Programmi

blog

La scuola non serve a nulla

Dialogo tra me e me in un 25 aprile gastronomico qualunque

(e buona Resistenza a tutti!)

– …Ecco, cucinare l’abbiam fatto, adesso mangiamo e poi via in manifestazione, che è già tardi… Venuta bene la frittata, vero? Ricetta sperimentale e “ardita”, ma buona, no? (guardare foto della frittata sperimentale, ndr)

– Troppo, troppo buona. E infatti quest’anno facciamo una cosa diversa.

– Come diversa?

– Fai foto e pubblica.

– …Ma come pubblica?!… Dobbiamo pubblicare la foto della frittata?

– Sì, sì!…

– Oggi? Ma sei scemo?

– Certo!

– …Ma ti rendi conto? Io? Io …che ho faticosamente costruito negli anni una solida nomea da artista e intellettuale progressista di Sinistra… ridurmi miseramente così, prono alle consuetudini di massa di questa società dell’immagine, al punto da postare il 25 aprile questa cosa? Sei matto?

– Guarda che la questione è proprio quella: li prenderesti di sorpresa!

– Ma proprio oggi devo far sta roba da influencer? Fotografare e postare il piatto, come una sbarbina mostra-tette dell’Instagram qualunque? Cerca di capire, non l’ho mai fatto, è la prima volta!!!

– Guarda che non è vero che sarebbe la prima volta…

– Ok, ma sarebbe la prima volta il 25 Aprile!!!

– Appunto: tutti postano Calamandrei, “Bella Ciao!” e “Lo avrai, Camerata Kesselring…”. E tu invece te ne esci con la foto del piatto cucinato… geniale, no?

– No, è una fesseria. E poi? Mi chiederai di fare video sull’outfit, sul workout in palestra, e di dar consigli sui posti dove andare in vacanza?

-…See, e poi le dirette con le tue opinioni calcistiche o i tuoi corsi su come investire in bitcoin… no, non esageriamo: limitiamoci alla cucina, che è l’unica cosa che ti viene decentemente, ogni tanto…

– Se è per quello stavolta m’è venuta benissimo. Ma che c’entra?

– Senti a me: i partigiani sono morti per tanti motivi; comunque, tutte cose per cui val la pena di vivere. E forse, tra queste, non è escluso possa esserci pure la nostra leggera e futile vanità socialculinaria. Fallo. Fallo e basta. “JUST DO EAT”! Anzi, devi approfittarne, solo adesso puoi!

– …E perché?

– Come perché… è tempo di svolte, questo! C’hai una serie di attenuanti solide e inattaccabili!

– Sarebbero?

– Ma come! La guerra, l’Ucraina… il Governo più a Destra della storia repubblicana, una Presidente del Consiglio che condanna l’antifascismo con la stessa inequivocabile chiarezza verbale con cui uno studente spiega al prof perché non ha fatto i compiti, o con cui un fidanzato colto in flagrante tradimento balbetta spiegazioni… e tu, a tutto questo, vorresti contrapporre la solita goffa e pesantissima narrazione veteronovecentesca?

-… Ma neanche un “Bella ciao”?

– Quella, lo sai, va cantata tutti gli altri giorni… Sì, tranquillo: poi ci andiamo, in manifestazione. Ma intanto, rispondimi con la festante leggerezza social, che è più efficace: foto, post, reel. Che poi, è proprio quello lì il senso da celebrare: vuoi che non lo sappia quanto è bello urlare in corteo “ORA E SEMPRE RESISTENZA!”, il 25 del mese, nostro Natale laico? Certo, bello; ma scontato. E pero, se è grazie a quei nostri compagni che siamo liberi…

– …Posto foto di cibo&frase di Beppe Fenogli…

– Noooo!!! “Sentiti libero, influencer e cuoco”. Lo dice pure la Ferragni: siamo liberi, no? E sentiti libero. Basta tentennamenti dai! Che poi, il tuo, tra l’altro, è un superbo esempio di meltin pot gastronomico, una tortilla-omelette-pizza che fa tanto spirito europeista e, a suo modo, molto “Quarta Internazionale”!

– Frittata… il giorno della Liberazione? Sicuro? Ma neanche un pizzichino di Nenni&Pertini? O un sapido calembour politico/gastronomico tra “partigiani” e “parmigiana”? Manco ‘no straccio di “pastasciutta antifascista” dei fratelli Cervi??

