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La pesante condanna in primo grado per Mimmo Lucano, le manovre per il grande centro e le altre notizie della giornata

Enrico Letta Salvini Meloni ANSA

Il racconto della giornata di giovedì 30 settembre 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. L’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano è stato condannato oggi a 13 anni e 2 mesi di carcere, quasi il doppio rispetto alla richiesta della pubblica accusa. Lo abbiamo intervistato poco ore dopo la lettura della sentenza. I dati ufficiali di Istat sull’occupazione smentiscono la duplice narrazione di Confindustria e del Governo. A Milano si è chiusa oggi la Youth for Climate, l’incontro dei giovani attivisti per il clima, e si è aperta la Precop, l’evento ufficiale coi delegati dei Paesi che prepara la Cop26 che si terrà a Glasgow dal 1° al 12 novembre. Il presidente tunisino Kaïs Saïed ha incaricato Néjla Bouden come nuova prima ministra del paese. La notizia è stata celebrata sui giornali perché Bouden è la prima donna ad essere incaricata premier nel mondo arabo. È ovviamente una buona notizia, ma non bisogna farsi trarre in inganno. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

La pesantissima sentenza per il simbolo dell’accoglienza Mimmo Lucano

Una sentenza pesantissima, che colpisce un uomo diventato simbolo dell’accoglienza. Oggi il tribunale di Locri ha condannato Domenico Lucano a 13 anni e 2 mesi di carcere, per irregolarità legate alla gestione delle persone migranti. L’ex sindaco di Riace è stato giudicato colpevole addirittura di associazione a delinquere, con una pena quasi doppia rispetto a quella chiesta dagli stessi magistrati dell’accusa. La reazione di Lucano ai nostri microfoni nell’intervista di Mattia Guastafierro:

Lucano è stato sindaco di Riace dal 2004 al 2018. La sua amministrazione è diventata un modello di accoglienza dei migranti conosciuto a livello internazionale. Tiziana Barillà è una giornalista calabrese e ha scritto il libro “Mimì capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace”:

Gli avvocati di Lucano hanno annunciato un ricorso contro la sentenza, che è di primo grado. Se da destra Matteo Salvini l’ha usata per provare ad allontanare i suoi guai – “la sinistra in Calabria candida condannati a 13 anni”, ha detto riferendosi alla candidatura di Lucano al consiglio regionale – dai partiti di sinistra e dalle organizzazioni per i diritti umani è arrivata un’ondata di dichiarazioni di tipo opposto. A Milano, fuori dal tribunale, dalle 18 si è riunito un presidio di solidarietà all’ex sindaco. A Riace domani alle 16 ci sarà una manifestazione di sostegno a Lucano. Il direttore di Radio Popolare Sandro Gilioli:


 

Mimmo Lucano dopo la condanna: “Più di quello che darebbero a un assassino”

È una sentenza sproporzionata e incredibile. Com’è possibile?

Questa sentenza non contrasta solo con la mia lealtà e con la mia innocenza, ma anche con i dati delle istruttorie. È abnorme. È come se non avessero tenuto conto del dibattito processuale, soprattutto riguardo al reato di associazione mafiosa. Hanno legato tutto per raggiungere i 13 anni e 2 mesi di reclusione. Più di quello che darebbero a un assassino.

Come se lo spiega?

Non me lo spiego, non riesco.

[LEGGI L’INTERVISTA SUL SITO]

I giovani chiedono un impegno concreto per il clima

Milano si è chiusa oggi la Youth for Climate, l’incontro dei giovani attivisti per il clima, e si è aperta la Precop, l’evento ufficiale coi delegati dei Paesi che prepara la Cop26 che si terrà a Glasgow dal 1° al 12 novembre. Nel loro documento conclusivo, i 400 giovani da tutto il mondo chiedono maggior coinvolgimento a tutti i livelli decisionali e una società più consapevole e più informata. Chiedono però anche un impegno concreto: che l’industria delle fonti fossili sia chiusa entro il 2030 e che governi e privati smettano di finanziaria. Marirosa Iannelli, di Italian Climate Network, ha preparato e partecipato all’evento:



