Approfondimenti

Il voto del Parlamento europeo sul piano munizioni, il caso Regeni, la guerra in Ucraina e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di mercoledì 31 maggio 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il governo vuole impedire alla Corte dei Conti di vigilare sulll’attuazione del Pnrr, sia autonomamente che su richiesta del Parlamento. Le opposizioni protestano. Dopo la vittoria alle amministrative, la destra accelera sugli altri progetti identitari come la maternità surrogata “reato universale”. La guerra in Ucraina. La segretaria del Pd dice che i soldi del Pnrr non possono essere usati per le munizioni in Ucraina, ma domani il Parlamento europeo voterà su questo. Da oggi una speranza in più: è questa la reazione della famiglia di Giulio Regeni dopo il via libera alla pronuncia della Corte Costituzionale.

La Corte dei Conti non dovrà disturbare il governo sul Pnrr

(di Luigi Ambrosio)

Quindi, secondo il governo, la Corte dei Conti non dovrà più disturbare i lavori. Oltre 190 miliardi di euro, il più grande finanziamento pubblico della storia italiana, in proporzione superiore perfino al piano Marshall del dopoguerra, completamente nelle disponibilità del Governo.
Senza controlli. Ma la cosa ancora più grave è che anche il Parlamento è esautorato. Il governo non sta riuscendo a spendere quei soldi. La strada che individua per risolvere il problema è impedire alle commissioni parlamentari e ai giudici contabili di chiedere i controlli sulla spesa.
Questa mattina in una intervista Romano Prodi ha usato parole durissime, come mai in passato. Denunciando l’occupazione di tutta la Rai, Prodi ha parlato di involuzione autoritaria. Non è solo e non è tanto una questione di poltrone. Il fatto è che Meloni, è stato detto, dopo le amministrative ha accelerato, corre come un treno sui temi che sono strategici per il governo. E nel farlo, zittisce le opposizioni. Sull’informazione pubblica, sugli organismi di controllo. Cardini della democrazia.
Nella sua accelerazione, il governo annuncia anche un accordo su una riforma della Costituzione che cambierà radicalmente la Carta introducendo la figura del premier eletto dal popolo. Una riforma così non si fa a maggioranza semplice. E invece, anche su una riforma così, questa è l’intenzione.
Volontà di imporsi sull’onda del consenso che ricordano altre esperienze. L’Ungheria di Orban è un modello per Meloni e Salvini. E’ il modello di quella che è stata definita la democrazia illiberale. Dove il governo non è governo, è padrone.

Domani il Parlamento europeo vota sui soldi del Pnrr per comprare munizioni

(di Anna Bredice)

Elly Schlein ci mette la faccia, come si suol dire, per annunciare due emendamenti contrari all’utilizzo dei soldi del Pnrr per comprare munizioni da mandare in Ucraina. Domani ci sarà il voto alla mini plenaria del Parlamento europeo, lei si è confrontata ieri in un incontro con gli eurodeputati, ma a quanto pare si è fermata ad un passo prima del voto definitivo, nel senso che avrebbe lasciato ai deputati del gruppo di scegliere se votare a favore o astenersi e, a quanto si è saputo, se i due emendamenti verranno bocciati, il gruppo voterà a favore del piano presentato da Bruxelles, che comprenderà anche la parte sulle munizioni. Questo per non spaccare il gruppo dei socialisti e democratici, ma a questo punto potrebbero esserci delle defezioni nella parte italiana, con alcuni europarlamentari che voteranno contro. È uno dei temi più caldi per il Pd di Elly Schlein, riuscire a rimanere nell’equilibrio di continuare a garantire il sostegno a Kiev, ma con un cenno di discontinuità, caldeggiando una trattativa di pace. Per questo su Instagram ha annunciato lei stessa i due emendamenti, ma fermandosi al confine con l’Europarlamento. Una diretta sui social, senza conferenza stampa, attesa non solo sul voto del piano per l’Ucraina, ma per un commento più ampio sulle elezioni. E il messaggio arrivato da Elly Schlein è che continua ad andare per la sua strada, senza cedere sull’agenda del programma e sulla linea politica alle aree più moderate del partito, che le chiedono di cambiare o di prendere insieme a loro le prossime decisioni. Il tono e le parole sono stati chiare, per dare un messaggio di sicurezza, “il cambiamento non è un pranzo di gala”, ha detto, riferendosi al fatto che i successi non possono arrivare nell’immediato, e poi “state comodi, ha aggiunto, stiamo qui per restare. Quindi va avanti, senza modifiche nella sua squadra e nei suoi obiettivi.

