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Trapattoni: “Sono un ragazzo fortunato”

Da calciatore ha vinto tutto con il Milan negli anni Sessanta. Da allenatore è andata ancora meglio: sette scudetti in Italia, tre trionfi in campionati stranieri, almeno un successo in tutte le coppe internazionali. Giovanni Trapattoni ha compiuto da poco 77 anni. Ora fa il commentatore tv, con lo stile che gli è abituale: schietto e genuino, a volte un po’ sopra le righe. Nei giorni scorsi è stato attaccato per qualche parolaccia durante una telecronaca Rai. Ai nostri microfoni parla della sua carriera, che potrebbe non essere ancora finita.

C’è una delle sue vittorie a cui è particolarmente affezionato?

“Direi quelle in Germania, con il Bayern Monaco. Forse sono stato il primo tra i miei colleghi a espatriare. Dà soddisfazione imparare una lingua nuova e conoscere bene un calcio che era dominante, insieme a quello inglese”.

Di solito chi vince è antipatico a chi perde, almeno in Italia. Lei ha sempre avuto simpatizzanti anche tra i tifosi avversari. Come se lo spiega?

“Dovrebbe chiederlo a chi ha stima e affetto per me. Penso di aver mantenuto sempre i piedi per terra e mi ritengo un ragazzo fortunato, che ha avuto successo anche grazie a questo aggettivo”.

Parliamo di rimpianti, dei quattro anni in cui ha allenato l’Italia. La squadra era forte e lei abituato a vincere, ma i trionfi non arrivarono. Perché?

“Il calcio offre sorprese, errori a volte personali e a volte causati da altri. In quella circostanza a sbagliare fu un arbitro che poi è stato smascherato. Diciamo che fu lusingato da soldi stranieri. Per questo giudicò una partita a senso unico, facendocela perdere (parla dell’arbitro Moreno e dell’eliminazione ai mondiali del 2002, ndr)”.

Tra pochi mesi Antonio Conte abbandonerà la panchina azzurra. Chi vedrebbe bene al suo posto?

“I giovani tecnici italiani che guidano squadre importanti sono tutti bravi. Il nome che mi sento di fare è Gian Piero Gasperini. L’ho avuto come giocatore ed è in gamba, all’altezza del ruolo”.

Lei ha allenato fino al 2013, quando ha lasciato la nazionale irlandese. Il campo le manca?

“Sì, perché ci ho lavorato una vita. Ormai però credo che nessuno si prenderà il rischio di darmi una panchina. Ho avuto tanto, chiedere ancora sarebbe pretenzioso”.

Eppure di recente stava per andare ad allenare in Costa d’Avorio…

“Sì, ho avuto contatti anche in Grecia. Fosse stata una nazionale avrei accettato, ma erano squadre di club e per me ormai è difficile lasciare casa. Mia moglie non mi seguirebbe più!”.

E se a luglio la ritrovassimo a guidare l’Italia?

“No, è un’assurdità. Non succederà di sicuro. Ci sono tanti altri e io ho un’età. Diciamo che non scenderebbero a questi livelli”.

Come valuta il suo lavoro da commentatore Rai?

“Credo di avere l’esperienza necessaria per essere super partes, dicendo quello che penso”.

Dove può arrivare la nazionale azzurra agli europei di giugno?

“La nostra squadra a volte si presenta con prospettive inferiori rispetto agli avversari, ma in passato è successo che abbia fatto molto bene. Possiamo andare sicuramente verso le finali. Speriamo di avere fortuna, senza incidenti come quelli che capitarono a me”.

In campionato dovrebbe essere ancora la Juventus a vincere. In Italia è impossibile vedere un successo di una squadra poco titolata?

“In genere trionfa chi ha i giocatori più bravi e di solito sono i club più blasonati. È sempre stato così”.

In Inghilterra ci sta provando Claudio Ranieri con il Leicester.

“Devo dirgli bravo e spero che ci riesca, per tenere sempre alto il nome di un allenatore italiano”.

C’è un collega in cui si rivede?

“Non saprei, perché i tempi e i calciatori sono diversi. È difficile fare paragoni”.

Come si fa a vincere? Ha una ricetta, un consiglio da proporre?

“Serve perspicacia e non bisogna lasciarsi lusingare dai momenti facili. Le cose vanno bene, poi inspiegabilmente i giocatori calano di condizione, e magari non credono più ai traguardi che possono raggiungere. L’importante è insistere e avere fortuna. Ma una ricetta vera e propria non c’è.

Ascolta l’intervista a Giovanni Trapattoni

Giovanni Trapattoni

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    Andrea Monti
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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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