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Mia cara Olympe

Verso il 25 novembre, la responsabilità delle parole

Antefatto: la Stampa, dopo il triplice femminicidio di Roma, ha pubblicato un articolo a firma, anzi a pseudonimo, di Patrizio Bati, scrittore che racconta di essere stato una ventina di volte nell’appartamento delle due donne cinesi, peraltro ancora senza nome, in qualità di cliente.
A mio avviso, (quasi) tutto ciò che non bisogna fare quando si scrive di un femminicidio e quando questo ha per teatro un contesto di prostituzione: con il vestito dell’insider nell’ambiente che dovrebbe dare ‘esclusività’ al racconto  (e già su questo punto c’è molto da dire e riflettere) un esercizio di modestissima scrittura e troppi e pesanti stereotipi – la pelle ambrata e gli occhi a mandorla, le ombre cinesi, le finestre chiuse, la Roma che mai hanno visto e non vedranno. Immediata, sotto forma di proteste e mail bombing,  è arrivata la reazione di tante (anche stavolta, uomini non pervenuti) di cui il giornale ha dato conto con una doppia pagina in cui, oltre a pubblicare alcuni dei messaggi, molti dei quali vengono dal mondo di chi lavora contro la violenza sulle donne, difende e spiega la propria scelta. In sintesi con due motivazioni: non stiamo normalizzando o tantomeno giustificando ma raccontando, la prima delle due motivazioni; il racconto di Bati disturba perché è la banalità del male a darci fastidio, la seconda.

Alla vigilia del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, rimbalza con forza il tema della responsabilità, che afferisce ai media, delle parole e del racconto della violenza. C’è una domanda chiave: c’è qualcosa nel racconto di Bati che non sapevamo, non potevamo immaginare della vita di queste vittime, qualcosa che dà a chi legge conoscenza e consapevolezza? No, nulla aggiunge e molto toglie, quel racconto, e non perché ci fa scoprire la banalità del male ma perché sceglie le tinte più sbagliate – dall’estetizzazione un po’ pruriginosa all’infimo gusto dei ‘rigagnoli di sperma’ che scorrono nel Tevere e che avrebbero dovuto, almeno quelli, far  suonare un campanello d’allarme a chi quell’articolo ha letto prima della pubblicazione – e mai fa neanche lontanamente cenno alla questione centrale della domanda maschile di prostituzione di cui l’autore è peraltro parte. E non basta dire che si tratta del racconto di uno scrittore (Bati, pseudonimo pare ispirato al nome del serial killer di ‘American Psycho’, è autore del romanzo ‘Noi felici pochi’ , la cui sinossi ci informa che tutte le persone di cui si parla nelle scene di violenza descritte sono state realmente aggredite e malmenate); non basta perché resta in capo al giornale la responsabilità delle parole, tanto più pesante proprio perché insistono su una delicatissima vicenda.

Qualche dato per capire di più di un mondo complesso e articolato che mette insieme le donne vittime di tratta e sfruttate e quelle che in autonomia si prostituiscono. Detto che le vite di queste donne e dunque le violenze che subiscono restano, assai più di quelle di altre, lontano dai riflettori non solo dei media ma anche degli apparati dello Stato, tra il 1988 e il 2018 in Italia vi sono stati 485 omicidi di prostitute, dettagliano Paola Degani e Gianfranco Della Valle che, nel 2020, hanno dedicato uno studio ai femminicidi delle  prostitute. Ricordando studi epidemiologici americani secondo i quali il rischio di essere uccise è 18 volte più alto per loro rispetto alle altre donne (altre ricerche danno stime molto più pesanti), scrivono: “Se le uccisioni che hanno come vittime le donne rimangono ‘irrisolte’ solo nel 10% dei casi in assenza di un autore di tali crimini, negli omicidi/femminicidi di prostitute circa il 45% dei responsabili resta ignoto. Una percentuale davvero alta che non rende giustizia a queste donne e nemmeno alla società riproducendo, anche se in modo silenzioso e difficilmente dimostrabile, un’odiosa discriminazione tra donne ‘per bene’ e donne ‘poco meritevoli del rispetto’ della pubblica opinione”.

