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La scuola non serve a nulla

Come proporre la “Giornata della Memoria” a scuola?

"A modest proposal"

Io su Olocausto e Giornata della Memoria non sono sicuro di sapere cosa dire.

Il primo istinto suggerirebbe nient’altro che il silenzio, relazionandosi a quell’immane buco nero della civiltà umana che è stata la Shoah. Poi però senti che qualcuno certe idee bislacche le ripropone, che non lo fa neanche tanto velatamente, che certi nostri politici su questa questione sembrano non puntare all’ “Oscar della Chiarezza”, che da certe curve partono di quei cori ti lasciano un po’ interdetto, che per certi ragazzi persino l’ignoranza ha acquisito quasi una sorta di fascino… e allora è un attimo che cambi idea. E il monito di Primo Levi  “affinché non accada più” costringe a riflessioni diverse: a cercarle, invece, le parole. Che poi gioco forza per lavoro mi è toccato comunque farlo spesso, su questi argomenti: per scrivere spettacoli, per parlare a lezione ai ragazzi, per provare, da docente, a fare “il mio”. Per raccontare… Ecco, ma appunto, cosa raccontare?

Alla peggio, uno può sempre partire dalle parole. “Shoah”, è termine ebraico sostanzialmente intraducibile: è più di “distruzione”, è più maligno di “annientamento”… insomma, già solo in questo si sente la fatica del tentativo di tradurre quel nulla che resta, quell’indicibile opera di azzeramento, di nullificazione. E quasi ci si arrende all’impossibilità dei termini a star dietro a certe cose.

E quindi si prova anche con le immagini. E mi sono fatto negli anni un’idea un po’ tutta mia, e cioè che la solita proposta iconografica, cioè la carrellata di derelitte creature scheletriche, così come le trovarono gli Alleati nei lager, contrapposta a quella dell’ostentazione brutale di forza delle adunate di Norimberga, non funzioni più così tanto. Ché magari a qualche giovane mente scapestrata salterebbe il ghiribizzo antipietistico di concludere: “Ovvio che stavano vincendo quelli lì: erano più forti (quando non proprio “Sarebbe stato giusto che avessero vinto loro”: m’è già capitato di sentirle in classe, frasi come queste…). Anche le visite ad Auschwitz sembrano aver e perso il valore d’un tempo: chi c’è stato lo sa e ha potuto sentire quanto, persino lì, si sia intrufolato insopportabile il tanfo nefasto della visita turistica smacchiacoscienza. Perché siam sempre là: i potentissimi cattivoni coi mitra da una parte, e le impalpabili larve alla loro ultima bava di vita dall’altra, in una narrazione che rischia di titillare, nell’inconscio dello spirito adolescenziale naturalmente oppositivo e sacrilego, reazioni sadicamente contrarie.

(A proposito: per quanto generi tanta soddisfazione rimbrottare Benigni sul falso storico dei “carri armati americani” de “La vita è bella” che liberano il campo di Auschwitz  – ma dov’è specificato, nel film, che sarebbe ambientato ad Auschwitz? -, è doveroso ricordare che i Sovietici sì, arrivarono a Berlino, liberarono Auschwitz e i campi di Stutthof, Sachsenhausen e Ravensbrück; ma gli Americani liberarono Buchenwald, Flossenbürg, Dachau e Mauthausen, mentre gli inglesi Neuengamme e Bergen-Belsen).

Ma tralasciamo la provenienza dei liberatori per tornare al punto principale, ciòè il tentativo didattico di andare oltre quelle solite immagini di esserini smunti. E allora si potrebbe rischiare, fare altro. Anzi, far proprio il contrario. È tosta, lo so, però si azzarda, si può provare.

Si potrebbe presentare ad alunne e alunni la foto di Adolf Hitler da piccolo, anzi piccolissimo, seguita da quella dei suoi (brutti, ma brutti brutti) dipinti realizzati quando era un giovane aspirante pittore all’Accademia d’Arte di Vienna (e ve lo immaginate il burbero professore che lo stronca suggerendogli di “smettere di torturare l’umanità con quelle croste e di dedicarsi ad altro”?). E, subito dopo, mostrare le immagini di possenti atleti spazzati via dalla follia dell’odio nel pieno della loro prestanza fisica: Leone Jacovacci, Johann “Rukele” Trollmann, Alfred Nakache, Victor Perez, Angelo Anticoli (cui è dedicata anche una pietra d’inciampo). Tutti pugili (tranne Nakache, nuotatore), tutti che picchiavano duro: però belli, alti, eleganti e fighi. Tutti, nel pieno dei loro anni floridi, vittime del nazismo in quanto ebrei, rom, neri.