Dai giovani la palla quindi ora passa al leader politici, ma quali sono le tematiche che la precop dovrà affrontare, per fare in modo che la conferenza dell’ONU sul clima di Glasgow non sia un fallimento? Lo abbiamo chiesto a Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club:


 

Da Berlusconi a Letta: le manovre per il grande centro continuano

(di Luigi Ambrosio)

Mesi di guerra a destra per stabilire chi debba essere il capo tra Salvini e Meloni, con tanto di strategie per far fuori Draghi mandandolo a fare il capo dello Stato, liquidati da Berlusconi con una battuta: “Se Draghi va a fare il presidente della Repubblica poi a chi dà l’incarico di fare il nuovo governo? A Salvini? Alla Meloni? Ma dai, non scherziamo”.
Certo, Berlusconi non vuole rinunciare al sogno di fare lui il presidente. Ma sa bene che a 85 anni e coi suoi precedenti, politici e giudiziari, sarà complicato. Il messaggio è un altro e riguarda Draghi, che deve rimanere al centro della politica italiana. E il centro non è il Quirinale. È Palazzo Chigi.
Centro in tutti i sensi. Centro della politica, e centro politico. Da quando Draghi è diventato premier – definizione impropria per la politica italiana ma che a lui si addice alla perfezione dato il potere enorme nelle sue mani rispetto ai partiti che lo sostengono – è iniziata in Italia una dinamica che sta cambiando i partiti, e che vi stiamo raccontando in questi giorni: dai 5 Stelle dove Conte predica le buone maniere, alla Lega dove Salvini perde potere a favore dei governisti in giacca e cravatta, vicenda Morisi a parte, al PD finito nelle mani del moderato Letta. E Letta oggi è stato il primo a fare da sponda a Berlusconi: “In Forza Italia vedo una situazione che si sta evolvendo – ha detto – quando ascolto i ministri di Forza Italia ascolto cose sempre ragionevoli”.
Una dinamica verso il centro, una voglia di moderazione ora che ci sono da gestire la ripresa economica e i soldi europei, con la benedizione delle Istituzioni, della Confindustria, della maggior parte dei sindacati.
Quindi, Salvini e soprattutto Meloni si mettano il cuore in pace, dice Berlusconi che ovviamente intende essere della partita. Per lui, con Forza Italia al tramonto e a 85 anni, questa aria da nuovo centro è l’occasione per restare protagonista e garante, ed è il vero paradosso della faccenda, di una destra presentabile.

100mila occupati in meno dopo la fine del blocco dei licenziamenti

(di Massimo Alberti)

“Con la fine del blocco dei licenziamenti la corsa a licenziare non c’è stata affatto”. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, 23 settembre. “Bene il mercato del lavoro” Daniele Franco, Ministro dell’economia, 29 settembre. “Il quadro economico è di gran lunga migliore di quel che pensavamo”. Mario Draghi, Presidente del Consiglio, 29 settembre. “80 mila occupati in meno ad agosto, secondo mese di calo consecutivo.” Istat, 30 settembre.
Nel giorno in cui la storica Guzzini di Recanati, ormai di proprietà svedese, licenzia 103 lavoratori nonostante gli utili anche in anno di COVID, i dati smentiscono la duplice narrazione confindustriale e governativa riportando alla realtà del lavoro oggi. Tra luglio ed agosto, dopo la fine del blocco dei licenziamenti, ci sono oltre 100mila occupati in meno. In un anno sono cresciuti di 430mila, e ci mancherebbe visto che nel 2020 si usciva dalla pandemia, ma il numero totale degli occupati non è tornato ai livelli pre, al contrario degli indicatori per le imprese: fatturato, ordini, produzione, fiducia. Sui 293mila nuovi contratti, l’80% è a tempo, che significa per la maggior parte meno di sei mesi, fino a un paio di settimane. La precarietà pesa soprattutto sulle donne, dove si concentra il calo di occupate dopo la crescita degli scorsi mesi: forse proprio quei contratti precari ora finiti. C’è da chiedersi dove finiscano i soldi della crescita magnificata dal governo. Non nelle tasche di chi lavora, a vedere i dati. Cosa sta facendo il governo per redistribuire la ricchezza? Il quadro è di gran lunga migliore, dice Draghi, già ma per chi?

