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The Italian Job

Elly Schlein: the Italian Democratic Party has a new leader

Elly Schlein: will she be able to put the twentieth century behind her?

In Italy We used to have a very strong communist party called PCI that had a lot of support from the working-class population, especially factory workers, but not only.

When Communism fell in Eastern Europe, the party changed its name several times and merged with the Christian Democratic Party, which was the main moderate party with Catholic inspiration that had governed for many years.

However, this new party – “Partito democratico” – never managed to find its own identity.

Even the former communists, after the international failure of communism, pursued very moderate economic policies, to the point of seeming to imitate the economic right. The only thing they did was to oppose the less presentable leaders of the right, such as Berlusconi and Salvini, but they didn’t seem to have their own proposal or identity.

Over the years, they not only lost many votes but also lost any ties with the lower classes who no longer felt represented.

Now, something new has happened: a young left-wing woman, Elly Schlein, has been elected as the leader of this party. She doesn’t come from a popular background but she’s also not compromised with the old establishment that ruled in the past century.
In American terms, she might be compared a bit to Alexandria Ocasio-Cortez, but only vaguely.

It’s unclear whether this woman will be able to rebuild the left in Italy. Specifically, we don’t know if she will (first) be able to govern a divided party that has been used to following power without any ideals, nor do we know (second) if she will be able to reconnect with the popular classes. Today, they are no longer a cohesive social block like the working class was at the time of the PCI, but a galaxy of different conditions, all at the base of the social pyramid but not linked to each other.

Foto | Ansa

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Mia cara Olympe

Schlein, la misoginia al lavoro non riguarda solo lei

È interessante, dice una giovane donna che mi è cara commentando la vittoria di Elly Schlein, vedere la misoginia al lavoro. Il bersaglio, ovvio, è la nuova segretaria del Pd, ma la misoginia che in questi giorni si dispiega, non è più quella nota, apertamente sessista e discriminatoria, ma una variante en travesti che dovrebbe renderla più ‘digeribile’, meno scoperta, meno decodificabile.

Naturalmente qua e là sui social si leggono commenti apertamente razzisti e antisemiti, complottisti alla vecchia maniera, ma non è di questo che qui si vuole discutere. Ovviamente ci sono, sui media e nel dibattito pubblico, critiche politiche: il suo pd è troppo spostato a sinistra, c’è poca chiarezza su alcuni temi come la guerra, giusto per nominare le più ripetute, e di tutto ciò si può e si deve discutere. Ma attenzione: il nuovo lavoro che l’eterna misoginia italica si è data in queste ore è proprio di travestire da critica politica l’antico. E dunque Elly Schlein appare come l’ennesima figurina alla moda, svuotata di ogni autonomo spessore, la ‘giovane’ per sempre  anche se ha 37 anni, età in cui, altrove, è normale ricoprire alte cariche, oppure la telecomandata dai pesi massimi del Pd cui dovrà pagare pegno: guardate chi  ha sostenuto Franceschini,  è il mantra più ripetuto.

C’è, ed è opportuno vederla, una quantità di provincialismo e arretratezza culturale che fa specie: la notizia, viene da dire, è che, là fuori, ci sono tante Elly Schlein – donne colte, che hanno studiato, accumulato competenze  ed esperienze qui e altrove, che hanno visto e vissuto un po’ di mondo (e hanno pure un inglese migliore del tanti maschi di mezza età o decisamente anziani che detengono quasi tutte le leve dei poteri). E se non le vedete –  e non le vedete, queste donne –  la perdita è secca ed è collettiva.