Perchè? Be’, magari facendo così, invece, qualche alunno fa due più due e gli salta in zucca il pensiero che forse quello scricciolo lì, a quelle statue greche, mica poteva far nulla, da solo, se qualcuno non gli veniva dietro, se non gli obbedivano, se non si fosse tirato dietro una nazione. Che è stata un po’ colpa di tutti: e che uno deve metterci attenzione costante perché quella roba lì non ritorni. Da solo non ce l’avrebbe fatta, lo hanno assecondato, o quanto meno glielo hanno permesso. Ah già, sì,  ecco, l’indifferenza, giusto! Quella spesso vituperata da Liliana Segre, quella parola scritta al Binario 21. E la Segre ripete pure spesso che il dovere della memoria deve essere accompagnato anche dal tentativo di riproporne in modi sempre nuovi – e più adatti ai tempi – celebrazioni, memorie e narrazioni.

Tutta questa riflessione è sorta in me qualche mese fa, bighellonando a zonzo su Instagram (non so se riesco a spiegarvi il collegamento, ma ci provo, perchè secondo me c’è). Sapete, io sono follower di tutte le più celebri e luccicantissime Influencer (spesso idoli dei nostri alunni), le quali mostrano, un giorno sì e l’altro pure, spianate di pelle nuda liberamente tratte da’ loro corpi turgidi, condite da gustose didascalie sull’inimitabil vivere nei loro viaggi intorno al mondo col tipo amorosodudùdadaàcheilloroamoreèilpiùforteditutti e cheioeteunacosasola, ioetecontortuttigliinvidiosi #noidue, e via così di glassa melensa da diabete verbale. Io le seguo tutte, non me ne perdo una, ma un giorno mi sono imbattuto in questa qua che parlava del week-end a Berlino con il suo cucciolottoamoroso, con cui ha pensato bene di farsi una foto. Direte voi: e allora? Be’, la suddetta foto della “coppia piùbelladelmondo&cheglidispiaceperglialtri” , questi due se la son fatta nel Memoriale dell’Olocausto, con le 2.771 colonne poste a imperitura memoria delle vittime. Sotto la foto, un sacco di like dei followers, e nessuno che commentasse “Ma lo sapete dove eravate esattamente quando avete fatto quella foto lì?”…

E io lì ho pensato che la responsabilità, la sempiterna e vigile tensione civile affinchè “tutto ciò non si ripeta”, quella che vorremmo inculcare nei ragazzi, passa anche dalla capacità di renderli consapevoli su che cosa stanno pigiando “like”. E siccome oggi dovevo progettare un’attività in classe sulla “Giornata della Memoria”, e allora, appunto, me ne sono ricordato…

 

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purchè formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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L'Ambrosiano

Equivalenza pubblico / privato Cavallo di Troia della Sanità Lombarda

È stata inaugurata la Casa di Comunità di via Rugabella, prima delle 24 previste a Milano, 218 in Lombardia. L’insegna attraente cela il maquillage d’un poliambulatorio. Sono solo sulla carta i servizi sociosanitari territoriali nella non-riforma della Sanità di cui il Pirellone va fiero, i cittadini no, il Governo non si sa. Roma dovrebbe contestare la legge che Moratti e Fontana han voluto a tutti i costi (già c’è un’iniziativa parlamentare per sollecitare Draghi a intervenire), ma tra dopo Mattarella, Palazzo Chigi appeso a un filo, venti di guerra a Est si rischia che non venga smascherato il Cavallo di Troia acquattato nel testo: il dire che pubblico e privato sono “equivalenti”.

Se passa, il peso della Lombardia scardina il Servizio Sanitario Nazionale: un effetto peggio del virus. Il pubblico governa e deve fissare linee, criteri, priorità, risorse in quanto al centro sta la salute delle persone e al privato è offerto di collaborare, attribuendo alle sue prestazioni finanziamenti anche cospicui a patto però che si attenga alla programmazione generale. Così la Costituzione. Ma se si parla di “sistema”, non più di “servizio”, e s’introduce l’“equivalenza” le istituzioni abdicano e la salute è preda di interessi. In pancia al Cavallo di Troia del Pirellone c’è il nucleo d’una mutazione genetica mostruosa: visione ospedalecentrica che schiaccia la medicina del territorio; chiacchiere senza risorse per la prevenzione; creazione di servizi che il pubblico non può garantire (medici e infermieri fuggono per turni, responsabilità, stipendi) e affiderà ai privati.

