Approfondimenti

Earl “Guitar” Williams, la chitarra di Birmingham

Una casetta di mattoni rossi con il tetto rosa, nel cuore del quartiere nero di Bessemer (cittadina alle porte di Birmingham) ha due insegne alle pareti: Intensive Care Beauty Salon e Music Makers recording studio. Sono arrivata nel mondo al di là del palcoscenico di Earl “Guitar” Williams, 66 anni, parrucchiere per signora, abile chitarrista, cantante blues e carismatico showman.

Earl “Guitar” apre la porta sorridente, come al solito.
«Ti presento la signora “adesso-perdo-la-pazienza”» mi dice indicandomi una bambola, con una cuffia di plastica in testa, poggiata sul tavolino della reception.
«È da tanto che aspetta d’esser servita. Un giorno lo sarà, forse…». Ride.

Il mondo privato di Earl “Guitar” è un eccentrico salone dai mille colori, come la personalità di questo artista, che nel 2014 è stato introdotto nella Alabama Blues Hall of Fame (un’organizzazione che onora gli artisti che hanno contribuito al diffondersi del blues dell’Alabama).

Earl “Guitar” è considerato da pubblico ed esperti come una delle migliori chitarre della zona di Birmingham. Riesce infatti a tirar fuori da chitarre elettriche e da cigar box guitars (le sue preferite) suoni coinvolgenti, unici che ben accompagnano la voce profonda e calda dell’artista e le canzoni blues che compone.

Nella sala d’attesa chitarra, batteria a pedale e amplificatore fanno bella mostra di sé, perché, mi spiega, tante clienti sono curiose di ascoltare la sua musica. Prima il taglio e poi il blues, dunque. Le pareti sono decorate da quadri colorati con ritratti di donne nere e paesaggi del Sud. «È il tocco di mia moglie», mi spiega, «una donna eccezionale con la quale sono sposato da 38 anni. Ogni uomo dovrebbe avere una donna come lei».

Earl ha avuto due figli maschi dalla moglie e una figlia da un’altra donna quando era ancora adolescente. Nel 2010 uno dei figli è stato ucciso da dei ladri entrati in casa. Aveva 22 anni. «È stato un brutto momento della nostra vita, ma assieme siamo riusciti a superarlo». Prende poi in mano la chitarra suona e continua a raccontare la sua storia.

«Mi sono innamorato della chitarra da bambino. Nei saloni da barbiere nel centro di Bessemer ascoltavo incantato gli uomini anziani che suonavano le chitarre e mi sembrava incredibile che suoni così belli uscissero da quegli strumenti. In TV ascoltavo poi Elvis, Ricky Nelson e Roy Rogers. Adoravo la loro musica, soprattutto quella di Elvis. Ogni tanto mostravano anche i neri (cosa rara al tempo) come Freddie King e B. B. King. Ascoltavo questi artisti e volevo riprodurre la loro musica. La nonna aveva un pianoforte in casa, ma suonarlo non mi veniva naturale. La chitarra è sempre stata il mio strumento».

A casa Williams i soldi erano però pochi. Earl è infatti il sesto di nove figli.

«Mio padre era un operaio e i soldi per comprarmi la chitarra non ce li aveva. Avevo però sentito che [il chitarrista e cantante blues di Chicago] Bo Didley si costruiva le chitarre con le scatole dei sigari e così ho fatto anch’io».

Earl legò una scatola di sigari King Edwards a un manico di scopa. Le corde erano dei semplici fili da pesca. Con questo strumento improvvisato suonò Stand by me. «È stata la mia prima canzone. Avevo circa sette anni».

«Vivevamo a Bessemer dall’altra parte dei binari. Un canale, la ferrovia e una strada ci separavano dal quartiere dei bianchi. Un posto dove vivevano tanti uomini del ku klux klan. Mio padre attraversava la strada ogniqualvolta ne vedeva uno e evitava di trovarsi da quelle parti dopo il tramonto perché a quell’ora molti neri furono impiccati, o massacrati di botte. Per loro eravamo come animali».

La casa dei Williams si trovava però a pochi isolati da quella di Mr. Henry Gipson, musicista blues e operaio, noto come Mr. Gip. Nel 1952 Mr. Gip aprì le porte di un capanno in fondo al suo cortile a chiunque volesse suonare il blues. Nasceva così il Gip’s Place, un juke joint che funziona tutt’oggi, un posto dove i neri potevano suonare la loro musica lontano dalle orecchie del ku klux klan e sentirsi liberi.

