Approfondimenti

Conflitti di interessi e sblocca lobby

L’emendamento sblocca lobby sono io!

Se Renzi avesse fatto questa dichiarazione, ed è mancato poco che succedesse, avrebbe dato un suggello perfetto alla sua giornata di ieri. Alla direzione del Pd, infatti, il capo del governo ha difeso come più non poteva il merito del famigerato emendamento Guidi-Boschi. Si tratta di quel pezzetto di Legge di stabilità fatto approvare dal governo nottetempo nel dicembre del 2014. Un testo che “finisce per riconoscere al governo e al ministero dello sviluppo – ha scritto il gip di Potenza nell’ordinanza della settimana scorsa – il potere di concedere autorizzazioni alle società del settore petrolifero per tutte quelle opere che possono agevolare il trasporto e lo stoccaggio del materiale”. Il tutto bypassando le Regioni.

Il mio compito è sbloccare le opere e se è reato farlo, lo sto commettendo”, ha detto ieri Renzi nella sua arringa pro-emendamento. “Lo scandalo non è l’emendamento, ma che per 27 anni sono state buttate via delle occasioni”, ha aggiunto il capo del governo alludendo alle responsabilità di chi nel corso degli anni avrebbe fatto da tappo alle presunte possibilità di sviluppo.

Tutt’altra la ricostruzione del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Ieri sera, dopo aver partecipato alla riunione della direzione Pd, Emiliano ha ribadito il concetto espresso qualche ora prima davanti ai vertici del suo partito: “Renzi – ha sentenziato Emiliano – non e’ riuscito a dare alcuna giustificazione dello scippo che l’emendamento Guidi ha determinato in danno della Puglia autorizzando l’oleodotto Tempa Rossa senza consentire alla Regione di trattare con i petrolieri le compensazioni ambientali per la citta’ di Taranto e, dunque, consentendo a questi ultimi di risparmiare decine di milioni di euro”. Il presidente della Puglia ha detto che la sua regione era favorevole al progetto. Emiliano chiedeva soltanto che alla Regione Puglia fossero lasciati i poteri di negoziare le “compensazioni ambientali con i petrolieri”. Cosa che l’emendamento Guidi-Boschi, in questo senso “sblocca lobby”, di fatto impediva.

Da qui comincia la puntata di oggi di Memos. Perché Renzi si è speso così tanto, non solo ieri ma anche nei giorni scorsi, nel riconoscere l’assoluta paternità di quell’emendamento?

Bruno Simili, vicedirettore della rivista “Il Mulino”, è uno degli ospiti di Memos

Bruno Simili

«Renzi – risponde Simili – sta tenendo una linea da quando è capo del governo, a costo di spaccare il proprio partito, di estrema coerenza con l’idea di sbloccare l’Italia ritenuta totalmente ferma, vecchia, retrograda, basata su pregiudizi e stereotipi. Il problema è che più va avanti in questa coerenza assoluta e più – in alcuni casi, se si vanno a vedere le singole questioni – rischia di contraddirsi. E’ quanto sta accadendo anche nel caso del cosiddetto “sblocca-Tempa Rossa” o “sblocca lobby”, come lo avete chiamato voi. Naturalmente – prosegue Bruno Simili – sbloccare qualcosa che è impantanato da anni può essere percepito come positivo. Ma questo tipo di comunicazione politica, per certi versi molto efficace, rischia però di nascondere la sostanza. E la sostanza, in questo caso, mi pare che sia molto importante: riguarda il futuro energetico di questo paese e il tipo di opere che si intende sostenere, sovvenzionare, per il mantenimento energetico. La contraddizione è abbastanza evidente, ed è stata sottolineata da più parti. Ad esempio, da chi è per il sì nel referendum del 17 aprile. Da un lato ci sono gli impegni presi dal governo italiano nella Conferenza di Pargi (COP21), dall’altro le singole azioni politiche, le leggi, del governo».