Lancet attacca la Lombardia per come ha affrontato la pandemia. La prestigiosa rivista ricorda quanto l’arrivo di Moratti e la sua campagna han cercato di far dimenticare. Una legge ora non trae insegnamento dall’accaduto, non rimette al centro medicina di base, prevenzione, servizi alla persona, salute mentale. In nome delle decine di migliaia di morti causati dal Covid, oltreché dalla gestione regionale e dalle riforme Formigoni e Maroni, i lombardi aprano gli occhi, rispediscano il Cavallo di Troia a Moratti e Fontana, smettano di lamentarsi, manifestino per un rinnovato vero Servizio Sanitario Lombardo. La rassegnazione è un virus.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La nave di Penelope

L’alternanza scuola-lavoro è davvero il male?

Abbiamo letto tutti la storia di Lorenzo Parelli, il diciottenne ucciso dal crollo di una putrella nel suo ultimo giorno di tirocinio, in provincia di Udine.

In attesa che gli inquirenti determinino le responsabilità per quanto accaduto, ci siamo tutti indignati per la tragedia. Non si può morire a 18 anni (ma neanche a sessanta) in una fabbrica. Sul tema della sicurezza – parlano i numeri dei morti sul lavoro – c’è molto da fare. Ma questa volta, per tutti quelli che hanno sentito di voler dire qualcosa, è un caso diverso. Non per la giovane età ma per il fatto che Lorenzo fosse uno studente in alternanza scuola-lavoro (che ora si chiama Pcto, cioè Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) e che il posto degli studenti è la scuola, non in una fabbrica. Ma ci sono delle premesse sbagliate.

Ora vorrei fare un passo indietro ed entrare nello specifico. A tutti quelli che dicono che l’alternanza è stata uno scempio introdotto dal governo Renzi e che il posto di uno studente è dietro al banco di scuola e non in un’azienda vorrei spiegare una cosa. Lorenzo era uno studente di un centro di formazione professionale. I cfp sono dei percorsi di formazione regionali che durano quattro anni, con la possibilità di fare un quinto anno, passando a un istituto professionale o tecnico e conseguendo così anche un diploma di Stato. Sono scuole professionalizzanti che puntano a un rapido inserimento nel mondo del lavoro (dopo tre anni hanno già una prima qualifica, a quattro concludono). Percorsi in cui c’è molta poca teoria e tanta pratica, anche nelle aziende. Ancora più che negli istituti professionali, che conservano comunque una maggiore componente teorica e scolastica in senso classico.

Questa la premessa. Ora entriamo nel merito. Lorenzo non stava svolgendo una tradizionale alternanza scuola-lavoro, ma un tirocinio duale. Il quarto anno prevede un percorso misto: l’apprendimento si divide tra periodi passati a scuola e altri in azienda. Una sorta di formazione su campo, ispirata dal modello tedesco.

Ora ne approfitterei per parlare anche degli istituti professionali. Lì l’alternanza si è sempre fatta, ben prima che, con la riforma Moratti, si chiamasse così. Sono scuole con rapporti radicati con le aziende del territorio fin dalla loro fondazione. Scuole per chi vuole imparare un mestiere e non proseguire gli studi. E, di fatto, le ore di tirocinio nelle aziende sono tante e apprezzate dagli studenti di questi indirizzi. Studenti che hanno preferito un percorso di studi che, accanto a una base teorica, desse loro la possibilità di imparare soprattutto su campo, mettendosi alla prova. Altrimenti avrebbero scelto un altro tipo di scuola.

Questo discorso vale anche per gli istituti tecnici, in cui la pratica su campo è importante, anche se la componente teorica, in questo caso, aumenta notevolmente di importanza, tanto che molti poi proseguono verso una formazione universitaria.

Quindi, quando parliamo di abolire l’alternanza, di cosa stiamo parlando esattamente?