I politici che urlano sono passati di moda

(di Luigi Ambrosio)

Sarà stato il declino del sovranismo in occidente, con la caduta di Trump negli Stati Uniti e le conseguenze fallimentari della Brexit. Sarà stata la pandemia che ha determinato una crisi economica tale da indurre i paesi ricchi ad abbandonare l’austerità a favore di un new deal composto di politiche di spesa e investimenti pubblici. Resta il fatto che in Italia i politici che urlano non vanno più di moda. Conte ha preso le redini del Movimento 5 Stelle, quello che era nato sull’onda del vaffa, dell’aprire il Parlamento come una scatola di tonno, della politica urlata e lo sta trasformando secondo il suo stile in una formazione moderata nei toni. [CONTINUA A LEGGERE SUL SITO]

Cosa significa davvero l’incarico di Néjla Bouden come prima ministra della Tunisia

(di Martina Stefanoni)

Il presidente tunisino Kaïs Saïed ha incaricato Néjla Bouden come nuova prima ministra del paese. La notizia è stata celebrata sui giornali perché Bouden è la prima donna ad essere incaricata premier nel mondo arabo. È ovviamente una buona notizia, ma non bisogna farsi trarre in inganno. Da luglio ormai, il presidente ha preso diverse decisioni che l’hanno portato, di fatto, a concentrare su di sé tutti i poteri dello stato. Saied a fine luglio aveva licenziato il primo ministro eletto e sciolto le camere del parlamento. Una decisione che aveva definito temporanea, e che sarebbe dovuta durare un massimo di trenta giorni. Poi i trenta giorni erano stati prolungati “a tempo indeterminato” e Saied aveva dichiarato che lui, e solo lui, aveva il potere di redigere leggi, emanare riforme, e proporre emendamenti costituzionali. E ora, a due mesi da quello che in molti avevano definito un colpo di stato, il presidente tunisino ha nominato – quindi senza consultare il Parlamento (che ancora non esiste) – una nuova prima ministra. Come dicevamo, la scelta di una donna potrebbe essere vista come una scelta progressista, ma non bisogna dimenticare il contesto: il rischio è che questa decisione rappresenti, più che altro, uno specchietto per le allodole, per distrarre l’opinione pubblica dalla piega che silenziosamente sta prendendo l’ultima democrazia sopravvissuta dalle primavere arabe.
Néjla Bouden è nata nel 1958 ed è un’amica della cognata di Saied, con poca – se non nulla – esperienza politica, è una professoressa di geologia al politecnico di Tunisi e non ha nessuna affiliazione politica. E’ altamente probabile, quindi, che la nuova premier altro non sarà che un’emanazione di Saied, con pochissimi poteri se non quelli dell’amministrazione quotidiana.
Secondo la costituzione tunisina, poi, spetta al primo ministro la scelta del governo, ma Saied, la scorsa settimana, si è auto assegnato anche questo ruolo.
La sensazione, quindi, è che questa decisione gli permetta un po’ di respiro: sia da parte della comunità internazionale, che da parte dell’opinione pubblica tunisina che – in maggioranza – lo sostiene, ma sta aspettando da due mesi la presentazione di un piano per uscire dalla crisi. Inutilmente, viene da dire, perché per il momento Saied non sembra aver dato segno di voler tornare sui suoi passi. E la nuova nomina fa ben poco per mettere sotto controllo il suo rapito accentramento di potere.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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