– No, c’hai già messo la cipolla, va bene così!!! Vai, posta!!! Alla peggio puoi sempre dire “Me lo avete chiesto in tantissimi” … oppure “Ce lo chiede l’Europa”, che ormai è frase equipollente. Poi chiudi con un “Doppia foto, prima e dopo la voltata! Che fate voi amiciccccccci? Io mangio!!!!!! Buonnnn apppppeeeeetiitttooo! Gnaaaaammmmm! E vooooiiii? Smackkk!”

– …

– No, ok, così troppo… sì, forse hai ragione, è il caso di fare un passo alla volta, non esageriamo. Ecco, se proprio vuoi la combo “gastronomia/liberazione”, ce l’ho: foto capovolta. Diritta e poi rovescio della frittata, al contrario, sottosopra, caposotto… Com’era? “L’unico modo per far arrivar sangue alla testa di un fascista è metterlo a testa in giù”. Sì, ecco, mi pare il giusto compromesso storico tra le futili istanze d’una superficialità Social…

– …E la doverosa, sobria testimonianza civile!

– Sì! Ma SBRIGATI!!! Che i compafollowers attendono!

– …Sicuro sicuro?

– Vai. Coraggio. “Hashtag la Victoria Siempre!!!” #Ciaobelli #BelliCiao!

– …Ok… Fatto. Primo post del #25 aprile con foto di cibo da me medesimo cucinato. Oh, se devon essere storici, storici siano, questi giorni e queste ricorrenze.

– Certo. “Le Stories le postano sempre i vincenti”. Intanto che tu posti, io magno, ch’è bbona…

– Ok, magnamo. Ma poi dritti in manifestazione!

BUON 25 APRILE A TUTTI !!!

 

#25Aprile #Resistenza #bellaciao #Liberazione

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

L'Ambrosiano

Perdono

C’è uno spread tra Italia e Germania. Non riguarda i rendimenti dei titoli ma il divario etico/politico sui conti col passato nazifascista. Ieri, il presidente tedesco Steinmeier a Varsavia, tra i suoi omologhi di Polonia e Israele, ha chiesto perdono per i crimini commessi dai suoi connazionali in divisa quando i giovani ebrei del ghetto insorsero contro gli occupanti. Erano tedeschi e lui, da Presidente della Repubblica, s’è fatto carico delle colpe dei predecessori. Non è una novità. Oltre 50 anni fa, il 7 dicembre 1970, il Cancelliere Willy Brandt aveva scritto la storia. In visita a Varsavia si inginocchiò di fronte al monumento dedicato ai resistenti del ghetto di Varsavia. Il gesto, lo ricordò lui stesso, non era premeditato: «I miei più stretti collaboratori non erano meno sorpresi dei giornalisti e dei fotografi che erano in piedi accanto a me». Der Spiegel davanti a tanta naturalezza notò che Brandt non era religioso ma aveva scelto una simbologia cristiana per parlare con la forza dei gesti e del silenzio al mondo. Confessava una colpa di cui non era responsabile e chiedeva un perdono di cui lui non avrebbe avuto bisogno: s’inginocchiò per la Germania. Meloni, La Russa, Rauti e quelli che hanno agnizioni dirette o ideologiche col fascismo si renderanno credibili a Italia e Europa inginocchiandosi a Sant’Anna di Stazzema o in altra località in cui italiani aderenti alla Repubblica di Salò e schierati con l’occupante tedesco han denunciato alle SS dove trovare non solo i partigiani da torturare per avere informazioni e poi fucilare, ma popolazioni inermi: donne, bambini, anziani e chiederanno sotto voce «Perdono». Questa può essere la base d’una riconciliazione. Il resto è retorica. Se dall’alto non c’è il segno d’una svolta continuano ad accadere episodi odiosi. Ieri è stato vandalizzato uno dei due murales della serie “Binario 21, I Simpson deportati ad Auschwitz” di aleXsandro Palombo al Memoriale della Shoah di Milano. Per lo sfregio i criminali sono andati nel giorno dello Yom HaShoah, la giornata del ricordo degli ebrei uccisi durante l’Olocausto. Per noi vigilia del 25 aprile, base della Costituzione “antifascista”, parola tabù per la destra.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Mia cara Olympe

