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La valle accogliente

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“Immagina un condominio, in una qualsiasi città, in cui si installano 30 famiglie pachistane. Quello diventa il condominio Pachistan, è già un ghetto”. L’immagine che usa Carlo Cominelli della cooperativa sociale K-Pax è banale, e la conseguenza è scontata. Eppure la nascita della “paura” del migrante, nelle nostre città, parte proprio dalla mancata considerazione di questa semplice intuizione. Alloggiare decine di profughi in un’unica struttura, privata o pubblica, costringe il quartiere che la ospita a confrontarsi con una nuova situazione, e permette a politici e razzisti di far leva sulle, infondate ma istintive, paure della gente per creare uno stigma.

Ci sono molte alternative a questa soluzione, riassumibili nell’idea di accoglienza diffusa: trovare ai richiedenti asilo tanti piccoli alloggi da 4-5 persone, distribuiti sul territorio. Questo tipo di inserimento facilita la relazione con i vicini di casa e non crea disagio.

Non è un’ipotesi campata per aria: questi progetti sono realtà in tanti paesini italiani, e la Val Camonica, tra la province di Brescia e Bergamo, è un bell’esempio di quanto possano funzionare.

La cooperativa K-Pax organizza l’accoglienza migranti in collaborazione con lo SPRAR, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ma lavora anche nella città di Brescia per le situazioni di emergenza, ed ha sviluppato un progetto per i migranti con disagio mentale. Sta inoltre gestendo un albergo a Breno, impegnando nella struttura alcuni richiedenti asilo come lavoratori. Attualmente coordina 27 appartamenti in un territorio ampio 150 chilometri, la maggior parte in paesi di piccole dimensioni, sotto i 2mila abitanti.

“Esercitiamo l’accoglienza integrata, cioè con dei servizi supplementari rispetto a quelli previsti dagli accordi prefettizi”, spiega Carlo “oltre alla consulenza legale forniamo formazione al lavoro, tirocini, il servizio di ascolto e sostegno psicologico, distribuiamo il pocket money. Preferiamo dare i soldi completamente in mano a loro, ma chiediamo loro di rendicontarci tutto”.

Non è finita qui: l’accoglienza diffusa garantisce una serie di servizi, che di fatto le grandi strutture, molto più costose, non riescono a fornire. “I piccoli gruppi sono seguiti da personale educativo” continua Carlo “il rapporto è di un educatore territoriale ogni 10 persone, che li aiuta nella gestione dell’appartamento, nelle relazioni tra loro, e soprattutto organizza incontri con il territorio, al fine di favorire l’integrazione. Questo non è scritto nei bandi prefettizi, ma è patrimonio di chi vuole fare un certo tipo di accoglienza”.

La maggior parte degli accolti resta in Italia il tempo necessario per avere i propri documenti, e poi continua il suo viaggio, ma in 11 anni di progetti di accoglienza gli esempio di buona integrazione non mancano. L’esperienza della “valle accogliente” è positiva sotto tutti i punti di vista, come racconta anche Paolo Erba, sindaco di Malegno, piccolo comune camuno che ospita 2 appartamenti di migranti.

“La nostra idea era che il comune facesse da tramite politico a questo progetto, ma che poi a prendersene carico fosse il privato sociale. Credo che ognuno debba fare il suo lavoro; a noi spetta non tanto quello di operare sul campo, ma quello di creare tutte le condizioni perché questo possa avvenire con una ricaduta territoriale sensata. È anche un progetto educativo di comunità: l’idea che lavori con una comunità per renderla il più possibile accogliente”.

I due appartamenti sono attivi da 4 anni, e non si sono registrati veri problemi di convivenza, anche grazie alla presenza dell’educatore sociale che contribuisce a favorire la comunicazione tra i richiedenti asilo ospiti e la comunità. “Se potessi essere il ministro per un attimo, vorrei che questo diventasse un servizio sociale come gli altri”, riprende il sindaco, “Sarebbe bello riuscire a dire che ormai questo meccanismo non è emergenziale, perché questi flussi migratori continueranno per i prossimi decenni. Strutturiamo un servizio sociale che ci consenta di controllare bene chi lo svolge, che lo svolga in maniera seria, rendicontabile, e con i fondi europei creiamo progetti che aumentino anche l’occupazione per la nostra gente. Mi chiedo cosa sia più leghista, se questa mia proposta o dire che devono stare a casa loro!”.

Ascolta l’intervista di Sara Milanese al sindaco di Malegno Paolo Erba
sindaco_ malegno per sito

Ascolta la puntata di Welcome dedicata alla Val Camonica

 

Per la foto dell’articolo si ringrazia Livio Senigalliesi.

  • Autore articolo
    Sara Milanese
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    “Ho sempre pensato che quella di Aldo, Giovanni e Giacomo fosse una favola. La loro vita artistica, che io ho seguito come assistente alla regia nei film di Massimo Venier, è sempre stata caratterizzata da rifiuti e invece hanno fatto di tutto e con grande successo, grazie alla loro determinazione”. E’ per questo motivo che Sophie Chiarello, già regista di “Il Cerchio”, ha voluto esplorare le vite del trio a partire dalla loro infanzia. “Erano tre ragazzini un po' 'sfigati' – come si autodefiniscono - che per provenienza sociale avevano un destino già scritto”. Sono loro a raccontarsi, a sfogliare le foto dell’infanzia e a percorrere la Milano di una volta, proletaria e in bianco e nero. Un ritratto personale, divertente, con le voci di chi li ha accompagnati in tutti questi anni da Paolo Rossi, Marina Massironi, alla Gialappa’s Band. “Attitudini: nessuna” è stato realizzato in diversi momenti con un percorso frammentato che punteggia la carriera artistica del trio tra cabaret, teatro, cinema e televisione. Ascolta l'intervista di Barbara Sorrentini a Sophie Chiarello, regista di “Attitudini: nessuna”.

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