttamento imposto dalla filiera. E di come i lavoratori razzializzati, nonostante sfruttamento e marginalizzazione, siano in grado di organizzarsi in modi e forme autonome.

La monocoltura delle olive e la forza lavoro bracciante

L’oliva nocellara del Belice che si produce a Campobello è un’oliva certificata, che richiede la raccolta a mano per rispettare gli standard estetici che un certo tipo di certificazione richiede. Non da sempre però questa pregiata oliva è stata il prodotto unico e totalizzante dell’agricoltura locale. Come ci spiega Martina Lo Cascio, attivista del gruppo Contadinazioni e ricercatrice, il settore agricolo locale è cambiato drasticamente a partire dalla fine degli anni ‘80 con un doppio processo di modernizzazione dell’agricoltura e di strutturazione in filiere produttive. Quello che è avvenuto è che da un regime produttivo fondato sulla biodiversità agricola, si è passati ad un regime a monocoltura intensiva. Questo processo è andato di pari passo con un secondo ordine di trasformazioni, ossia il passaggio da una produzione familiare ad una che, seppur ancora a trazione familiare, richiede anche l’utilizzo di manodopera subordinata. Qui entra in gioco la manodopera di origine straniera, anello ideale per garantire qualità del prodotto (dato dalla raccolta a mano non meccanizzata) e monocoltura produttiva (la cui stagione di raccolta in un periodo relativamente breve richiede manodopera flessibile e “just in time”). In ragione di questo particolare assetto, la forza lavoro stagionale ha costituito la risposta alle esigenze produttive di un capitalismo locale pienamente inserito nella catena della grande distribuzione organizzata, fondato sulla compressione salariale e l’invisibilizzazione dei lavoratori.
Da diversi anni, dunque, a Campobello come in tanti altri piccoli centri non urbani del Mezzogiorno d’Italia, esistono e si susseguono diversi ‘ghetti stagionali’. Ogni anno, nei diversi “luoghi della raccolta”, quando arriva il momento della raccolta il campo si ripopola, nonostante ci sia sempre qualcuno che sceglie di rimanere a viverci tutto l’anno.

Scegliere di abitare in un campo informale

Le condizioni abitative a Campobello, come è immaginabile, sono difficili proprio per la natura informale del campo. Esso era costituito di baracche in legno e plastica e attrezzato perlopiù con bombole a gas, quadri elettrici auto-costruiti e cisterne dell’acqua. Lo scorso anno a Campobello l’acqua è arrivata proprio grazie alla raccolta fondi “Portiamo l’acqua al ghetto”, organizzata da Fuorimercato[1], che ha permesso di comprare alcune taniche d’acqua da sistemare nel campo.
Eppure, i Comuni interessati dalla raccolta stagionale, in alcuni casi, si propongono di allestire per i lavoratori soluzioni abitative alternative. Allora viene da chiedersi perché, nonostante le condizioni dure dei campi abitativi informali, i lavoratori e le lavoratrici scelgano tali insediamenti e li preferiscano a soluzioni prefabbricate proposte dalle istituzioni. Simone Cremaschi, ricercatore che si è occupato a lungo di ghetti del foggiano, spiega che «nei campi istituzionali ti fanno pesare la tua posizione di sudditanza nei confronti dei gestori del campo. Oltre alla libertà, che non è di poco conto, il ghetto ti permette di stare vicino a più opportunità di lavoro e di “ricchezza”». Inoltre, ci sono tutta una serie di altre persone che «lo scelgono a causa di mancanza di documenti, mancanza di reti familiari in Italia, pressioni familiari sulla necessità di guadagnare qualcosa da mandare “a casa”, e scelgono di vivere in questi posti, guadagnando sia del lavoro in agricoltura che del lavoro informale nei campi». Infatti la storia dei campi istituzionali racconta di una costante differenziazione tra i lavoratori: può entrare solo chi ha i documenti, spesso è richiesto anche un contratto di lavoro, un contributo giornaliero e, quest’anno, anche il green pass. All’interno poi, in quasi nessun caso è permesso cucinare, e si servono pasta o riso che poco hanno a che fare con la dieta tipica dei lavoratori stranieri.
Sotto questa luce si capisce meglio perché, ad esempio, dopo l’incendio e la distruzione del ‘ghetto’ di Campobello, nonostante sia arrivata la proposta di soggiornare negli alberghi della zona, i lavoratori si siano rifiutati. Seck Masseck, uno dei lavoratori organizzati di Fuorimercato, interpretando il sentimento collettivo, ha dichiarato «siamo stanchi di parlare, vogliamo rimanere qua e non vogliamo andare da nessun’altra parte e non vogliamo dividerci perché siamo fratelli».