Meloni, Lollobrigida: intanto le donne…

Confesso: aggiungere il proprio granello di indignazione e protesta a commento delle parole del ministro Lollobrigida sulla ‘sostituzione etnica’, deplorare l’uscita della premier Meloni che dice ‘prima (degli immigrati, dei neri, degli e delle ‘altre’, ndr) facciamo lavorare le donne’ che daranno alla luce, nella sua visione, italianissime e italianissimi neonati, suona quasi inutile. Ogni giorno infatti il nuovo governo per bocca di uno dei suoi esponenti, dà ampia materia di reazione e preoccupazione mostrandosi addirittura peggiore di ciò che avevamo cupamente immaginato prima delle elezioni. Lo fa su ogni capitolo e con un sottotesto culturale chiarissimo: l’immigrazione oggi tornata ad essere nel loro dire ‘invasione’, la creazione costante di nuovi reati mentre si picconano i diritti, l’interpretazione securitaria di ogni fenomeno sociale cui la risposta è solo il carcere – non ce ne fosse già abbastanza – per non parlare dell’economia e del lavoro, del ritardo sul Pnrr, degli annunci bandierina come il ponte sullo stretto eccetera eccetera.

Funziona, dal punto di vista della propaganda, questo linguaggio? Contamina di sé, delle proprie istanze razziste ed escludenti, ‘brutali’ come dice giustamente Romano Prodi, un paese stanco, sfiduciato, ripiegato su una quotidianità complicata che, in una certa ma non piccola parte, ha messo in soffitta come inutile arnese l’architrave antifascista su cui si è edificato? Altera, nella coscienza collettiva, la gerarchia dei reali problemi, funzionando come un’arma di distrazione di massa? Più che una risposta a questa domanda ho molti timori e per questo aggiungo il mio sassolino sulla manifesta strumentalità di un ragionamento come quello di Meloni che contrappone le donne ai migranti, in una chiave natalista e identitaria che non solo va culturalmente respinta, ma che non tiene conto della realtà di questo paese e quella più larga del mondo. Basta entrare nelle classi e nelle case, basta vedere la vita quotidiana delle donne, chiedersi perché molte non lavorano e perché non fanno figli o ne fanno uno solo, tardi e a fatica. Perché ci sono i migranti o perché il lavoro è mediamente povero e precario? Perché siamo ‘invasi’ o perché quel lavoro, quegli stipendi, quella mancanza di prospettive non consentono di reggere il peso – economico e psicologico – di un lavoro di cura che continua ad essere talmente un problema privato che trovare un posto all’asilo nido è meglio che vincere alla lotteria? “Sono uscite le graduatorie dei nidi e io sono al settimo cielo” ha scritto su Facebook Angelica Vasile, consigliera comunale del Pd a Milano, tra le ‘fortunate’ a trovare un posto per suo figlio, mentre 3800 famiglie non possono dire altrettanto. E ciò vale dove almeno i nidi ci sono, anche se non bastano: inutile o utile ripetere che ci sono due Italie e non è un caso se soprattutto al sud è in atto un silenzioso sciopero delle donne che porta ad una divaricazione forte tra il desiderio di figli e quelli che effettivamente nascono, per la prima volta sotto i 400 mila l’anno? Mentre facciamo guerra ad un’immigrazione che non solo non si può fermare ma di cui abbiamo molto bisogno e che andrebbe gestita nella direzione di un benvenuto allargamento della cittadinanza, mentre usiamo il basso tasso di occupazione femminile come arma di esclusione e contrapposizione e comunque declinato al fine praticamente esclusivo della natalità e non come tema centrale di autonomia e crescita individuale e collettiva, la vita delle donne – italiane e straniere – è un costante arrabattarsi nel tenere insieme i pezzi di una società che invecchia, che chiede sempre più cura e non trova serie risposte pubbliche né per gli anziani, né per i piccoli. Ognuna con la sua sfida quotidiana, ognuna spesso sola o comunque con un maggior carico sulle spalle per condizioni materiali e culturali, ognuna a cercare di farcela: altro che ‘invasione’, altro che ‘sostituzione etnica’, altro che ‘riserva inutilizzata’…

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Tra Buddha e Jimi Hendrix

Santità e polemiche: cosa è veramente successo al Dalai Lama?