Di questo (e molto altro) parliamo o meglio dovremmo parlare, non di ombre cinesi, non di ciglia lunghe e pantofoline. Ed è frustrante, e non rende un buon servizio a chi legge, pensare che tutto ciò che in convegni e aule universitarie viene raccomandato in tema di un veritiero racconto della violenza contro le donne resti poi lì confinato.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

Moro potrebbe non esser morto invano

Maggio 1978/settembre 2022. Esterno notte di Bellocchio mette a confronto ciò che eravamo e che siamo: ruolo civile dell’arte! Nel giorno del ritrovamento del cadavere del leader Dc ucciso dalle Br si consumò la fine dell’Italia nata dalla Resistenza. Le culture politiche che avevano sconfitto il nazifascismo e dato vita a democrazia e Costituzione non erano riuscite a salvare Moro. Ora nelle urne ha vinto la destra: il cerchio è chiuso, s’apre un’era. 44 anni fa l’asse pro “fermezza” aveva battuto quella della trattativa; dentro partiti e apparati dello Stato e nelle Br avevano prevalso i muscoli sulla ragione, le simmetrie. Oggi governa una maggioranza con chiara ideologia e coi numeri la vuole imporre: questioni identitarie (nazione, religione, modelli familiari, devianze, storia riscritta); libertà contingentate; presidenzialismo. Molti c’han votato a destra non sanno: bambini o non nati quando in Italia sfumò la possibile catarsi; «Liberare Moro sarebbe rivoluzionario», recita un Br nel film; il Presidente Dc tornato vivo e con quel che aveva scritto dalla prigione avrebbe lasciato il partito, aprendo di fatto una fase imprevista di alleanze han detto molti. In 44 anni partiti (e cultura) han rimosso tanto, non son stati capaci di reggere tragedia ed esiti, assumersi le responsabilità d’un cambiamento (tipo alternanza, di Moro): si son appiattiti, corrotti, sfilacciati, dissolti, rimpiazzati da entità che sono ombre o caricature dei partiti della Prima Repubblica; o son sopravvissuti a sé stessi (il Pd ko stenta a fare un Congresso). Il partito della Meloni, 44 anni fa fuori dai giochi, s’è mantenuto a galla. Forse per questo ha vinto. Costituzione e democrazia han però in sé il seme per rialzarsi dopo ogni caduta, risorgere, cambiare. È il germe della passione politica che nelle crisi s’organizza, ascolta, dibatte, ha coraggio e idee, mobilita coscienze su umanità, giustizia, libertà, civismo, solidarietà, sogni, con battaglie conquista autorevolezza e credibilità, compete a testa alta con chi invece edifica muri, scarta fragili e diversi, ostenta “fermezza” (corsi e ricorsi: la bandiera di Piantedosi contro le Ong al Senato!), difende solo interessi di parte, statu quo. Moro potrebbe non esser morto invano, volendo.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Mai sottovalutare le donne: lezioni ed elezioni americane

Mai sottovalutare le donne. E ricordare questo nome: Catherine Cortez Masto, prima senatrice latina, rieletta in Nevada, che ha portato i seggi democratici a 50 contro i 49 repubblicani (resta in ballottaggio la decisiva Georgia) e ha fatto definitivamente a pezzettini l’ipotesi dell’onda rossa sulle elezioni di mid term negli Stati Uniti.

E invece no, non è stata vittoria repubblicana, tutt’altro, e molto si deve dire grazie alle donne – elette ed elettrici – e ad una mobilitazione a viso aperto sul tema dell’aborto. Il tweet fissato sul profilo di Cortez Masto recita: “I repubblicani del Senato hanno appena bloccato il mio disegno di legge per proteggere le donne che viaggiano per cure riproduttive e coloro che le aiutano. Vogliono consentire ai legislatori statali di superare i confini statali per punire e controllare le donne. È assolutamente scandaloso. Non smetterò di lottare per la libertà delle donne”. Lo ha scritto, la senatrice, il 14 luglio, dopo la sentenza della Corte suprema a maggioranza trumpiana  che ha cancellato il diritto d’aborto che era legge dal 1973 e aperto la strada a limitazioni progressive e feroci negli stati a maggioranza repubblicana. Se andate a spulciare sul sito della sua campagna elettorale è altrettanto netta: tra i motivi per cui si ricandida Cortez Masto indica la lotta per l’aborto libero e legale in Nevada e nell’intero paese: “I diritti riproduttivi delle donne non sono mai stati così sotto attacco… Mi rifiuto di stare ferma mentre i politici di destra lavorano per portare indietro le lancette”.

No pasaran, dice il voto americano e se n’è avuta anche chiara indicazione dai cinque referendum in altrettanti Stati che vertevano in differenti modi sull’interruzione di gravidanza; in California, Michigan,Vermont, Kentucky e Montana è stato il fronte pro choice a incassare la vittoria. Nelle ultime settimane di una campagna aspra in cui Biden ha insistito fosse in gioco la stessa essenza della democrazia, il tema dell’aborto sembrava, nei sondaggi, declinare d’importanza rispetto ad economia e inflazione: si è confermato invece questione centrale per l’elettorato, capace di scombinare gli schieramenti tradizionali e  dunque vera buccia di banana per i repubblicani  e soprattutto per i più oltranzisti e trumpiani tra i loro candidati che dalle urne sono usciti sconfitti.