Mr. Gip falciava per i bambini del vicinato il grande spazio vicino alla sua casa perché potessero giocare a baseball. Earl era però più interessato alla musica che Mr. Gip e i suoi amici suonavano che al baseball.

«Il backyard di Mr. Gip era sempre pieno di musicisti. Suonavano il blues. Mr. Gip poi mi faceva usare le chitarre. Al tempo la musica che suonavano mi sembrava però musica da vecchi, io volevo suonare le canzoni della top ten. Un giorno imparai una nuova canzone e andai da Mr. Gip a fargliela sentire. Mi disse: “Wow, hai imparato! Suoni bene, ma devi imparare a suonare il blues. Il blues non muore mai.” Tutte le volte che facevo sentire ai grandi quello che avevo imparato mi dicevano: “Suoni il blues? Se non lo suoni, metti giù la chitarra”. Un giorno Mr. Gip mi disse che quando gli uomini invecchiavano si ammalavano di blues e che sarebbe successo anche a me».

A 12 anni Earl trovò lavoro come lustrascarpe nel retro di un negozio da barbiere per bianchi. Guadagnava 20 centesimi a scarpa e qualche decino di mancia. Riuscì così a racimolare i 13 dollari necessari per comprarsi la prima chitarra in un banco dei pegni. A 13 anni iniziò a suonare in una band chiamata The Corruptors. Di blues “s’ammalò” a 14 anni per la gioia di Mr. Gip.

Curtis Files, un noto bluesman della zona di Birmingham, lo sentì suonare e lo invitò a far parte della sua band.

«È stato un buon maestro mi insegnò diversi trucchi e passaggi difficili. La storia di Curtis Files è simile a quella di Mr. Gip: fu anche lui aggredito dagli uomini del klan che gli accoltellarono un braccio e perse il controllo di una mano. Dovette penare parecchio per riprendere a suonare».

Curtis Files è morto nel 2010 e nel 2014 è stato inserito nell’Alabama Blues Hall of Fame. Con questo artista Earl suonava nei juke joint dell’Alabama rurale, sottofondo ideale per qualsiasi blues.

«Andavamo spesso a Uniontown [nella Black Belt] in un club chiamato Congo. Per strada un giorno ci fermammo in una piccola cittadina. Nel Palazzo di giustizia di questo posto avevano impiccato un giovane nero. L’avevano ucciso senza motivo ai tempi della segregazione. Il giovane, ci avevano detto, appariva da una delle finestre del palazzo e vedemmo anche noi la sua faccia triste che guardava da quella finestra. Le autorità in seguito si stancarono dei pellegrinaggi di curiosi e smontarono la finestra. Il giovane non comparve più».

Il Congo apriva il sabato, il giorno libero dei raccoglitori di cotone.

«Era un posto incredibile. Il pavimento era di nudo cemento. Non c’era una sedia. La gente stava in piedi e ballava. Ricordo il primo giorno che misi piede lì dentro. Curtis mi presentò al pubblico. Disse che avevo 15 anni. A un certo punto un ragazzino urlò: “È mio fratello Richard!”. Aveva qualche anno più di me. Gli dissi che si sbagliava, ma lui era sicuro: ero il suo Richard, avevo 27 anni e mi ero arruolato nell’esercito. “Richard portami con te” mi diceva, “Non voglio più raccogliere il cotone”. Avevo delle belle scarpe ai piedi (ride) e il ragazzino, che era scalzo, pensava fossi ricco. “Richard, le compri anche a me le scarpe?” mi diceva. Chiamò la sorella e poi la madre e mi trovai con tre persone davanti che piangevano e mi chiamavano Richard. Niente male come debutto, pensai. Non sapevo cosa fare. Curtis mi disse che erano delle brave persone e non volevano farmi del male, di accettare, insomma, la situazione. E così feci. Sono venuti a Bessemer a conoscere la mia famiglia. Per loro sono però rimasto Richard. Quella è tuttora la mia famiglia estesa».

Con Curtis, Earl “Guitar” iniziò a farsi notare. I migliori club blues di Birmingham lo invitavano a suonare. Negli anni Settanta creò la Afro Blues band, che in seguito si chiamerà Kalu. Earl cuciva e disegnava i costumi della band, abiti sgargianti che imitavano gli abiti da scena di Elvis Presley. Oltre a suonare lavorava come operaio nell’acciaieria US Steel. La band fu invitata a esibirsi regolarmente nel locale di “Tall” Paul, un noto DJ del tempo.