Partiamo dal fatto: Sua Santità il Dalai Lama ha baciato sulla bocca un bambino che aveva chiesto di abbracciarlo, poi gli ha mostrato la lingua e infine gli ha detto “sucks my tongue”, che in lingua inglese vuol dire “succhiami la lingua”.
Il contesto: il Dalai Lama stava partecipando a un evento pubblico davanti a circa 200 persone, con macchine fotografiche e telefonini che scattavano e riprendevano tutto quanto.
Le conseguenze: il video, datato 28 febbraio, qualche giorno fa diventa virale. Il mondo occidentale si scandalizza, il Dalai Lama viene additato come vecchio pedofilo e sulla sua pagina ufficiale si scusa per aver scherzato in una maniera che poteva essere male interpretata.
Personalmente ci sono rimasto male. E come me i milioni di persone nel mondo che negli anni hanno trovato nelle parole e nel sorriso di Sua Santità un esempio da seguire.
Nella gompa tibetana che ho costruito nel bosco davanti a casa ci sono solo una coperta, delle candele e due quadretti: uno é un ritratto di Gandhi. L’altro del Dalai Lama.
Capirete quanto sia difficile per me analizzare con obiettività l’accaduto. Eppure ci ho provato. Ho visto il video. L’ho rivisto. Ho letto sia i commenti degli scandalizzati che puntano il dito, sia di quelli che vogliono difendere SS a tutti i costi.
E ho sentito le testimonianze di coloro che il Dalai Lama lo conoscono e, negli anni, lo hanno vissuto da vicino.
Personalmente sono portato a pensare che il Dalai Lama con gli anni, ne ha ben 87, abbia perso un po’ di, chiamiamola “brillantezza” per non usare altri termini, e questo lo abbia portato a scherzare in maniera inappropriata con quel bambino.
Premesso questo, non penso vi fosse alcuna morbosità nei suoi gesti. Ha giocato e scherzato senza nessuna malizia. Come farebbe un bambino con un altro bambino, in totale innocenza. Una cosa che Sua Santità ha sempre fatto, anche in contesti importanti. Penso al tirare la barba ai mullah, dare baci all’arcivescivo anglicano Desmon Tutu, oppure togliere scherzosamente il copricapo a vari capi religiosi incontrati nella sua ultraottuogenaria carriera, per metterseli lui in testa.
Il tirare fuori la lingua é invece un’ antica tradizione tibetana di saluto. E non dimentichiamo, anzi ribadiamolo con forza, che il tutto si é svolto davanti a 200 persone.
La frase “sucks my tongue” si fa invece più fatica a spiegarla. Lama Trinle Gyatso, sulla sua seguitissimi pagina Facebook non ci trova nulla di strano e spiega l’espressione molto candidamente. Nella cultura tibetana é usanza che i nonni diano il cibo ai nipoti, in particolare i dolci, direttamente da bocca a bocca. Quando poi i bambini vogliono ancora dolci ma i nonni non ne hanno più, si lasciano andare all’espressione “CheLa Sa”, che vuol dire “mangiarmi la lingua”, come a significare “ti ho dato tutto quello che avevo, l’unica cosa che posso ancora offrirti é la mia lingua, mangiatela pure.”
In questa ottica, secondo Trinle Gyatso, vanno inquadrate le parole del Dalai Lama, che ha usato quella tipica espressione col bambino indiano come a dirgli: “ti ho ricevuto, abbracciato, dato baci e consigli, non ho più niente a parte farti succhiare la mia lingua”.
Il termine “succhiare” invece di “mangiare” sarebbe una differenza minima, dovuta alla traduzione dalla lingua tibetana a quella inglese, ma ne manterebbe intatto il significato.
Monia Sangermano, su Stretto web, opta invece per un’altra teoria e senza peli sulla lingua afferma: “Se sei il Dalai Lama non puoi permetterti di avere la demenza senile”. E aggiunge: “avete mai visto un pedofilo agire pubblicamente, come se niente fosse? Avete mai visto un deviato sessuale mostrare spudoratamente davanti a milioni di persone la propria squallida devianza? Sono quasi certa che nessuno possa rispondere di sì a queste due domande. Allo stesso tempo, però, avete mai visto un anziano mostrare in pubblico, e in privato, segni di demenza senile? Avete mai sentito un anziano dire cose senza senso e pensare: “è proprio vero che la demenza fa tornare tristemente bambini“. Sicuramente a queste due domande molti risponderanno di sì”.
Dejanira Bada, giornalista, insegnante di mindfulness a autrice del fortunato libro” Il Pensiero Tibetano” mi spiega che “quello che ha fatto Il Dalai Lama è assolutamente sbagliato, ma il punto è che non credo si tratti di pedofilia. Il Dalai Lama bacia in bocca chiunque incontri, abbraccia le persone, avvicina la fronte a quella del suo ospite, spessissimo tira fuori la lingua perché in Tibet è un gesto di saluto che viene fatto per far capire a tutti che non si è un demone, perché i demoni hanno la lingua nera… quindi a volte può capitare che le lingue si sfiorino. Anche a detta di chi lo ha incontrato, il Dalai Lama è sempre stato come un bambino giocoso, anche oggi che ha novant’anni (infatti c’è chi ha parlato anche di demenza senile). Ciò non toglie che un conto è fare certe cose molto affettuose ma non maliziose con un adulto e un conto con un bambino che ancora non capisce quello che sta accadendo, e che sì, potrebbe pure restare traumatizzato.”
Va poi sottileato come la nostra cultura sia profondamente diversa rispetto a quella tibetana.” Più viaggio più studio e più mi occupo di queste cose e più mi rendo conto di quanto siamo diversi dagli orientali” aggiunge Dejanira, “la pensiamo in modo differente praticamente su tutto, sulla religione, sulla concezione della vita stessa. Anche i diritti e le regole che valgono per noi laggiù non valgono, e non siamo noi i detentori della verità, non lo è nessuno. Se si sapessero i vari riti che esistono in India o in Tibet riguardo al rapporto con la morte, i defunti, il sesso ecc., verrebbero tutti rinchiusi nei nostri ospedali psichiatrici”.