La rivolta dei braccianti e le sue radici

La mattina dopo l’incendio, i lavoratori abitanti del ghetto, insieme ad un gruppo di solidali, sono partiti in corteo verso un ex-oleificio, in cui avevano vissuto in anni passati – prima che le istituzioni lì inaugurassero una tendopoli istituzionale temporanea – e che è in condizioni decisamente migliori rispetto al campo appena bruciato, e in quel luogo hanno iniziato a costruire il nuovo campo, resistendo allo sgombero da parte delle forze dell’ordine. Infatti, in quello stesso spazio la Prefettura voleva costruire il campo della Croce Rossa a cui si poteva accedere solo con green pass e permesso di soggiorno. Attraverso la resistenza, i braccianti si sono dunque garantiti condizioni abitative relativamente migliori (accesso all’acqua, elettricità e asfalto invece che terra sotto ai piedi), ribadendo che per loro «la cosa più importante è stare insieme». Questa vittoria è estremamente interessante perché è l’esito di un lungo processo di costruzione di “istituzioni” autonome della forza bracciante che ha avuto nell’assemblea dei lavoratori inaugurata il giorno dopo l’incendio una svolta essenziale. L’avvenimento tragico ha senz’altro funzionato da detonatore ma l’intera vicenda di lotta e auto-organizzazione di questi mesi offre un buon banco di riflessione intorno alle pratiche di conflitto e organizzazione autonoma dei lavoratori. Ci dice insomma, di alcuni semi che sono stati piantati e che piano piano hanno cominciato a germogliare.
Martina Lo Cascio, che ha preso parte attiva in questa lotta, spiega che «l’incendio ha accelerato dei processi rivendicativi: il corteo dà il segno che nel momento in cui è necessario rendere visibile un’azione di riappropriazione, i lavoratori sono stati in grado di farlo». E questo, prosegue la ricercatrice, «ha permesso una fiducia nuova che ha rotto il ritmo del “ogni anno non cambia niente”». Andare a insediarsi in maniera autonoma all’ex-oleificio ha dato coraggio a molti lavoratori che hanno cominciato a riconoscersi nell’associazione Fuorimercato. Un elemento chiave di attivazione può essere stato questo: i numeri dei lavoratori erano molto contenuti rispetto agli altri anni ed è stato possibile condurre alcuni scioperi e una trattativa senza mediazione con i datori di lavoro. E questo ha portato risultati salariali sul prezzo del lavoro a cottimo e sul pagamento delle cassette.
Più in generale, Lo Cascio sostiene che diversi fattori hanno contribuito alla rivolta dei lavoratori: innanzitutto «negli anni, Campobello è stata poco mediatizzata e completamente abbandonata dalle istituzioni, questo ha avuto un lato positivo e cioè ha permesso l’auto-organizzazione dei campi». E, a partire da questa auto-organizzazione, «è stata fondamentale la formazione sindacale che dopo anni di campagna “Portiamo l’acqua al ghetto” ha portato alla creazione di una dinamica assembleare». Insomma, si è lavorato molto negli scorsi anni su che cosa significa essere gruppo, e i risultati si cominciano finalmente a vedere. Soprattutto, si è capito che se si intende migliorare la condizione dei lavoratori è doveroso mettersi in ascolto di alcune rivendicazioni specifiche che provengono direttamente dal movimento dei lavoratori razzializzati e che, al di là delle astratte ideologie, ci restituiscono richieste materiali immediate e stringenti.

