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L’anno orribile per il diritto all’aborto

Diritto Aborto ANSA

Da alcuni anni e in ogni parte del mondo, i tentativi di controllare i corpi delle donne si stanno facendo sempre più insistenti e diffusi. La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha ribaltato la “Roe v. Wade”, e quindi di fatto negato il riconoscimento a livello federale del diritto all’aborto, è solo il più recente di questi tentativi.

E se appunto gli Stati Uniti, baluardo della democrazia occidentale, hanno permesso a 6 giudici repubblicani di negare la possibilità delle donne di scegliere per se stesse e farlo in modo sicuro, non possiamo dire che nel resto del mondo le cose vadano meglio.

In diversi Paesi, come l’Honduras, il Nicaragua, l’Iran, l’aborto è del tutto proibito. In altri casi, invece, come quello del Giappone, dove a breve dovrebbe venir legalizzata la pillola abortiva ma dove per procedere all’interruzione di gravidanza viene fatta esplicita richiesta del consenso del partner, l’aborto è consentito ma solo per ragioni economiche o sanitarie. Anche in Cina e in India è possibile accedere all’aborto per gravidanze non oltre le 20 settimane e, in casi come lo stupro o l’incesto, le donne possono abortire entro le 24 settimane.

Ma per trovare situazioni analoghe possiamo tranquillamente anche rimanere in Europa, non serve andare lontano. A Malta, per esempio, l’interruzione di gravidanza è vietata senza eccezioni. La storia della turista statunitense Andrea Prudente, a cui è stato proibito in ogni modo di abortire, pur avendo avuto un’emorragia e il distacco della placenta mentre era in vacanza a La Valletta, ha fatto il giro del mondo.

In Polonia, invece, a partire dal 27 gennaio 2021 il tribunale costituzionale ha reso impossibile l’accesso all’aborto in quasi tutte le circostanze, comprese le gravi malformazioni del feto. Per questo anche molte donne ucraine violentate dai soldati russi e fuggite in Polonia, si sono viste negare la possibilità di abortire.

In Italia, nonostante l’aborto sia legalizzato dalla legge 194, l’obiezione di struttura e quella di coscienza non permettono alle donne che vivono in alcune regioni di accedere con facilità all’interruzione di gravidanza. Nel nostro Paese solo il 60% degli ospedali con reparto di ostetricia ha un servizio IVG, mentre sono 31 le strutture sanitarie con il 100% del personale medico che si dichiara obiettore.

La scelta della Corte Suprema degli Stati Uniti avrà un impatto devastante nel Paese, soprattutto sulla vita delle donne che appartengono alle minoranze: per ragioni economiche non potranno intraprendere lunghi viaggi negli Stati, americani e non, dove l’aborto sicuro rimarrà garantito e ricorreranno a metodi alternativi pericolosi, in molti casi mortali. Perché, come sottolineano le attiviste pro-choice e pro-aborto, non si può vietare l’interruzione di gravidanza perché chi ne avrà bisogno proverà sempre ad abortire con qualunque mezzo. Quello che invece viene limitato o vietato è l’accesso all’aborto sicuro.

E quindi la sentenza del 24 giugno potrebbe anche essere determinante per le future decisioni in altri Paesi del mondo che potrebbero fare marcia indietro sul diritto delle donne di scegliere il proprio destino. La lezione che ci insegna quanto sta accadendo è che i diritti conquistati in passato non devono mai essere dati per scontati.

Ci sarà sempre chi vorrà negare alle donne il diritto di abortire, piuttosto che promuovere l’educazione sessuale e affettiva, la contraccezione gratuita, garantire alle donne lavoro e salari dignitosi, proteggere la vita di quante subiscono violenza e che nel mondo muoiono ogni anno. Oggi pretendere che tutte abbiano la forza, i mezzi e il desiderio di portare a termine una gravidanza o crescere un figlio è negare la realtà e se la maternità può essere considerato un dato biologico, essere madre resta e resterà sempre una scelta, che i governi lo vogliano o meno.

di Eleonora Panseri

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