Nel 1963, Martin Luther King arrivò a Birmingham e iniziarono le proteste per la conquista dei diritti civili. Oltre agli adulti in strada scesero anche i bambini e gli adolescenti. “Tall” Paul attraverso in microfoni di radio Wenn-AM, comunicava in codice ai giovani l’ora e il posto dove si sarebbe svolta la manifestazione di protesta.
«Il locale di “Tall” Paul era il terreno dei Commodores. Erano dei veri professionisti e nel loro show ci doveva essere un’altra band. Noi eravamo l’altra band e dividevamo il palco con loro. Ho imparato tantissimo dai Commodores», racconta.
Il sassofonista dei Kalu, Lee Mitchell si trasferì poi a Dallas per suonare con Johnnie Taylor, un vocalista famoso a livello nazionale. Earl “Guitar” prese un sabbatico dall’acciaieria e i Kalu divennero la band di Taylor.
Quando qualche anno dopo i Kalu lasciarono Johnnie Taylor, Earl “Guitar” tornò a Birmingham e riprese a lavorare per la US Steel.

Ben presto iniziò a suonare con la band di Cleve Eaton, un bassista jazz che ha suonato con Ramsey Lewis, Count Basie, Ella Fitzgerald e molti altri. Grazie a Cleve Eaton, Earl “Guitar” imparò a leggere la musica e perfezionò la sua abilità nel suonare l’armonica.

«Iniziai anche a scrivere la mia musica. Uno dei miei primi blues originali è ambientato nella US Steel. Il mio capo mi beccò un giorno a dormire al lavoro. Per non essere licenziato composi un blues. Lo suonai accompagnato da chitarra e armonica in modo che il capo lo sentisse. Funzionò. Si mise a ridere e me la fece passare».

Il dipartimento della US Steel dove lavorava chiuse e, come compenso, Earl “Guitar” ricevette due anni di college pagato. Studiò così per diventare parrucchiere. Agli inizi degli anni Ottanta, i Kalu diventarono la band di Benny Latimore, pianista e cantante blues e R&B noto a livello nazionale. Per circa quattro anni Earl “Guitar” viaggiò con questo artista.
«Abbiamo diviso il palcoscenico con B. B. King, Bobby Bland e tanti grandi del blues è stata una bella esperienza». Oltre a suonare la chitarra, Earl “Guitar” divenne il parrucchiere preferito di Latimore e della band.

Nel 1985 Earl “Guitar” decise di prendere una pausa dal palcoscenico. Tornò a Bessemer e aprì il negozio da parrucchiere.
«Ho suonato l’ultima volta con Latimore ad Atlanta. Gli dissi che volevo provare ad avere la mia attività e vedere se le cose funzionavano. Non tornai a suonare con Latimore perché con il mio negozio guadagnavo di più».
Earl appese la chitarra per circa otto anni per dedicarsi anima e corpo al negozio.
Riiniziò cantando i Gospel e poi ritornò a suonare il blues nel posto in cui tutto era iniziato: al Gip’s Place.

«Mi appassionai alle chitarre costruite dalle scatole dei sigari, come la mia prima chitarra. Me le faccio costruire da John Lowe di Memphis. Ne ho ormai sei. Amo il suono che producono questi strumenti».

Oggi Earl “Guitar” Williams suona regolarmente al Gip’s Place, alla Daniel Day Gallery, una galleria d’arte dove si suona il blues, e in diversi locali di Birmingham e dell’Alabama. È ospite regolare del Bob Sykes BBQ & Blues Festival di Bessemer, del Freedom Creek Festival, iniziato da Willie King, e del Cigar Box Festival di Huntsville, in Alabama.
Earl ha la sua band chiamata Earl “Guitar” Williams and the Juke Band.

Nel 2011 ha inciso il CD Can of Alligator, nove tracce quasi tutte originali. Earl sta lavorando a un CD che sarà composto da pezzi blues e jazz. «Vorrei avere artisti come Cleve Eaton e Bo Berry nel nuovo album».

Bo Berry è un trombettista jazz molto noto a Birmingham. Berry negli anni Settanta è stato membro dei Commodores.

Qui potete ascoltare la musica di Earl “Guitar” Williams.

Earl “Guitar” Williams
Foto di Roger Stephenson

Per leggere storie di blues e del profondo Sud americano, visitate il blog di Francesca Mereu o il sito ufficiale della scrittrice.

  • Autore articolo
    Francesca Mereu
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