Oltre il caporalato come problema unico

Molte inchieste giornalistiche hanno restituito racconti di questi ghetti come luoghi di aberrazione e, soprattutto, come luoghi chiave in cui si sviluppa il fenomeno del caporalato. Entrambi i ricercatori intervistati sostengono invece che la situazione sia più complessa: il ghetto è sì un luogo funzionale in quanto centro di smistamento dei lavoratori, ma il caporale malvagio e violento è una realtà che, almeno nei ghetti west-africani, non esiste. In Puglia, ci spiega Cremaschi, il caporale esiste perché rappresenta una soluzione di mercato a un vuoto strutturale che è la mancanza di intermediazione tra datore di lavoro e lavoratore. Ed essendo questo un servizio, peraltro necessario ad ambo le parti, il caporale si fa pagare molto. In questo senso, i caporali sono imprenditori e ci sono vari livelli di “azienda caporale”, con anche diverse stratificazioni e divisioni lavorative.
A tal proposito, le retoriche criminalizzanti nei confronti dei caporali, portate avanti anche e soprattutto dai sindacati confederali che si recano nei ghetti a dire “il vostro sfruttamento è colpa dei caporali” sembrano non rendersi conto che lavoratore e caporale sono vicini di baracca, magari amici, sicuramente conoscenti all’interno delle relazioni del campo. Allora, ascoltando i lavoratori, si capisce facilmente che il ruolo di intermediazione del caporale è spesso considerato fondamentale perché – in un contesto di lavoro nero o grigio – è l’unica figura in grado di garantire al lavoratore di essere pagato e di non rimanere “truffato” dal datore di lavoro. Viene dunque da pensare che un caporale vada piuttosto giudicato da come usa il suo “potere” per rappresentare le istanze dei lavoratori in situazioni come quella della mobilitazione di Campobello.

Conclusione

A Campobello nelle scorse settimane è andata in scena la possibilità di migliorare le condizioni di vita dei braccianti precari e invisibili. Attraverso la riappropriazione collettiva delle proprie condizioni lavorative, i braccianti hanno posto un primo tassello di auto-organizzazione per provare a invertire un processo di sempre maggiore invisibilizzazione. Va dunque riconosciuto che le modalità di abitare rimangono indissolubilmente legate allo sfruttamento lavorativo: in tutto il Mezzogiorno d’Italia, quando cambia il modo produttivo cambia il modo di abitare. E, allora, perché non immaginare un modo di vivere la terra in maniera diversa? Perché non lottare per il superamento della Grande Distribuzione Organizzata e dei suoi prezzi iniqui? Perché non dare un permesso di soggiorno ai lavoratori braccianti che meritano di essere liberati dal ricatto dello sfruttamento? Di questo e di altro è possibile ragionare se ci si mette in ascolto delle lotte bracciantili che animano le nostre campagne meridionali.

Questo articolo è apparso in doppia pubblicazione anche sul blog “Da qui” di Tamu Edizioni

  • Emilio Caja e Pietro Savastio

    Emilio Caja e Pietro Savastio sono ricercatori indipendenti e collaborano con varie riviste, enti di ricerca e università. Sono stati e continuano ad essere partecipi di diverse esperienze di attivismo politico e sociale. Emilio lavora all'università e ha un piede sotto l’Etna, Pietro lavora nella scuola e ha due piedi sotto il Vesuvio: “da qui” è la prospettiva del Sud da cui guardano al mondo, dopo essere stati a spasso per l’Europa del Nord a studiare e formarsi.

