Approfondimenti

Radio Popolare sul caso Farid Adly

Farid Adly è uno storico collaboratore di Radio Popolare: prima come volontario, poi come dipendente a tempo indeterminato dal 1990 e in seguito, dal 1999 (egli ha dato le dimissioni per la sua esigenza personale di trasferirsi in Sicilia), con un contratto di collaborazione rinnovato di anno in anno per 20 anni. La forma contrattuale è la cessione di diritto d’autore, l’unica possibile non essendo Farid Adly giornalista (o per lo meno così a noi risulta, non avendoci mai fornito la fotocopia del tesserino dell’Ordine dei Giornalisti).

Dubitiamo che per 20 anni Farid sia stato scontento del suo contratto che, nonostante le crisi economiche che la radio ed i suoi dipendenti hanno affrontato, non ha mai visto nessuna richiesta di riduzione (i dipendenti hanno affrontato 5 anni di casse integrazioni al 20% e 23% dei salari ed i collaboratori hanno tutti accettato di sacrificare anche il 30% dei loro compensi per superare i momenti difficili).

L’anno scorso sempre per questioni sue personali (Farid stesso accenna a esigenze di “tutela dei suoi figli”) ci chiede di modificare l’assetto contrattuale con lui in essere da vent’anni, dapprima proponendo una formula contrattuale assolutamente inaccettabile cui ha fatto seguito una seconda proposta, anch’essa impercorribile.

Abbiamo spiegato che Radio Popolare gli avrebbe dato una mano (come sempre ha fatto con tutti coloro che ne hanno avuto bisogno) restando nel campo della legalità e che non ci saremmo spinti in territori dove fossero necessari i “tecnicismi tra commercialisti” che lasciamo volentieri ad altre aziende.

Forme di irregolarità contrattuale – e men che meno di piena illiceità – non potranno mai trovarci concordi.

A questo punto è partita la gogna dei social e rifiutandoci di sottostare a questa formula ricattatoria (“o si fa come dico io o sarà il caos”) sono partite le accuse di “licenziamento politico”, che mai si è profilato e dal quale lo stesso Cdr in una nota interna ha preso le distanze. Accuse false e gravemente lesive dell’immagine della radio.

Inoltre il termine “vertenza” è improprio dato che non vediamo sindacati (con i quali abbiamo trattative aperte o i loro rappresentanti in sede) che chiedono di dar corso a ciò che ci chiede il collaboratore Adly.

Se Radio Popolare avesse accettato il ricatto di Farid ci sarebbe stata lo stesso questa buriana social? E a quanti altri ricatti avremmo poi dovuto sottostare?

In un ultimo incontro abbiamo ribadito a Farid che il suo contratto (con un corrispettivo economico incrementato proprio lo scorso anno) era ancora a disposizione, ma le falsità che lui ha permesso che circolassero (e da lui direttamente ribadite ieri) dovevano essere smentite altrimenti sarebbe caduta ogni possibilità di rinnovo. E abbiamo chiesto che questa smentita venisse concordata con il Presidente della Cooperativa Radio Popolare perché più gravi sono le accuse, se fatte pubblicamente da un cooperante.

Dopo una breve telefonata con il Presidente della Cooperativa che ha ribadito le condizioni necessarie per il ripristino del vecchio contratto, Farid ha indetto la sua conferenza stampa e ribadito falsità e ricatti.

Nessun soggetto può pensare di ricattare Radio Popolare usando social e mailing list e danneggiare così l’immagine della Radio e di tutte le donne e gli uomini che quotidianamente si impegnano in questo progetto editoriale unico.

Infine una nota sulla nostra democrazia interna.

Il nostro sistema di pesi e contrappesi è tale che non esiste una formula più “di sinistra”.

Tutte le nostre cariche sono elettive e passano dalla discussione e dal voto dell’assemblea della Cooperativa che ogni tre anni rinnova le sue cariche ed i diversi ruoli di governance.

Tutti a Radio Popolare abbiamo compensi inferiori a quelli che avremmo in altri luoghi ma sono in equilibrio rispetto alle diverse responsabilità che vengono ricoperte e direzione e amministrazione sono equiparate.

Questa comunicazione è condivisa da: Amministratrice Delegata, Presidente di Errepi SpA, Presidente della Cooperativa Radio Popolare e dalla Reggenza Editoriale

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    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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    Nubi sull'università italiana: si moltiplicano le adesioni alle università private telematiche, mentre alle statali il governo Meloni taglia i fondi. Ospite l'economista Gianfranco Viesti. E poi, il caso Raiplay Sound, la censura nei confronti di un podcast – prima autorizzato e poi annullato - sulla storia di Margherita Cagol, una delle fondatrici delle Brigate rosse. A Pubblica Nicola Attadio, uno degli autori insieme al giornalista Paolo Morando e al musicista Matteo Portelli.

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