È una lezione quella che viene dalle elezioni di mid term e sarà il caso di leggerla anche da qui: e non solo per ciò che manda a dire a chi, nella destra, insiste su una lettura ‘oscura’ dell’interruzione di gravidanza e su una serpeggiante colpevolizzazione di chi la decide. È una lezione di politica per il fronte progressista nostrano che attraversa il limbo di una lunga crisi d’identità: si sceglie da che parte stare, in questo caso dalla parte dei diritti e dell’autodeterminazione delle donne visti come parte imprescindibile della democrazia e della libertà, e lo si rivendica senza timidezze o timori. Piacerebbe accadesse anche qui, sull’aborto e non solo, anche qui le donne (e non solo) lo aspettano.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Il cambiamento climatico vale più di una zuppa

Un atto clamoroso deve, per definizione, suscitare clamore. Nell’odierna società mediatica, attivisti di diverse tendenze hanno spesso preso di mira obiettivi sensibili più per conquistare spazio sui mezzi d’informazione che per le ricadute concrete dei loro gesti a vantaggio della causa sostenuta.

Il jihadismo radicale, quando stava scomparendo dai media internazionali, escogitò la tecnica criminale di colpire i turisti occidentali, ben sapendo che in quel modo avrebbe fatto parlare di sé. Sul Mar Rosso, lungo il Nilo, a Bali, in Tunisia sono stati centinaia i turisti trucidati da gruppi terroristici che puntavano a diffondere le loro folli idee comparendo nelle trasmissioni televisive di tutto il mondo. Dal punto di vista della sicurezza la reazione è stata fulminea. Nei Paesi a rischio, i distretti turistici sono stati chiusi in una morsa militare. Laddove ciò era impossibile – ad esempio in Francia o Belgio, colpiti da attentati indiscriminati contro i passanti – a riportare una relativa sicurezza sono stati da una parte l’intelligence e dall’altra l’indebolimento dei mandanti. Da quando non prende più di mira l’Occidente o gli occidentali nel mondo, il jihadismo armato è, di fatto, nuovamente scomparso dagli schermi.

Negli ultimi anni la strada del gesto clamoroso è stata percorsa anche da alcuni movimenti ambientalisti. Nulla a che vedere col terrorismo, è ovvio, né nei mezzi né nella causa, che è sicuramente nobile. Ma le tecniche, per quanto pacifiche, seguono lo stesso copione: colpire in modo da bucare lo schermo e far parlare di sé. Il lancio di zuppe e altre cibarie contro i quadri di artisti famosi e i blocchi stradali di Last Generation sono oggi in primo piano. Dal punto di vista della sicurezza, i musei poco potranno fare oltre a proteggere con vetri infrangibili le opere d’arte; e lo stesso vale per la polizia stradale. Ma dal punto di vista degli attivisti, quali sono i risultati ottenuti? Di sicuro, non che i media si occupino di più delle gigantesche mancanze della politica nella risposta al cambiamento climatico. Il cittadino che assiste di persona alle azioni nei musei è inorridito, quello che è vittima dei blocchi stradali esasperato, e chi guarda in televisione ne condivide i sentimenti.

Il salto di qualità, si fa per dire, rispetto alla protesta di Greta Thunberg, che manifestava in silenzio davanti al Parlamento svedese, è notevole. Si è passati da una lotta che suscitava interrogativi in chi ne veniva a conoscenza, avvicinava una generazione alle questioni ambientali e smuoveva la coscienza sporca della politica, alla simulazione del vandalismo.

Il crescendo di azioni di guerriglia culturale e l’idea di fare pagare ai pendolari le colpe dell’umanità sta andando a detrimento della causa che si vuole promuovere. Manifestare davanti alle trivelle o sotto la sede di una compagnia petrolifera non ha la stessa eco mediatica dell’imbrattare un’opera di Van Gogh. Ma nel primo caso il gesto potrebbe generare condivisione e far riflettere, nel secondo finisce con il generare solo rifiuto. Quando si blocca una tangenziale all’ora di punta, le reazioni sono di indignazione e talvolta rasentano la violenza, perché si fa pagare un prezzo non al sistema bensì al singolo lavoratore, al pendolare che già quotidianamente sta in coda nel traffico.