Su Elly Schlein riverbera un pregiudizio e uno stereotipo che fanno del compito difficile che l’attende una prova che riguarda tutte. Proprio nei giorni precedenti la sua vittoria, su diversi media – ancora una volta  prevalentemente tra donne, ma è ormai vecchia storia –  si è innescata una bella, articolata riflessione sulla scorta di dimissioni che pesano, come quelle di Jacinta Arden, di Nicola Sturgeon e della ceo di Youtube Susan Wojcicki che hanno sottolineato l’insostenibilità, alla lunga, di un potere troppo duro ed esigente. Anche nel loro caso, la loro scelta è personale ma anche profondamente politica e riguarda tutte e tutti: l’esercizio del potere deve essere per forza questo, c’è un’altra via, siamo arrivati ad un capolinea di cui le donne si sono accorte per prime? Dunque sia ottenere, non per cooptazione maschile, sia lasciare un potere significa per una donna caricarsi di un peso concreto e simbolico più  forte. Piacerebbe poter discutere con Schlein ‘solo’ di politica, di come innovarla – questo è uno dei mandati ricevuti dal voto delle primarie – in un paese di liturgie barocche e corporativismi qual è il nostro; piacerebbe discutere delle grandi questioni – la guerra, la crisi climatica, il lavoro – al netto dei pregiudizi misogini che vediamo dispiegarsi in queste ore, ma pure del carico di aspettative  e domande che su ogni donna al potere si riversano. Non è ancora il tempo. Senza nessun vittimismo, anzi per meglio attrezzarsi bisogna saperlo: la strada, per una donna, è sempre un po’ più complicata.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Zero Limiti: le grandi onde di Chris Bertish

Se il desiderio di libertà vi stringe il petto, se amate l’oceano e la purezza di sfidare le sue onde, se quando puntate gli occhi verso la linea dell’orizzonte vi sentite davvero vivi, c’è un libro che non potete perdervi. Si intitola “Stoked!” (in italiano é da poco uscito per Tea con il titolo “La Mia Onda”) e lo firma Chris Bertish un tipo davvero fuori dagli schemi. Parliamo di un matto vero, che si definisce uno “waterman” e quando non é a mollo fra le onde é in giro a parlare di ambiente o a tenere seminari per motivare le persone e spingerle ad alzare l’asticella. Esattamente come ha fatto lui, che é stato un big wave surfer senza sponsor capace di vincere il Maverick nel 2010, e che poi si é cimentato in un’impresa pazzesca: attraversare l’Atlantico in stand-up paddle, pagaiando in solitaria per 7400 chilometri, impresa che ha portato a termine nel 2017, dopo novantatré giorni in mare. Capito il soggetto?
Sudafricano, classe 73, Chris é cresciuto sulle coste increspate di Città del Capo, sempre in mare a cercar onde con il papà e i due fratelli maggiori, dalla costa occidentale ad Elands Bay e poi oltre, fino alla Namibia.
Onda dopo onda é diventato sempre più bravo, fino ad iniziare a cimentarsi nel big waves surf, che é un qualcosa del tutto diverso dal resto degli sport su tavola. Questo ristretto club che profuma di salsedine abita un mondo a parte, dove devi essere sempre preparato, concentrato e in forma perché, come scrive Chris: “Una giornata storta potrebbe voler dire che non giocherai mai più”.
I big wave surfers vivono alla giornata perché non sanno quando il mare sarà così generoso da servir loro le onde giganti di cui si nutrono. Se ne stanno perennemente in allerta, attendendo buone notizie dal meteo, 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, pronti a mollare qualsiasi cosa stiano facendo con un preavviso di uno o due giorni al massimo e saltare su un aereo per volare dall’altra parte del mondo appena ci sono le condizioni giuste.
“È dura” racconta Bertish nel suo libro “essere sempre quello che alle grigliate beve solo birra analcolica perché il mattino dopo deve andare a surfare o perché sta aspettando l’occasione buona”.
Come é dura alzarsi la mattina presto per allenarsi, lasciare un lavoro dopo l’altro perché servono orari flessibili, oppure indebitarsi fino al collo e rompere con la ragazza perché non capisce cosa ti spinge a fare tutto questo.
Eppure quando sei là sopra, il tuo “perché” lo senti forte e chiaro e questo ti pacifica col mondo.
Chris é un pazzo, chiariamolo subito. Non voglio farne un santino e alcune parti di “La Mia Onda” mi hanno dato fastidio. C’é una linea sottile che separa il coraggio dall’incoscienza e lui l’ha superata spesso. In particolare quando ha seguito una mareggiata terrificante lungo il Pacifico, inseguendo le onde alle Hawaii, in California e poi in Messico. Una follia consumata in una manciata di giorni, mangiando poco e dormendo ancora meno. Un’impresa folle ed eroica ma anche stupida perché Chris rischia la pelle e si salva per miracolo da un’onda enorme che lo tira giù per quasi dieci metri! E non contento se la rischia nuovamente a Jaws, raggiungendo le big waves remando, primo surfista documentato a farlo senza farsi trainare dal jet sky, e andando nuovamente vicino alla morte.
Nel mezzo lavori saltuari alternati ad altri più prestigiosi, viaggi, corse, allenamenti estenuanti. Tutto a beneficio di quell’unica passione totalizzante: il surf sulle grandi onde! Quando finalmente, dopo un ginocchio spezzato in otto punti, migliaia di onde surfate, e altrettanti chilometri percorsi, Chris riceve la card per il Mavericks – la manifestazione più importante per i big wave surfers con solo 24 surfisti invitati ogni anno, parliamo del top del top – tutta quella fatica e tutti quei rischi sembrano acquistare un senso.
Grazie ai prestiti di amici e conoscenti mette insieme all’ultimo minuto i soldi per raggiungere gli States, rischia di non arrivare in tempo, è costretto a lasciare l’amata tavola, nuovamente va vicino a perdere la vita ma poi… vince. Senza sponsor, senza santi in paradiso, con tutte le difficoltà del caso, Chris Bertish é il re del Maverick 2010. Peccato che il giorno dopo la giornata più gloriosa di sempre, con la sua faccia stanca e sorridente che appare nei principali tg d’America, debba fare armi e bagagli al volo per tornare in Sudafrica che ha degli appuntamenti di lavoro irrinunciabili, pena il non poter pagare l’affitto.
Ma d’altronde – come ben lascia intendere nel libro – la passione per il mare di Chris non si premia con i soldi.
Si premia con le onde.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Mia cara Olympe