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L'Ambrosiano

Meno figli, più solidarietà e “sogni possibili”. Poesia, civitas, politica

Nessun PNRR fermerà il declino se non si cambia testa: tutti, non solo i politici. Due esempi. Uno: Draghi s’è arreso all’egoismo di destra: no al contributo di solidarietà per il caro bollette a carico di chi supera 75.000 euro (neanche 300 euro nel 2022, meno d’un caffè al giorno!). Due: lacrime di coccodrillo di partiti, media, intellettuali per la denatalità. Senza bambini non ha futuro il Paese, che però non ha domani se non corregge disuguaglianze, ingiustizie, perversioni che rendono più poveri i poveri e più ricco chi già lo è. Ne Il villaggio di cartone, film sui migranti, 10 anni fa Olmi ammoniva: «O cambi la storia o la storia cambierà te». Da poeta e profeta d’accoglienza trasformò una chiesa vuota in rifugio di disperati. Oggi si costruiscono muri a Est; spicca l’impotenza d’un’Europa stanca come noi (pur con politiche per la famiglia più lungimiranti); Meloni e Salvini alzano la voce (copre vuoti e confonde la gente). Forse non aveva torto Mimmo Lucano con Riace aperta ai migranti; la tremenda sentenza che l’ha bollato più d’un criminale dice lo spirito del tempo: un Paese preda d’una resistenza inconscia al cambiamento, sino al cupio dissolvi. Un incubo. A Natale, con la coppia archetipica dei migranti (Giuseppe e Maria appaiono tali nei vangeli, tra ricerca d’un posto a Betlemme e la fuga in Egitto) la Chiesa in cui papa Francesco predica “sogni possibili” e laici sostenitori d’associazioni umanitarie potrebbero immaginare corridoi umanitari che portino famiglie d’Asia e Africa, offrendo borghi spopolati ad esempio sugli Appennini. Sindaci virtuosi danno case a prezzi simbolici a chi s’impegna a ristrutturarle, al Sud: opzione endogamica, però, per chi ha già e vuol di più. Precedendo la politica con immaginazione e idee si offrirebbero un futuro in umanità, vita economica, sociale, culturale. Una scelta di civiltà (l’Italia ha già avuto utopisti: Olivetti, don Zeno, Danilo Dolci, Capitini, Spinelli) con effetti collaterali: utilità pubblica (tutela di monti, boschi, fiumi, agricoltura, artigianato) e compimento di profezie senza tempo: piedi per terra e occhi al cielo. Scrive Gibran: «I vostri figli non sono figli vostri. / Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ballando nel Silenzio: un viaggio tra misticismo e razionalità

