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Francia, Hollande costretto alla ritirata

“Ci sono degli annunci che, più dei colori e dei sapori primaverili, promettono, pardon, permettono di ritrovare con una certa urgenza le vere lotte”. Sulla sua pagina Facebook, l’ex ministra della Giustizia francese Christiane Taubira assapora la sua vittoria politica su Manuel Valls e François Hollande, senza mai nominarli. Taubira si era dimessa il 29 gennaio scorso a causa della sua opposizione alla riforma costituzionale.

Quella riforma costituzionale che il presidente Hollande aveva annunciato, pochi giorni dopo gli attentati di Parigi, davanti a Camera e Senato, riuniti a Versailles, e che prevede l’introduzione dello stato d’emergenza permanente e soprattutto la revoca della nazionalità per i francesi con doppio passaporto condannati per terrorismo.

Una misura che ha lacerato il Partito socialista e la sinistra perché “istituiva due categorie di francesi, quelli che lo sarebbero indubbiamente e coloro che non lo sarebbero completamente perché i loro genitori o i nonni non lo erano”.

Per rassicurare i deputati socialisti, il primo ministro Manuel Valls aveva tolto dal testo ogni riferimento ai binationaux. Senza successo. In parlamento la riforma fu approvata grazie al voto decisivo della destra.

La toppa di Valls era peggio del buco, perché revocare la cittadinanza a tutti francesi condannati per terrorismo avrebbe aperto il campo al regime di apolidia.

Infatti in Senato, la destra, che ha la maggioranza, ha votato il testo iniziale. “L’Assemblea Nazionale e il Senato – ha riconosciuto Hollande rivolgendosi ai francesi in tv – non sono riusciti ad accordarsi su uno stesso testo. Oggi non ci sono le condizioni per un compromesso”.

Trattandosi di una riforma costituzionale, il testo doveva alla fine essere approvato dalle due Camere riunite a Versailles con una maggioranza dei tre quinti, ossia 555 eletti. Conti alla mano, era una missione impossibile. Alla fine Hollande ha gettato la spugna.

Sessantatré ore di dibattito per niente? Non siamo così sicuri. Il 10 febbraio scorso il giornale Libération scriveva che “l’Eliseo starebbe lavorando a un’uscita onorevole: mollare la patata bollente alla destra in Senato e abbandonare definitivamente il progetto appena il testo sarà modificato denunciando il sabotaggio di Sarkozy, possibile avversario alle presidenziali 2017”.

Già ieri pomeriggio sono iniziate le ostilità: “Presentiamo le nostre scuse ai francesi – ha dichiarato il primo segretario del Partito socialista Jean-Christophe Cambedélis – non abbiamo saputo convincere la destra a entrare nell’unione nazionale per rafforzare il nostro diritto nella lotta contro il terrorismo”.

Nicolas Sarkozy ha risposto affermando che “Hollande ha creato lui stesso le condizioni del fallimento, ha condannato il Paese all’immobilismo”.

Da oggi occhi puntati sui sondaggi per vedere chi ha perso e chi ha vinto. Possono già ritenersi soddisfatti i deputati della sinistra (i ribelli del Ps più verdi e comunisti) che, sostenuti dalla società civile, avevano denunciato il progetto e lavorato per il suo ritiro, costringendo il premier Valls a commettere il pasticcio costituzionale. “Il ritiro del progetto che ha molto diviso i francesi è l’unica e saggia decisione possibile”, ha affermato il capofila dei ribelli del Ps, il deputato Christian Paul. “Bisognava voltare pagina. Non si può mettere l’unità nazionale, assolutamente necessaria, contro i princìpi repubblicani”.

Christiane Taubira vede in questa ritirata un’occasione per riannodare il dialogo a sinistra:

“Ora che si chiude la parentesi di un doloroso smarrimento, che la Costituzione resta la residenza dei nostri valori, dei princìpi che disciplinano la Repubblica, dei simboli che ci permettono di rimanere insieme, dei nostri diritti e delle nostre libertà imprescrittibili, delle regole che si impongono a ciascuno di noi per rendere possibile la convivenza, in poche parole ora che la legge fondamentale ritorna a essere il quadro della nostra appartenenza, eccoci di nuovo liberi insieme. In primo luogo liberi di riallacciare i rapporti con la politica, questo obbligo e questo ardore di pensare la maniera di condividere un destino. Riallacciare, poi, i rapporti con la Gauche, attorno a questa idea straordinariamente moderna dell’uguaglianza, dell’esigenza di una cittadinanza compiuta, dalla quale derivano le nostre libertà, i nostri diritti, i nostri obblighi”.