Quindi, dove sta la verità?
È stato tutto un equivoco
Sua Santità ha la demenza senile?
Si é trasformato all’improvviso in un pedofilo così allupato da non riuscire a trattenersi nemmeno davanti a 200 persone?
Al netto di ipotesi, teorie e discorsi, quello del Dalai Lama rimane quasi l’ultimissimo messaggio di quelli puri, che scaldano il cuore. Per questo credo, e soprattutto spero, si sia trattato di un grande, maledetto equivoco.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Appunti sulla mondialità

La guerra normalizzata

Dopo i primi mesi di caos economico e di timori generalizzati sui rifornimenti energetici e sul mercato dei cereali, e sul rischio che lo scontro potesse degenerare in un conflitto nucleare, il mondo sembra ora avere metabolizzato la guerra in corso in Ucraina. Una guerra che resta un mix di vecchio – anzi, di molto vecchio – e di nuovo. Una guerra di conquista territoriale che ha anche risvolti etnici, con la “difesa” delle minoranze russofone in Ucraina, che si combatte all’ultimo sangue, addirittura in trincea, come non capitava dalla Prima guerra mondiale. D’altra parte, questa è anche una guerra moderna nella quale si usano droni e armamenti sofisticati, che possono così essere messi in mostra anche sul piano commerciale come non capitava da molto tempo. Dal punto di vista militare, la superiorità numerica e missilistica della Russia è stata pareggiata grazie alle moderne armi cedute dai Paesi Nato al più modesto esercito ucraino. Ne è derivata una situazione di stallo che oggi non lascia intravedere vie di uscita, se non il prolungamento di un conflitto che, nel frattempo, sta radendo al suolo l’economia e le infrastrutture ucraine e rovinando economicamente la Russia, che comincia a sentire il peso dell’embargo imposto dall’Occidente: Mosca non poteva immaginare che l’Europa, in così poco tempo, sarebbe riuscita a ridurre ai minimi termini la sua dipendenza energetica dal gas siberiano.

In realtà, tutto il conflitto è un grande concentrato di malintesi e di calcoli sbagliati, a partire dalla convinzione, smentita dai fatti, che l’Ucraina si sarebbe arresa poche ore dopo l’invasione russa e che la dipendenza dal gas importato avrebbe legato le mani all’Unione Europea. Ma ciò non può distogliere l’attenzione dal fatto che nulla è cambiato rispetto agli schieramenti internazionali di un anno fa. L’embargo economico contro Mosca è stato decretato dal 19% degli Stati del mondo, che rappresentano però il 59% dell’economia mondiale. Restano ancora fuori tre giganti, tra l’altro membri dei Paesi Brics, come la Russia: India, Cina e Brasile. In questo primo anno di guerra, ciò è bastato perché la Russia non restasse senza ossigeno, ma ora cominciano a farsi pesanti le conseguenze delle sanzioni, con una flessione del PIL russo stimata in 4-6 punti percentuali per il 2023, che andrà ad aggiungersi al meno 3% circa del 2022.