Darinka Montico, che affettuosamente chiamo la furia, è una di quelle poche persone ancora capace di sorprendermi. Rappresenta la dimostrazione lampante che il coraggio vuole ridere, così come l’universo, e se riesci davvero a giocare con la vita, alla fine il Signore, la legge di natura, o l’energia che soggiace l’esistenza di questo casino in cui viviamo – scegliete voi come volete chiamarlo – finisce per ricompensarti.
Ma attenzione, giocare con la vita non significa credere che la vita sia un gioco, la frase sembra simile ma il concetto é profondamente diverso.
Giocare con la vita vuol dire desiderare conoscere e conoscersi, parafrasando il maestro Battiato. Vuol dire affrontare le difficoltà con sobrietà e leggerezza fin dove possibile, senza sentirsi dei martirizzati quando si presentano ostacoli più o meno importanti.
“Non c’è niente nella vita da prendere seriamente eccetto il godere della vita stessa” diceva Maharishi Mahesh Yogi, il mistico indiano che portò in occidente la pratica della Meditazione Trascendentale.
Che in parole spicce vuol dire vivere ostacoli e cambiamenti come delle opportunità.
E vuol dire anche, ad esempio, dopo essere state lasciate dal fidanzato a un passo dall’altare come successo a Darinka, non trascorrere la vita a recriminare la tremenda ingiustizia subita maledendo il genere umano, ma rimettersi in discussione e affidarsi completamente alle persone. E così rimarginare le proprie ferite. Nel caso di Darinka questo è coinciso con la decisione di attraversare l’Italia a piedi, da sola e senza soldi, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, affidandosi all’ospitalità degli sconosciuti disposti a offrirgli una cena e un posto per la notte. E lei in cambio, se ne restava ore ad ascoltare quello che avevano da dire, raccogliendo i loro sogni – che spesso sono i nostri più grandi segreti – in biglietti di carta che poi portava con sé. Se conoscete un modo più poetico ed efficace di ritrovare fiducia nell’umanità dopo un tradimento, fatemelo sapere.
Questa esperienza è poi stato raccontata in un libro ultra indipendente, “Walkabout Italia”, che è diventato un successo underground da diverse migliaia di copie e ha trasformato questa bionda e sorridente giramondo originaria di Baveno, sulle rive del lago Maggiore, in una piccola star del web.
Viaggiatrice impenitente, Darinka si è poi concessa un mezzo giro del mondo senza prendere aerei, in modo eco-sostenibile, una traversata dell’Atlantico in barca vela, e di un altro bel pezzo di mondo in bicicletta. E non aveva ancora smesso di viaggiare quando la “longa mano” della pandemia si è stretta intorno al mondo. Darinka si trovava in Indonesia, pronta a ripartire e invece…
Rimasta bloccata a Bali a un passo dai 40 anni, ha deciso di vivere quella pausa forzata non come una costrizione ma come un’opportunità per realizzare l’unico viaggio che ancora le mancava: quello dentro sé stessa. E lo ha fatto seriamente, con mente aperta, curiosità e anche una certa dose di attenzione, perché dietro alla “beatitude” matchata Namasté, non sempre tutto gira limpido come un torrente himalayano. Tra viaggi con l’ayahuasca, meeting online con guru indiani ben introdotti dentro il business spirituale, centri di yoga, pittori schizzati che trovano la propria realizzazione attraverso la magia dei sigilli e un nuovo amore sullo sfondo, questa ragazza eccezionalmente normale ha trascorso i lunghi mesi in cui il mondo si è fermato alla ricerca di un modo per accettare se stessa, tracciare una quadra nel complicato rapporto con i genitori e comprendere qualcosa di più sul senso più profondo e spirituale della vita.
Un viaggio importante, a tratti anche goffo, certamente sincero, che si è concretizzato nel libro “Ballando nel Silenzio”, uscito da qualche tempo per i tipi di Altrevoci Edizioni, nuovo editore che pubblica storie capaci di accarezzare i lettori più esigenti e inquieti.
In un mondo dove il self-help, la ricerca spirituale e la riscoperta delle nostre dimensioni metafisiche vengono urlate, vendute come certezze e commercializzate come l’ultimo Big panino, questo libro va in direzione diametralmente opposta. Come una giovane Terzani post apocalittica – e in certi passaggi il suo modo di raccontare mi ha piacevolmente ricordato “Un Indovino mi disse” – Darinka non insegna, non traccia percorsi, non vende certezze a prezzi modici ma condivide gratuitamente i suoi dubbi con noi, e nel farlo si spinge oltre, rischia di suo, e poi condivide l’esperienza. Sì, esattamente come un esploratore dell’anima, che cammina, vede, raccoglie e racconta. Che poi è l’unico modo possibile, e aggiungerei credibile, per muoversi su certi territori così affascinanti ma nei quali la sola certezza è che certezze non ce ne sono.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Breaking Dad

Babbo Natale? Diciamo che lo stimo

Prima o poi doveva succedere. Non ci crede più neanche lui. Passi il grande, che ha il 45 di scarpa, sfila in corteo e va alle prime feste serali. Lo ammetto: è ragionevole che lui non creda più a Babbo Natale. Ma il piccolo, il cucciolo di casa! Ma come?! E non è stata colpa del vescovo-Grinch di Noto. E neanche della Commissione Europea con le sue circolari. E’ successo con naturalezza, come le cose che devono succedere.