Oggi, 26 febbraio 2023

Oggi 26 febbraio ci sono state le primarie del Pd. Hanno votato in tanti, credo sia un bene.

Oggi 26 febbraio su una spiaggia calabrese si contano i morti di un ennesimo naufragio: il mare sconvolto dalla tempesta di scirocco, solo cento metri della costa, la barca che si spezza , bambini e adulti tra le onde, troppi non ce la fanno, troppi ancora mancano all’appello, nessuna speranza per loro.

Stamattina ho cercato invano le parole per mettere insieme questi due fatti che, penso e pensavo, devono stare insieme. Le parole non le ho trovate: ogni nuda vita che si spegne così drammaticamente – quante volte è successo, quante volte deve ancora succedere? – sembra cosa infinitamente più grande  e ogni tentativo di rintracciare il nesso mi suonava sbagliato, quasi osceno.

Le parole giuste le ho lette oggi pomeriggio; le ha dette un prete –  non di rado sono i preti  a parlare anche per noi che agnostici ci professiamo. È un prete che lavora in Calabria da un numero di anni tale da poterla dire sua, la Calabria, al pari della sua terra d’origine, la Lombardia: don Giacomo Panizza si chiama, Progetto Sud la sua comunità, qualche giorno fa è diventato, per volontà di  Mattarella, commendatore. Ha detto don Giacomo, davanti a quei morti: ci vuole la politica, non una politica che espelle, che alza muri, guardate la Calabria che si spopola  sempre di più e chiedetevi che senso ha dire di no a queste persone, alla loro scommessa, alle loro competenze, alle loro vite. “La politica non dovrebbe dedicare neanche cinque minuti a porsi il problema di separare i buoni dai cattivi. Di questo si devono occupare altri. La politica piuttosto deve chiedersi perché partono o fuggono da casa, e magari affrontare anche quel problema, non come impedirgli di arrivare. Altrimenti il risultato saranno sempre altri morti su una spiaggia. O in fondo al mare, dove nessuno saprà mai neppure che sono morti”, ha detto a Paolo Foschini del Corriere della sera.