Su questo dovrebbero riflettere i giovani aderenti ai movimenti che spettacolarizzano la battaglia per l’ambiente. Quando una modalità di lotta va a discapito di altre persone o colpisce i simboli di una cultura, quella lotta è perdente in partenza. E chi si batte sul campo contro i guasti del cambiamento climatico, contro il land grabbing, contro lo strapotere delle lobby energetiche non merita di finire nel pentolone della prossima zuppa che sarà lanciata contro un quadro.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Forza della fragilità e “bonus psicologo” per Ministri

«Come il vetro, l’essere umano è fragile. L’estrema nostra esposizione alla precarietà e contingenza dell’esistenza è evidente nell’evento stesso del nascere, ma è importante riconoscere e mostrare come nella fragilità stia la forza intrinseca della vita umana». Dedico le parole di Simone Weil (è nata anche da donne come lei l’Europa di oggi) ai ministri Crosetto, Piantedosi, Salvini. Possono aiutarli dopo il decreto anti Ong. L’obbligo di soccorrere i migranti secondo leggi del mare e diritto internazionale dev’essere sfuggito ai Ministri: capita che quando s‘è presi da frenesia social i muscoli non sian connessi con pensiero e cuore. Il loro immaginare formule in perfetto lessico da burosauri, tipo “sbarchi selettivi” (“tu scendi, tu no”, pratica nota in contesti che memoria storica consiglierebbe neanche di evocare!) e “carichi residui” (per indicare persone “scartate” da medici ministeriali da spedire nei lager libici attivi come la guardia costiera di quel Paese grazie al denaro del contribuente italiano) hanno svolto un inatteso servizio (gliene siamo grati): hanno aperto gli occhi a Italia e Europa sulla visione umanista, cristiana, europeista, atlantista del Governo Meloni-Salvini che, parola di Giorgia, ha ricevuto dagli elettori il mandato di «difendere i confini dell’Italia». A Palazzo Chigi devono aver assodato che son proprio i disperati in fuga da povertà, guerre, violenze a importare nel nostro Paese mali quali: debito pubblico, inflazione, giovani laureati che cercano all’estero un futuro che non dà l’Italia, corruzione, infiltrazioni della criminalità organizzata, burocrazia, denatalità, ambiente non tutelato. Eugenio Borgna ha scritto della fragilità: «Cosa sarebbe la condition humaine stralciata dalla fragilità e dalla sensibilità, dalla debolezza e dalla instabilità, dalla vulnerabilità e dalla finitudine, e insieme dalla nostalgia e dall’ansia di un infinito anelato e mai raggiunto?». Propongo una colletta per donare ai membri del Governo il libro di Borgna. Se trovan tempo di leggerlo forse li insemina il dubbio «di non essere riconosciuti nelle nostre insicurezze e nel nostro bisogno di ascolto e di aiuto». Se andassero in crisi il “bonus psicologo” vale anche per loro.

  • Marco Garzonio

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    di Marco Albino Ferrari con L’AltraMontagna, regia di Claudio Agostoni. “Le montagne” è la nuova trasmissione sulle terre alte italiane. Otto puntate, ognuna dedicata a un tema di grande attualità. Il ritorno del selvatico, i nuovi montanari, i rifugi alpini, cosa lascia il ritiro dei ghiacciai… Insieme a esperti e a profondi conoscitori dei luoghi, proveremo a definire le basi per una forma accettabile di integrazione tra uomo e ambienti naturali. E ci accorgeremo che ciò che riguarda le montagne, infondo, riguarda tutti noi. Anche chi vive in città.

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    Autostrade e mulattiere. Autostoppisti e trakker. Dogane e confini in via di dissoluzione. Ponti e cimiteri. Periferie urbane e downtown trendaioli. La bruss e la steppa. Yak e orsetti lavatori. Il mal d’Africa e le pastiglie di xamamina per chi sta male sui traghetti. Calepini e guide di viaggio. Zaini e borracce. Musiche del mondo e lullabies senza tempo. Geografie fantastiche ed escursioni metafisiche. Nel blog di Onde Road tutti i dettagli delle trasmissioni.

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    Ricciardi, il commissario antifascista che si ispira a Camus

    Nato dalla penna di Maurizio De Giovanni e presente in buona parte della sua opera letteraria, il Commissario Ricciardi ritorna nella terza stagione della serie a lui dedicata su Rai1 e sceneggiata dallo stesso autore dei romanzi. Diretto nel 2021 da Alessandro D’Alatri, seguito poi da Gianpaolo Tescari, per la seconda e la terza stagione, Ricciardi indaga nella Napoli degli anni ‘30 in pieno regime fascista, rifiutandone le regole imposte. “Ricciardi non è un protagonista tipico, è un anti-protagonista – spiega Guanciale -. È molto empatico e come il protagonista di La Peste di Camus, si preoccupa di fare bene il suo mestiere a prescindere dalle imposizioni che gli vengono fatte”. Sempre in cerca di giustizia, in una forma di resistenza al potere dittatoriale di Mussolini, molto presente nel contesto dei casi da risolvere. I fantasmi che si aggirano nella mente del Commissario, immaginati nei libri di De Giovanni, nella serie prendono forma durante le indagini. L’intervista di Barbara Sorrentini.

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    La domenica dei libri è la trasmissione di libri e cultura di Radio Popolare. Ogni settimana, interviste agli autori, approfondimenti, le novità del dibattito culturale, soprattutto la passione della lettura e delle idee. Condotta da Roberto Festa

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