Si fa la letterina: Franci il grande sta al gioco, come da un po’ di anni a questa parte, Fabri il piccolo elenca i desideri. Questo, questo, quell’altro… A un certo punto si arriva a un livello di spesa che tocca chiedere una deroga al Pnrr. Così non va, bisogna togliere qualcosa. “Ma tanto i regali non li comperate mica voi, no? Li porta Babbo Natale, no?”. Pausa. Bè, sì, però, in effetti… All’improvviso salta il tappo. Come una bolla di sapone che cresce, cresce ma quando è arrivato il momento scoppia. Bum!

Ma allora… ecco perché non si capisce come fa a portare tutto a tutti in una notte, ecco perché è impossibile che gli elfi costruiscano le X-Box con il legno e i chiodi, ecco perché quando lo vedevo dalla finestra, con il vestito rosso e la barba bianca, il nonno non era mai in casa, ecco perché se uno è ricco gli porta giochi da ricco, ecco perché le renne che volano non esistono proprio, ecco perché Pietro mi ha detto che non esiste e anche Marco era d’accordo, ecco perché. Perché non esiste.

Fabrizio non ci è rimasto male. Chissà da quanto tempo, in fondo al cuore, fingeva di crederci. E’ bello credere a qualcosa di magico che ti tiene legato all’infanzia. Grande Babbo, sei stato importante! Ma importante è anche non crederci più, se succede al momento giusto. Non credere più in qualcosa che ti hanno fatto credere perché eri piccolo: oh, raga, sono diventato grande. E’ quello che continueremo a fare per il resto della vita, tra l’altro: credere in cose che ci danno felicità fin quando ha senso e poi non crederci più e passare oltre, crescere ancora.

E poi, mica vorrai fare come Omar che il suo amico Vincenzo lo convinse che Babbo Natale non esisteva portando prove inconfutabili. E poi, acquisita ai suoi occhi una indiscutibile autorevolezza e credibilità, gli disse: “Invece Dracula esiste”. Mandando il piccolo Omar nel panico e facendolo dormire per mesi con il lenzuolo sopra la testa.

E’ inevitabile che l’aver smascherato Babbo Natale si ripercuota anche sull’altra protagonista delle feste. Santa Lucia. Sì, perché le origini parmigiano-veronesi hanno fruttato ai pargoli una doppia elargizione. Santa Lucia – per chi non lo sapesse – a Verona (come a Parma, a Brescia, a Mantova e qualche altra città padana) è la VERA festa dei bambini. A lei si scrive la letterina. E’ lei che porta i balocchi. I giocattoli e i dolcetti. Il Natale è la festa della famiglia, del pranzo, dei parenti, della messa, eccetera. Ma è Santa Lucia a esaudire i desideri! Con il suo asino a cui bisogna lasciare una ciotola d’acqua e qualcosa da mangiare, quando la notte si intrufola in casa per consegnare i doni.

Quindi, viste le premesse, considerate le attuali conclusioni… anche santa Lucia è una favola per bimbetti creduloni. O no? In effetti se ne parla meno. E’ meno inverosimile, in fondo, di quell’omone da pubblicità. E’ meno appariscente, si fa solo qualche città, tutte vicine: potrebbe pure farcela. Voi che ne dite? Vuoi vedere che Santa Lucia esiste davvero?

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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L'Ambrosiano

Macbeth, ripartenza, Colle, successione. E le Ombre (di Banco & C.)