Torniamo al discorso “Buona scuola” di Renzi. Su una cosa siamo tutti d’accordo: ha creato tanti problemi. E uno di questi è stata l’introduzione dell’obbligo di alternanza scuola-lavoro per 200 ore nei licei e per 400 nei tecnici e nei professionali. Al governo successivo, l’allora ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, ha dato un colpo al cerchio e un colpo alla botte mantenendo lo schema e diminuendo il monte orario. Cosa che, ovviamente, non ha sciolto il nodo principale: il fatto di avere centinaia di migliaia di studenti ogni anno con decine di ore di alternanza da smaltire, soprattutto nelle aree d’Italia in cui le imprese non sono molte. Questo si è tradotto in stage spesso non di qualità o per niente formativi. O che si sono trasformati in situazioni di sfruttamento dello studente, trattato come manodopera a costo zero. Insomma esperienze inutili o dannose.

Ma in tutti questi anni ho avuto modo anche di conoscere ottime esperienze e ho parlato con ragazzi entusiasti di quello che facevano. Dagli studenti degli alberghieri che lavoravano nelle cucine di un ristorante a quelli di licei e istituti tecnici che hanno svolto l’alternanza in un laboratorio scientifico, passando per i ragazzi che hanno progettato marchingegni per la coltivazione di alghe per nutrire gli astronauti.

Allora io credo che il problema non sia l’alternanza, ma l’eccesso di ore e la scarsa qualità di quello che viene organizzato in mancanza di altro. Quindi, più che abolire del tutto questa possibilità, forse andrebbe riformata. E, di sicuro, dovrebbe esserci un maggiore monitoraggio di quanto viene fatto.

Che cosa ne pensate? Mi piacerebbe conoscere le vostre idee. Scrivetemi a: lanavedipenelope@gmail.com

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Piovono Rane

«Tu lo vedi il presidente nello schermo?». « Io no e tu?». «Neanch’io, forse c’è ma magari si è assopito».

Il dialogo su Whatsapp tra due parlamentari di Forza Italia ha rivelato quanto surreale sia stato il pomeriggio di sabato 22 gennaio, quello della rinuncia di Berlusconi al Colle.

L’ex Cavaliere c’era, nella riunione in remoto con i suoi, ma solo in audio, e lasciando parlare soprattutto Tajani. «Non è che è in ospedale e non vuole dircelo?», ha chiesto un altro deputato.

Non si sa.

Si sa invece che alle 4 doveva fare un’altra riunione su Zoom, quella decisiva con Salvini e Meloni, poi il vertice è stato rinviato alle 6, poi Berlusconi non si è presentato mandandoci Tajani e la Ronzulli che ha letto agli altri il comunicato di rinuncia.

C’è qualcosa di paradossale: l’uomo che ha costruito il suo impero e la sua ascesa sull’immagine che tramonta senza immagine, sparendo dagli schermi.

Una nemesi personale che racconta bene il trentennio in cui la politica è diventata comunicazione e la comunicazione è diventata politica.

E conclude la parabola berlusconiana con il più classico dei passaggi dalla tragedia alla farsa.

Dalla tragedia del Caimano, dei suoi rapporti con la mafia, del suo conflitto d’interessi, della sua persuasione mediatica e delle sue leggi ad personam, alla farsa dei quadri regalati, dell’operazione scoiattolo, delle telefonate di Sgarbi.

Di un pomeriggio di fine gennaio: «Tu lo vedi il presidente nello schermo?». « Io no e tu?». «Neanch’io, forse c’è ma magari si è assopito».

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Thich Nath Hanh è ancora in giro