Sul fronte della pace, invece, va registrato che al momento ci sono solo due proposte sul tavolo: quella avanzata da Zelensky all’ONU, che ha il peccato originale di essere stata proposta da una delle parti in guerra, e quella cinese, alla quale sia i Paesi Brics sia l’Europa stanno prestando attenzione. Dalle potenze che fino a oggi hanno permesso all’Ucraina di reggere militarmente, cioè dagli USA, dal Regno Unito e dall’UE, ancora non è arrivato nulla. Come se questi Paesi pensassero, ipotesi altamente improbabile, che la guerra possa risolversi sul campo a favore dell’Ucraina.

È questa impasse, una mancanza generalizzata di volontà negoziale, che sta relegando la guerra in Ucraina tra le notizie di secondo piano. Come accadde per la guerra in Iraq o per quella in Afghanistan, ormai si dà per scontato che lo scontro andrà per le lunghe e ci si concentra quindi su altre questioni. Invece, questo conflitto non solo è potenzialmente molto più pericoloso degli altri, ma potrebbe anche essere il primo di una lunga serie, destinata a sancire i confini tra la sfera d’influenza geopolitica dell’Europa occidentale e quella della Russia: un tema del quale non si è mai voluto discutere dopo la fine della Guerra fredda, perché la tanto evocata conferenza per la pace e la sicurezza tra l’Europa e la Russia, diventata una repubblica democratica dopo il 1991, non c’è mai stata. Abbiamo avuto la fine del Patto di Varsavia da una parte, la crescita della Nato dall’altra; e una Russia integrata velocemente nello spazio economico europeo ma sempre tenuta ai margini dello spazio politico.

Sono ancora molte le cose che questo conflitto racconta: eppure, a meno di sconvolgenti novità, ne sentiremo parlare sempre di meno. Perché il nostro mondo è fatto così, si sfugge dal trovare una risposta alla complessità per ripararsi nel quotidiano. Un “giorno per giorno” che non risolve nulla e che, anzi, esaspera i problemi.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio venerdì 18/07 07:30

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 18-07-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve venerdì 18/07 10:31

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 18-07-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di venerdì 18/07/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 18-07-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di giovedì 17/07/2025 delle 19:49

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 17-07-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Summertime di venerdì 18/07/2025

    Summertime è il nostro “contenitore” per l’informazione delle mattine estive. Dalle 7.45 alle 10, i fatti del giorno, (interviste, commenti, servizi), la rassegna stampa, il microfono aperto, i temi d’attualità. E naturalmente la musica. Ogni settimana in onda uno dei giornalisti della nostra redazione.

    Summertime - 18-07-2025

  • PlayStop

    Apertura Musicale di venerdì 18/07/2025

    Svegliarsi con la musica libera di Radio Popolare

    Apertura musicale - 18-07-2025

  • PlayStop

    PoPolaroid di giovedì 17/07/2025

    Basil Baz evoca il suo amore per la Polaroid, per la bellezza dello spazio bianco intorno all’immagine, che gli permetteva di scrivere la data e dare un titolo alla foto; spesso era ispirato da una canzone. Come le fotografie, le canzoni sono memorie nel tempo, e in PoPolaroid accompagno la musica con istantanee sonore; scatti personali, sociali e soprattutto sentimentali.

    PoPolaroid – istantanee notturne per sognatori - 17-07-2025

  • PlayStop

    News della notte di giovedì 17/07/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

    News della notte - 17-07-2025

  • PlayStop

    Conduzione musicale di giovedì 17/07/2025 delle 21:01

    Un viaggio musicale sempre diverso insieme ai nostri tanti bravissimi deejay: nei giorni festivi, qua e là, ogni volta che serve!

    Conduzione musicale - 17-07-2025

  • PlayStop

    Jazz in un giorno d'estate di giovedì 17/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

    Jazz in un giorno d’estate - 17-07-2025

  • PlayStop

    Popsera di giovedì 17/07/2025

    Popsera è lo spazio che dedicheremo all'informazione nella prima serata. Si comincia alle 18.30 con le notizie nazionali e internazionali, per poi dare la linea alle 19.30 al giornale radio. Popsera riprende con il Microfono aperto, per concludersi alle 20.30. Ogni settimana in onda un giornalista della nostra redazione.

    Popsera - 17-07-2025

Adesso in diretta