  • Autore articolo
    Chawki Senouci
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    Nell'ottobre del 1945 nasceva l’Udi, Unione donne italiane, ora sul sito della storica associazione si legge Unione donne in Italia, perché – spiegano – anche le donne che vengono da altri paesi possono entrare nell’Udi e sentirsi unite in battaglie che dopo 80 anni non sono ancora terminate. È quella per difendere la 194 da chi in questo governo vuole limitarla, svuotandola, quella per ottenere il “bilancio di genere”, come spiega Liviana Zagagnoni, responsabile nazionale dell’Udi. Una legge di bilancio pensata anche per le donne, con investimenti per gli asili nido e per i congedi parentali e poi quella per avere una vera parità di genere, nei salari, ma anche nelle relazioni, per una società senza più femminicidi. Una storia iniziata ottanta anni fa da ragazze e donne che fecero la Resistenza e che quella partecipazione attiva nella lotta di Liberazione volevano continuarla per ottenere dei diritti, a cominciare da quello del voto. Lo ricorda Luciana Romoli, staffetta partigiana di 95 anni, una delle fondatrici dell'Udi, incontrata al convegno che alla Camera dei deputati celebra l’anniversario e che ci racconta la sua storia e l’ostilità che l'Udi trovò negli uomini, anche del partito comunista. Le interviste di Anna Bredice.

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    Ersilia Bronzini Majno nasce a Milano nel 1859. Sensibilissima alle difficoltà delle donne, soprattutto delle meno fortunate, si unisce presto ad altre pioniere del femminismo italiano, Laura Solera Mantegazza, Alessandrina Ravizza, Anna Kuliscioff. E nel 1899 è cofondatrice dell’Unione Femminile, la prima realtà italiana per l’emancipazione delle donne, alla quale farà seguito la creazione del celebre Asilo Mariuccia, per l'infanzia abbandonata. Lucia Tancredi, che da anni racconta storie di donne che hanno fatto la storia del femminismo, firma il libro "Ersilia e le altre" (Ponte alle Grazie"). L'intervista di Anna Bredice a Lucia Tancredi.

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    1980, crocevia dello stragismo in Italia: dalla stazione di Bologna agli omicidi Bachelet, Costa, Galli, Amato e Tobagi. E poi l'assassinio di Piersanti Mattarella e la strage di Ustica. Gli interessi dei poteri criminali (da cosa nostra all’eversione nera a pezzi “infedeli” dei servizi segreti, i poteri occulti), a volte convergenti o soltanto paralleli. Dell’omicidio Mattarella restano ancora i segni di quella pista nera il giudice Falcone riconobbe e seguì nella seconda metà degli anni ‘80. Pubblica ha ospitato la giornalista e saggista Stefania Limiti e l’ex direttore dell’istituto “Ferruccio Parri” Emilia-Romagna Luca Alessandrini.

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    Sta diventando impossibile lavorare i propri campi per i contadini della Cisgiordania, soprattutto tra Hebron e Nablus, circondate da nuovi avamposti dei coloni. Le aggressioni si moltiplicano insieme alle minacce e allora diversi gruppi di contadini solidali si sono mossi per andare ad aiutare gli olivicoltori palestinesi. Questo è il racconto di Francesco Franchi della comunità agricola Mondeggi Bene Comune di Firenze, che ci descrive la sensazione di essere circondati, ma anche l’importanza della raccolta dell’olive, dell’importanza dell’olio e del potersi aiutare tra contadini, una pratica che contraddistingue la cultura dei campi mediterranea. “Per noi agricoltori è insopportabile che un momento comunitario e collettivo come la raccolta, non possa avvenire in sicurezza”. L'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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