Secondo la tradizione buddista non c’è stato un solo Buddha ma se ne sono susseguiti diversi nel corso della storia, e ciascuno ha portato il proprio contributo per il bene di tutti gli esseri senzienti.
Uno di questi risvegliati è stato certamente il monaco vietnamita Thich Nath Hanh, per tutti Thay.
In molti anni di attività, attraverso le sue tante iniziative, gli insegnamenti, i libri e le conferenze, ha cercato di trasmettere in modo semplice, chiaro e accessibile a tutti, la dottrina buddista nel mondo.
Proprio come faceva colui che 2500 anni fa venne definito “il Risvegliato”.
Ma cosa vuol dire essere un Buddha?
Esattamente questo: risvegliarsi.
Capire la vera natura della realtà.
E quindi eliminare la sofferenza dentro di sé.
Poi insegnare agli altri a fare altrettanto.
Un Buddha è uno che padroneggia i propri pensieri e non esaspera i sentimenti negativi, che non si fa travolgere dalle tempeste mentali.
E che alimenta i propri sentimenti positivi, che governa i pensieri ma non vi si attacca. Non dipende da essi.
Uno che è riuscito ad educare la propria mente, rendendola calma, serena e pulita come un lago di montagna.
Uno senza stress, ansie, aspettative eccessive e preoccupazioni.
Uno capace di infondere gioia, equilibrio e amore in chi lo circonda.
In estrema sintesi: un sereno portatore di luce nel mondo. Esattamente come Thich Nath Hanh, che ci ha lasciato poche ore fa presso il tempio Tu Hieu, nella città di Hue, in Vietnam, dove risiedeva ormai da qualche anno.
Nato nel 1926, a sedici anni era stato ordinato monaco del Buddhismo Thiến – lo Zen vietnamita – e da allora ha interpretato e promosso il Dharma quale strumento per portare pace, riconciliazione e fratellanza nella società, accogliendo tutte le diverse tradizioni.
Durante la guerra in Vietnam, Thich Nath Hanh era stato arrestato e torturato; la sua colpa? Essersi mantenuto distante sia dal governo del Vietnam del Nord sia da quello del Sud e aver fondato il movimento di resistenza nonviolenta dei “Piccoli Corpi di Pace”: gruppi di laici e monaci che andavano nelle campagne per creare scuole, ospedali e ricostruire i villaggi bombardati, nonostante subissero attacchi da entrambi gli schieramenti in guerra poiché ciascuno li riteneva alleati del proprio nemico.
Grande amico di Martin Luther King, che nel 1967 lo aveva candidato al Premio Nobel per la pace, e nel frattempo esiliato dal governo comunista vietnamita, si era trasferito in Francia, poco distante da Bordeaux, dove aveva fondato Plum Village, una comunità di monaci e laici composta da uomini e donne, nella quale si è da sempre praticata l’arte di vivere in consapevolezza.
“Il miracolo non è quello di camminare sulle acque” diceva Thich Nath Hanh “ma di camminare sulla verde terra nel momento presente e apprezzare la bellezza e la pace che sono disponibili qui e ora”. E difatti era universalmente considerato il padre della mindfulness.
Solo nel 2005, 39 anni dopo il suo esilio, gli era stato concesso far ritorno per tre mesi in Vietnam e dal 2014, a seguito di un ictus, era tornato a viverci, seguito costantemente dai monaci e da personale esperto in medicina ufficiale e in medicina tradizionale.
Poeta ispirato, attivista indefesso, prolifico autore di libri, sempre sereno e garbato, Thich Nath Hanh, è stato un faro di luce che si è sempre impegnato attivamente per illuminare questo mondo scuro. Senza di lui la coscienza collettiva dell’umanità perde tantissimo, anche se la sua potente energia già si sente aleggiare qui intorno, forte e positiva.
“Domani, continuerò ad essere” scriveva in una delle sue poesie “Ma dovrai essere molto attento per vedermi. Sarò un fiore o una foglia. Sarò in quelle forme e ti manderò un saluto. Se sarai abbastanza consapevole, mi riconoscerai, e potrai sorridermi. Ne sarò molto felice”.
Ciao Thay, lo so che sei ancora in giro.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    "Labirinti Musicali" ideato dalla redazione musicale classica di Radio Popolare, in ogni episodio esplora storie, aneddoti e curiosità legate alla musica attraverso racconti che intrecciano parole e ascolti. Non è una lezione, ma una confidenza che guida l’ascoltatore attraverso percorsi musicali inaspettati, simili a un labirinto. Il programma offre angolazioni nuove su dischi, libri e personaggi, cercando di sorprendere e coinvolgere, proprio come un labirinto acustico da esplorare.