Stupida, cieca, ottusa prima ancora che cattiva. La politica secondo don Giacomo, al quale rubo le parole.
Si stanno chiudendo i seggi delle primarie del Pd, oggi 26 febbraio. Non ho votato, sono lontana, avrei dovuto iscrivermi tra i fuorisede, non l’ho fatto, per diverse ragioni. Ma non credo a chi dice che non ci riguarda. A chi dice che noia, ancora il Pd. A chi lo dà per perso, in favore di cos’altro non mi è chiaro. A chi dice chi se ne frega. Penso invece che da qualche parte bisogna ripartire, per essere meno stupidi, meno ciechi, meno ottusi di quanto oggi in questo paese siamo. E che c’è una domanda, una speranza di politica che in queste primarie si è espressa – dopo l’ondata di pesante astensionismo di qualche settimana fa –  che va rispettata. Se poi venisse accolta, ancora meglio, anche se stasera, vista da qui, mentre su quella spiaggia restano legni, rottami e un incongruo salvagente arancione, sembra così difficile.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Altra picconata al WTO, il ritorno delle guerre commerciali

La constatazione dei limiti della globalizzazione nel produrre benessere diffuso, poi la pandemia e infine il conflitto russo-ucraino hanno innescato trasformazioni e ripensamenti che incidono sul sistema di regolazione del commercio globale pensato negli anni ’90, intaccando in particolar modo il WTO (World Trade Organization). Nato a Ginevra nel 1995, il WTO avrebbe dovuto stabilire le regole comuni e sanzionare gli eventuali trasgressori tra i 164 Paesi membri e i 23 osservatori (praticamente il mondo intero, con l’eccezione di Corea del Nord, Eritrea, San Marino e pochi altri Stati).

Il primo “picconatore” del WTO è stato Donald Trump, che lo ha accusato di non essere imparziale: di fatto, il WTO si limitava a non avallare il ritorno dei dazi o l’imposizione di sanzioni economiche non giustificate, come quelle varate dagli Stati Uniti di Trump nei confronti della Cina. Poi, per l’organismo multilaterale fare il proprio lavoro è diventato sempre più complicato: durante la pandemia, l’emergenza ha determinato un “ritorno” prepotente della centralità degli Stati e ha fatto saltare quasi tutte le regole a tutela della libera concorrenza; ora con Joe Biden si sta ripetendo lo stesso copione della presidenza Trump. Gli Stati Uniti a guida democratica, infatti, non hanno compiuto alcun passo indietro rispetto alle sanzioni e ai dazi imposti dall’amministrazione repubblicana. Recentemente sono stati condannati dal WTO per la loro politica di sussidi all’acciaio e all’alluminio e, fatto ancora più rilevante, il WTO ha stabilito che le loro ritorsioni contro la Cina non sono giustificate in quanto non è in pericolo la sicurezza nazionale, unico motivo che potrebbe giustificarle.