Alla Scala è andata in scena una versione del post Mattarella. Nel palco reale il Presidente, garante dell’autenticità della ripartenza; il pubblico plaude e chiede il bis per 6 minuti: è lo psicodramma nazionale; in scena il Macbeth di Verdi truce metafora della lotta per il potere politico-economico ambientato in un’anonima, tecnologica, supermoderna città. L’opera dà corpo a una tragica verità, esaltata da effetti speciali: ci sono i rei, ma il Fato(l’inconscio? Il contrappasso?) giocherebbe la sua parte governando i tremendi eventi narrati; lui guiderebbe congiure e delitti grazie a streghe, sinistre foreste, stanze buie dal regista rese col postmoderno di personale soldatino tecnologico, stanze dei bottoni, leader un po’ boss di C’era una volta in’America e fantasmi di poteri forti. La retorica della ripartenza ha evocato il 75° dell’inaugurazione della Scala; ma nel 1946, quando reduce dagli USA Toscanini sancì la Ricostruzione, Milano e il Paese eran popolati da partiti di massa, visioni del mondo, leader venuti dalla Resistenza, la politica bene comune, intellettuali sedotti da idee non da Narciso. Ei fu. Nel V atto del Macbeth Shakespeare scrive: «La vita non è che un’ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo per la sua ora e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un’idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla». La morale della tragedia lha indicata Liliana Segre: «Vorrei uno come lui», Mattarella. I bis son attestati daffetto e stima a un Presidente punto di riferimento per tutti, anche per quelli del governo giallo-verde quando chiesero l’impeachment del Presidente che disse no a un Ministro sponda di chi sognava uscita dall’Euro (Salvini) e gilet gialli (Di Maio) e ora vorrebbero restasse. Pure con loro si deve trovare la soluzione. Un’impresa? È la democrazia. Il teatro c’è per i bei sogni non solo per gl’incubi di Macbeth e Lady. Il Fato (Shakespeare docet)userà chi terrà schiena dritta e testa a posto e delle Ombre (di Banco & C.) che abitano i Palazzi: farà eleggere il Presidente di tutti. Se poi non si parlerà più dei Grandi Elettori agitati sino all’ultimo quorum: «non significa nulla».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Pubblica di martedì 11/11/2025

    Promemoria per i tempi di manovre di bilancio. Più soldi guadagni e maggiori sono i benefici fiscali che ricevi dal governo. E’ il capolavoro politico-fiscale che il governo Meloni è riuscito a realizzare con l’ultima legge di bilancio, ora in discussione in parlamento. Ha scritto l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), istituzione indipendente, nei giorni scorsi: «la riduzione dell’aliquota legale dal 35 al 33 per cento, nell’intervallo di reddito tra 28.000 e 50.000 euro, produce un beneficio fiscale differenziato che cresce al crescere del reddito». Ripetiamo: il taglio delle aliquote Irpef ha prodotto «un beneficio fiscale differenziato che cresce al crescere del reddito». Una manovra regressiva, che fa aumentare le disuguaglianze. Alla stessa conclusione è arrivata anche l’Istat e la Banca d’Italia. Ma il governo Meloni ha preso le distanze da queste conclusioni. Pubblica oggi ha ospitato l’economia Maurizio Franzini e la sociologa Enrica Morlicchio. Di fronte alle politiche della destra al governo che aumentano esplicitamente le disuguaglianze, abbiamo deciso di partire dai fondamentali con i nosti ospiti: che cos’è l’uguaglianza? Cosa significa parlare di uguaglianza in un paese che la prevede fin dalla sua Costituzione (articolo 3)? Quali meccanismi ha messo in moto l’esecutivo per una manovra “di classe”?

    Pubblica - 11-11-2025

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    A come America di martedì 11/11/2025

    Donald Trump e la svolta conservatrice della democrazia USA. A cura di Roberto Festa e Fabrizio Tonello.

    A come America - 11-11-2025

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    A come America di martedì 11/11/2025

    A cura di Roberto Festa con Fabrizio Tonello

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 11-11-2025

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    MASSIMO FILIPPI - LAIKA, FORSE

    MASSIMO FILIPPI - LAIKA, FORSE - presentato da Cecilia Di Lieto

    Note dell’autore - 11-11-2025

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    Dopo il taglio ai fondi antismog da Meloni e Salvini meno soldi ai trasporti lombardi