Il punto sulla guerra in Ucraina

(di Emanuele Valenti)

Gli attacchi in territorio russo stanno diventando sempre più frequenti.
È stata colpita nuovamente la regione di Belgorod, sopra Kharkiv, e sono state attaccate con droni due raffinerie nel sud del paese. A Belgorod sarebbero rimaste ferite quattro persone. Il governatore regionale ha detto che sono stati evacuati trecento bambini da un villaggio sulla frontiera ucraina, colpito più volte in questi giorni.
Le raffinerie, invece, non lontano dalla costa russa sul Mar Nero, sono a circa 70 chilometri dai principali terminali russi per l’esportazione di petrolio. In un sito è scoppiato un incendio, che sarebber stato spento dopo alcune ore.
Gli attacchi in territorio russo – che siano opera di sabotatori interni o delle forze ucraine, o ancora di una loro combinazione – mostrano da un lato le difficoltà di Mosca, ma dall’altro potrebbero in qualche modo fare il gioco di Putin, che per lungo tempo ha detto di essere stato costretto ad attaccare l’Ucraina perché minacciava la Russia. Bene, ora questo sta avvenendo sul serio. L’entità degli attacchi in Russia non ha comunque nulla a che vedere con quella degli attacchi sul territorio ucraino.
Rispondendo alla pressione degli oltranzisti il portavoce di Putin, Peskov, ha detto che non verrà introdotta la legge marziale. Questo elemento, gli attacchi in Russia, è importante per tutti. “Kyiv ha il diritto di attaccare, quando si tratta di auto-difesa”, ha commentato il portavoce del governo tedesco.

Processo Regeni, il Gup manda gli atti alla Corte Costituzionale

Da oggi una speranza in più. E’ questa la reazione della famiglia di Giulio Regeni dopo il via libera alla pronuncia della Corte Costituzionale. Il Tribunale di Roma infatti ha deciso di inviare alla Consulta la richiesta di poter procedere al processo contro gli agenti dei servizi egiziani accusati dell’omicidio del ricercatore italiano.

(di Alessandro Principe)

Ci sono quattro agenti dei servizi segreti egiziani sotto processo a Roma per la scomparsa e la morte di Giulio Regeni. Ma – nella forma giudiziaria – loro non lo sanno. In realtà lo sanno benissimo ma il governo egiziano – da cui dipendono – non ha mai voluto dare alla procura di Roma i loro recapiti affinché possano ricevere i documenti che li mettono sotto processo e consentono loro di nominare gli avvocati e così via. Senza questo passaggio, per la legge italiana in vigore – la legge Cartabia – il processo non può andare avanti. Ecco cosa sta provando a fare la procura di Roma: chiedere alla Consulta se una norma di garantismo non si trasformi, in casi come questo, in una immunità assoluta, un’impunità di Stato. Il Gup ha detto sì, che ci si può provare, la Consulta si dovrà esprimere. Ecco la speranza in più di cui hanno parlato i genitori di Giulio. Questo è il processo. Poi c’è la politica. Il convitato di pietra è il governo, anzi i governi che da quel 2016 si sono succeduti. Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2, Draghi. E adesso Meloni. Nessuno ha saputo farsi valere con l’autocrate egiziano Al Sisi. Nessuno ha preteso giustizia per un cittadino italiano brutalmente torturato e ucciso da funzionari di un paese straniero. Convenienze, affari, rapporti. Tutto è stato anteposto alla giustizia per Giulio. Fino all’ultimo schiaffo: Meloni e Tajani che rifiutano di deporre davanti al tribunale di Roma come testimoni sui colloqui avuti durante la visita in Egitto nei quali ci sarebbero state – aveva detto la premier – rassicurazioni. Colloqui segreti – è stata la spiegazione – non riferibili senza il consenso dello Stato estero.

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    La mobilitazione di lavoratrici e lavoratori di McDonald’s proseguirà anche nei punti vendita gestiti da affiliati, se l’azienda continuerà a rifiutare di aprire un tavolo di trattativa per il contratto integrativo aziendale. Lo dicono i sindacati, che lo scorso fine settimana hanno indetto uno sciopero di otto ore per i dipendenti diretti di Mc Donald's Italia. L’azienda sostiene che – con il 92% dei ristoranti gestito da affiliati – non sarebbe dovuto un integrativo per i pochi punti vendita diretti, che in Italia sono solo 60 su 740. A Bergamo, dove McDonald’s ne gestisce direttamente due all’interno del centro commerciale Orio Center, con più di 70 dipendenti, hanno aderito in tante e tanti. Daria Locatelli di Filcams CGIL Bergamo ha seguito la vicenda.

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