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    San Siro, Scavuzzo: “Se passano emendamenti sostanziali rischia di saltare tutto”

    Dopo che la Giunta del Comune di Milano ha licenziato la delibera per la vendita dello stadio di San Siro, la palla ora passa al Consiglio comunale, che dovrà votare il provvedimento giovedì 25 settembre, e non più il 29. Nonostante sia possibile presentare emendamenti al testo, per la giunta il documento è immodificabile: “È frutto di un lavoro che ha gli elementi essenziali del contratto, una cosa molto tecnica ma anche politica”, ha detto ai nostri microfoni la vicesindaca Anna Scavuzzo. Nel caso di un emendamento di sostanza votato dalla maggioranza dei consiglieri, infatti, “le squadre potranno rigettare l’intera proposta”. Una sorta di prendere o lasciare per i consiglieri comunali. Secondo la vicesindaca Scavuzzo, dopo due mesi di confronto e dopo le modifiche alla versione di luglio, adesso “si chiude”. L’intervista integrale di Luigi Ambrosio nella nostra trasmissione “L’Orizzonte”.

    Clip - 18-09-2025

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    Esteri di giovedì 18/09/2025

    1) “La gente non lascia Gaza City perché non sa dove andare o perché non può permetterselo”. Migliaia di persone restano nella città della striscia, mentre l’esercito continua a bombardarla. (Jacob Granger - MSF) 2) “Israele sta commettendo un genocidio, ma gli altri paesi hanno l’obbligo giuridico di fare tutto ciò che possono per impedirglielo”. In esteri la seconda puntata dell’intervista a Chris Sidoti, giudice della commissione Onu. (Valeria Schroter, Chris Sidoti - Commissione Onu d'inchiesta per i territori palestinesi) 3) La Francia ancora in piazza. Un milione di persone mobilitate dai sindacati per protestare contro la legge di bilancio di Bayrou. (Veronica Gennari) 4) La tragedia umanitaria della guerra in Sudan, e i sudanesi che resistono. Premiata in Norvegia una rete di associazioni comunitarie che lavorano per favorire l’ingresso di aiuti. (Irene Panozzo, analista politica) 5) Donald Trump alla corte britannica. La luna di miele tra Keir Starmer e il presidente Usa è soprattutto una questione di business. (Marco Colombo, giornalista) 6) World Music. Together for Palestine, il concerto organizzato da Brian Eno a Londra contro il genocidio. (Marcello Lorrai)

    Esteri - 18-09-2025

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    L'Orizzonte di giovedì 18/09 18:34

    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

    L’Orizzonte - 18-09-2025

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    Alessio Lega ricorda Fausto Amodei: "Sublime la sua scrittura, una persona tenera e ironica"

    È morto a 91 anni Fausto Amodei, figura cruciale per la canzone popolare italiana che alla fine degli anni cinquanta aveva contribuito a fondare il Cantacronache, il primo esperimento di canzone politica “d’autore” in Italia. Tra i suoi capolavori 'Per i morti di Reggio Emilia', una delle canzoni popolari e politiche più suonate nelle piazze d’Italia. Ma "le sue canzoni sono riuscite ad andare ben oltre il suo nome” diventando parte dell’immaginario collettivo, ricorda il cantautore Alessio Lega ai microfoni di Radio Popolare. Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia.

    Clip - 18-09-2025

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    Poveri ma belli di giovedì 18/09/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 18-09-2025

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    Vieni con me di giovedì 18/09/2025

    Inizia la Milano Green Week! gli eventi e iniziative le presenta l'assessora al verde, Elena Grandi. Rachele di Magiafiori, la nostra chef vegetale ci sugegrisce poi un menù tutto...green. Marcello ed Elisa, infine, ascoltatori/educatori ci han scritto per raccontarci La Rosa dei Venti, l'associazione che da anni nel comasco, lavora per l'inclusione di persone con disturbi di personalità. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

    Vieni con me - 18-09-2025

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    Volume di giovedì 18/09/2025

    In compagnia di Niccolò Vecchia telefoniamo ad Alessio Lega per ricordare, nel giorno della sua scomparsa, Fausto Amodei, un vero simbolo della canzone politica d’autore italiana. Segue mini live in studio con il giovane jazzista Francesco Cavestri in vista del suo concerto al Blue Note di martedì prossimo. Nella seconda parte siamo in compagnia di Piergiorgio Pardo, nostro ospite fisso per la rubrica LGBT, con cui parliamo del film “I segreti di Brokeback Mountain” e alcuni eventi del weekend. Concludiamo con una telefonata a Marina Catucci da New York, per commentare l’improvvisa sospensione dello show di Jimmy Kimmel dalla rete Abc, a seguito di una frase “scomoda” su Charlie Kirk detta dal conduttore in trasmissione.

    Volume - 18-09-2025

Adesso in diretta