Ospite di Memos, oggi, anche Andrea Pertici, costituzionalista dell’Università di Pisa. L’energica difesa dell’emendamento “sblocca lobby” fatta da Renzi sembra puntare alla rimozione del tema del conflitto di interessi. Renzi si è limitato a definire “inopportuna” la telefonata di Guidi al suo compagno Gianluca Gemelli, rimuovendo ogni considerazione sul conflitto di interessi potenzialmente in capo all’ex ministra dello sviluppo.

Professor Pertici, non ci fosse stata quella telefonata, sarebbe stato tutto in regola in termini di conflitto di interesse?

Andrea Pertici
Andrea Pertici

«Direi quasi il contrario. La telefonata, infatti, ha consentito di far emergere il conflitto di interessi, nel caso di specie. Tra l’altro, del conflitto di interessi della ministra Guidi si è parlato sin dal suo insediamento. Certamente, il caso di specie lo definirei quasi paradigmatico, e cioè di una persona che dalla propria posizione pubblica di ministro si interessa degli interessi del proprio partner. Occorrerebbe una legge di prevenzione del conflitto di interesse».

Ma una legge sul conflitto di interessi c’è. La legge Frattini del 2004. Perché non ha funzionato?

«Il problema della legge Frattini è la sua inefficacia. E’ stata subito messa in evidenza dalla Commissione di Venezia, un organo del Consiglio d’Europa, che con un parere nel 2005 sottolineò la totale inefficacia della legge Frattini. Si tratta di una legge che può far risaltare il conflitto di interessi, ma che è incapace di prevenirlo. Ad esempio, attraverso l’impossibilità per alcune persone di ricoprire alcuni incarichi ministeriali. E’ chiaro che se uno fosse l’amministratore delegato di un’azienda automobilistica difficilmente potrebbe fare il ministro dello sviluppo economico. Oppure, quando si tratta di interessi patrimoniali rilevanti, per esempio si dovrebbe ricorrere al “blind trust”, uno strumento che tutti gli esperti sostengono essere praticabilissimo. Il blind trust riesce a separare meglio gli interessi pubblici da quelli privati. Di tutto questo, però, noi non abbiamo nulla in Italia. Non abbiamo una legge preventiva».

Quindi, una legge sul conflitto di interessi deve essere preventiva, non c’entra nulla con singoli comportamenti illeciti rilevanti?

«Il conflitto di interessi – risponde il costituzionalista Pertici – non ha nulla a che fare con l’illecito, e tanto meno con l’illecito penale. Quando c’è un illecito, e tanto più un illecito penale, esistono già le fattispecie che sanzionano i comportamenti. Per esempio, quando il presidente del consiglio o la ministra, in questi giorni hanno detto che non era stato commesso alcunché di male, che il provvedimento era giusto, ciò non ha nulla a che fare con il problema in sé del conflitto di interessi. Il problema in sé riguarda il fatto che un’istituzione pubblica sia coinvolta in “affari privati”. Ciò crea la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche: ed è questo che una normativa sul conflitto di interessi vuole evitare. Ora, la legge Frattini non ci riesce. La proposta in discussione in Parlamento, approvata dalla Camera (a fine febbraio scorso solo dai gruppi di maggioranza, ndr), è sicuramente un progetto migliorativo perché tiene la linea fondamentale della prevenzione. Purtroppo, tale progetto non riesce a portare fino in fondo la linea della prevenzione. In un punto in particolare, e cioè la separazione degli interessi privati da quelli pubblici. Si prevede, in questo progetto, una ammnistrazione fiduciaria nell’ambito della quale però il titolare dell’incarico continua a conoscere i propri interessi. Ad esempio: anche se non li amministro più, ma so che ho grandi interessi nelle assicurazioni, allora spingerò nella mia funzione pubblica verso la previdenza privata. E’ un difetto – conclude il professor Pertici – del progetto in discussione in Parlamento e non permette di garantire una disciplina veramente risolutiva del conflitto di interessi».

Per saperne di più ascolta tutta la puntata di Memos

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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