    Dopo la sforbiciata da 270 milioni in tre anni ai fondi per le politiche anti inquinamento, arriva la conferma che dal governo Meloni arriveranno fondi insufficienti anche per il trasporto pubblico locale. La Lombardia è particolarmente penalizzata e se n’è accorto persino il presidente della giunta lombarda Attilio Fontana che ora chiede più risorse al Governo. La Lombardia riceve il 17,6% delle risorse nazionali destinate al trasporto pubblico, una quota che sembra destinata a non aumentare. Il risultato per chi si muove sui mezzi pubblici è che, sia con la mano del governo nazionale, sia con quello di quello regionale, i fondi sono insufficienti. E davanti ai finanziamenti insufficienti tocca ai comuni integrare con fondi propri. Per le opposizioni di centrosinistra la destra è incapace di risolvere i problemi dei cittadini. La denuncia di Simone Negri, consigliere regionale del Pd che si occupa di trasporti.

    Clip - 11-11-2025

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    CECCHETTIN DUE ANNI DOPO

    La giovane età di vittima e assassino non era un’anomalia. Due anni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin i dati lo confermano: si abbassa progressivamente l’età di chi agisce e subisce violenza. Qualcosa non funziona, forse, nel passaggio generazionale anche da parte di chi si sente assolto. Servirebbe parlarne a scuola? Si, ma soltanto con l’autorizzazione delle famiglie, secondo la destra. Cioè di quei soggetti all’interno dei quali, quando c’è, la violenza viene esercitata. Ospiti: Elisabetta Canevini, Presidente quinta sezione penale del Tribunale di Milano; Lara Pipitone, insegnante, conduttrice di “Fuori Registro” su RP; Lorenzo Gasparrini, filosofo, formatore per la Fondazione Giulia Cecchettin. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 11-11-2025

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di martedì 11/11/2025

    La Lega fa marcia indietro e emenda la sua proposta di vietare l'educazione sessuale-affettiva nelle scuole medie: si potrà fare col consenso informato dei genitori. Il commento di Elisabetta Piccolotti deputata di Avs. La Dottoressa Simona Chiatto del consultorio Gli Aquiloni ci racconta cosa significa educazione sessuale e affettiva e come si fa nelle scuole primarie e secondarie. Sempre più app ci chiedono il consenso alla geolocalizzazione poi vendono i dati sui nostri spostamenti e abitudini ad aziende di ogni tipo: ma chi è interessato ai nostri dati, perché e come difenderci, le risposte di Marco Schiaffino giornalista esperto di cybersicurezza e nostro conduttore di Doppio Click. Cristina Franceschi, presidente della Fondazione Roberto Franceschi Onlus ci racconta il convegno "𝐌𝐢𝐥𝐚𝐧𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐫𝐞𝐜𝐜𝐢 𝐝𝐢 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚" di venerdì prossimo in Comune di Milano, con gli interventi di nove testimoni che racconteranno la storia degli indumenti donati per essere intrecciati insieme nell'opera realizzata dall’artista Patrizio Raso "Ombra di tutti" che sarà esposta il 3 dicembre alla Casa della memoria.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 11-11-2025

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    Rassegna stampa internazionale di martedì 11/11/2025

    Notizie, opinioni, punti di vista tratti da un'ampia gamma di fonti - stampa cartacea, social media, Rete, radio e televisioni - per informarvi sui principali avvenimenti internazionali e su tutto quanto resta fuori dagli spazi informativi più consueti. Particolare attenzione ai temi delle libertà e dei diritti.

    Esteri – La rassegna stampa internazionale - 11-11-2025

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    Presto Presto - Lo stretto indispensabile di martedì 11/11/2025

    Il kit di informazioni essenziali per potere affrontare la giornata (secondo noi).

    Presto Presto – Lo stretto indispensabile - 11-11-2025

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    Presto Presto - Giornali e commenti di martedì 11/11/2025

    La mattina inizia con le segnalazioni dai quotidiani e altri media, tra prime pagine, segnalazioni, musica, meteo e qualche sorpresa.

    Presto Presto – Giornali e commenti - 11-11-2025

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