
Come ritorsione per avere ospitato il vertice dei capi di Stato dei paesi Brics a Rio de Janeiro, ma soprattutto per tentare di aiutare il suo amico Jair Bolsonaro, Donald Trump ha annunciato dazi del 50% su tutti i prodotti brasiliani esportati negli USA. La risposta secca del presidente Lula, dopo avere ricordato che negli ultimi quindici anni il saldo dello scambio commerciale tra i due Paesi più grandi del continente è stato di quasi mezzo miliardo a favore degli USA, è che il Brasile risponderà “con reciprocità”, cioè applicherà gli stesi dazi sulle merci USA. Per quanto riguarda Bolsonaro, sotto processo per associazione a delinquere armata, tentativo di golpe e deterioro del patrimonio pubblico, Lula ha ricordato che l’ex presidente non è vittima di una “caccia alle streghe” come dice Trump, ma che viene processato dalla giustizia di un Paese sovrano con istituzioni indipendenti che non si fa tutelare da nessuno”. Nella notte è stato convocato l’ambasciatore statunitense a Brasilia per la restituzione al mittente della lettera inviata dal presidente degli Stati Uniti, nella quale si minacciavano i dazi, perché ritenuta “offensiva” e contenente “falsità'”.
La mossa di Trump ha messo in forte imbarazzo la destra brasiliana, che aveva festeggiato la sua elezione alla Casa Bianca ma che ora, colpendo il Brasile, colpisce indirettamente lo stesso Bolsonaro nel paese più nazionalista del Sud America. La realtà è che i dazi imposti dagli USA possono fare relativamente danno alla seconda economia americana, in quanto il principale partner è la Cina e il secondo l’Unione Europea che, soprattutto nel primo caso, trarranno un forte beneficio dalla guerra tra Washington e Brasilia. Proprio ieri è stato firmato un accordo tra Cina e Brasile per costruire una ferrovia lunga tre mila chilometri, dall’Atlantico al Pacifico, per accorciare tempi e costi delle merci brasiliane in transito verso l’Asia. Un altro tassello della diplomazia a tutto campo di Pechino contro la quale gli Stati Uniti reagiscono con l’arroganza di un’impero che però ruggisce ma non morde, soprattutto in Sud America.