Mai, prima d’ora, un organismo internazionale aveva espresso un parere sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il pronunciamento ha scatenato la reazione piccata del governo di Washington, ma in realtà il WTO avrebbe ragione: negli accordi tra i Paesi aderenti all’organismo si era deciso di non evocare mai come pretesto la difesa degli interessi nazionali, perché ciò avrebbe reso inutile l’intero sistema; in caso contrario, chiunque avrebbe potuto bloccare le decisioni “scomode” in nome della propria sicurezza. Questo dibattito, apparentemente molto tecnico, è in realtà fortemente politico. Attorno al WTO sono esplose le contraddizioni tra un sistema di relazioni commerciali pensato ai tempi d’oro della globalizzazione e l’odierna economia-mondo, caratterizzata da colli di bottiglia che inceppano la libera circolazione delle merci. Se allarghiamo ulteriormente lo sguardo, gli Stati si stanno riprendendo la delega in bianco che, nell’ultimo decennio del secolo scorso, avevano concesso all’economia, e ai grandi gruppi privati. Oggi nessuno crede più che lo Stato debba ridimensionarsi e rinunciare al suo ruolo di indirizzo sui temi dell’economia, dell’ambiente o del lavoro. È questa la ragione per cui sta saltando in aria l’architettura globalista che immaginava un solo mercato mondiale, grande e aperto. Vengono invece ripristinati strumenti antichi come i dazi e le sanzioni senza giusta causa, le sovvenzioni, le penalizzazioni delle importazioni, nel tentativo di ricostruire una sovranità economica che, in realtà, è andata persa da tempo. Ed è questa la grande contraddizione dei nostri tempi: da un lato si torna a pensare, nel bene o nel male, al ruolo di una politica regolatrice e interventista, ma dall’altro non ci sono gli strumenti adatti per implementarla. E gli strumenti vecchi che cerchiamo di recuperare e riadattare, a partire dai dazi, diventano boomerang e finiscono con il danneggiare chi li adopera. Perché, volenti o nolenti, la nostra realtà è diventata globale: la chiave di volta sarebbe un forte impegno per la riforma del sistema multilaterale, invece si sta imboccando la vecchia, fallimentare scorciatoia autarchica.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    con Anna Negri sul documentario “Toni mio padre”; Francesco Fei su “Piero Pelù rumore dentro”; Alessandro Genovesi e Valentina Lodovini regista e interprete di “Una famiglia sottosopra”; Lino Guanciale parla di “Il Commissario Ricciardi”. Estratto dall’incontro con Soahil Dahdal e Rehab Nazzal, vincitori del Nazra Palestine Short Film Festival, nell’auditorium di Radio Popolare (2). Tra le uscite: “Un semplice incidente” di Jafar Panahi; “Siamo in un film di Alberto Sordi?” di Steve Della Casa e Caterina Taricano; “Anemone” di Ronan Day-Lewis.

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    “I Girasoli” è la trasmissione di Radio Popolare dedicata all'arte e alla fotografia, condotta da Tiziana Ricci. Ogni sabato alle 13.15, il programma esplora eventi culturali, offre interviste ai protagonisti dell'arte, e fornisce approfondimenti sui critici e sui giovani talenti. L’obiettivo è rendere accessibile il significato delle opere e valutare la qualità culturale degli eventi, contrastando il proliferare di iniziative di scarso valore e valutando le polemiche sulla politica culturale.

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    Il Verziere di Leonardo è un racconto del cibo a partire dal territorio fino alle situazioni globali, va in onda tutti i sabati dalle 12 alle 13. Parliamo di agricoltura e surriscaldamento della Terra, di coltivazioni di prossimità, e tendenze globali. Raccontiamo il paesaggio rurale con le sue opere idrauliche, l’agricoltura sociale e la cooperazione internazionale. Ci soffermiamo anche sulla storia delle produzioni agroalimentari. A cura di Fabio Fimiani

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    Good Times è il trampolino per tuffarsi in bello stile nel weekend. Visioni, letture, palchi, percorsi, incontri, esperienze, attività. Gli appuntamenti fissati dal calendario, ma anche le occasioni offerte dall’ozio. Un dispenser di proposte e suggestioni per vivere al meglio il proprio tempo libero. Tutti i sabati, dalle 11.30 alle 12, Good Times è il nostro viaggio nelle proposte del fine settimana. E insieme il nostro augurio per trascorrere giorni belli e momenti felici. Elena Mordiglia e Matteo Villaci si alternano nella conduzione.

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