Sono stati fatti passi avanti nelle condizioni di vita in carcere, ma c’è ancora molto da fare, sia per affrontare il sovraffollamento sia la “qualità” della pena detentiva. Si potrebbe riassumere in questo modo il contenuto della relazione presentata alla Camera dei Deputati sulla situazione delle carceri italiane.
Il richiamo della Corte di Strasburgo del 2013 che ha imposto all’Italia un cambio di passo sulle carceri è stato accolto, perché una serie di interventi ha ridotto i numeri delle presenze e aumentato quelli dell’accesso a pene alternative.
Ma ci sono molte situazioni critiche, diffuse a macchie di leopardo. Il primo nodo, spiega nella relazione il garante dei detenuti, Mauro Palma, è la distanza tra posti realmente disponibili e il numero di detenuti effettivamente presente: quest’ultimo è maggiore di circa diecimila persone. A fronte di 55.827 detenuti i posti disponibili sono 45.509. Inoltre, vista la distribuzione non omogenea nelle diverse carceri, ci sono situazioni dove l’affollamento è quasi del 300% rispetto alla capienza.
Spesso chi ne fa più le spese sono le donne, i cui spazi in carcere sono ridotti, e i detenuti Lgbt. Dalla relazione emerge un problema di genere: la detenzione è pensata più al maschile. Le donne sono il 4,2% della popolazione carceraria, nei soli 4 carceri femminili ci sono 589 donne, le altre 1.749 sono distribuite nei reparti femminili di istituti maschili, con conseguenti spazi ridotti e qualità della vita peggiore rispetto agli uomini, una condizione per cui si rischia l’invisibilità. Altra condizione è rischio è quella degli omosessuali e transessuali, con un rischio di discriminazione: nelle cinque sezioni a loro riservate, scrive il garante, si rischia che queste si trasformino in un ghetto, con l’esclusione dai percorsi individuali di trattamento.
Per il garante, è preoccupante il profilo qualitativo della detenzione: un nodo irrisolto. Il carcere è troppo spesso luogo di sofferenza e disagio. Un disagio mentale e psicofisico che si traduce con l’alto numeri di suicidi e di atti di autolesionismo, che solo nel 2017 evidenziano dati pesanti: nel 2016 i suicidi sono stati 40, dall’inizio dell’anno fino ad oggi, quindi in 57 giorni, sono ben 12.
Secondo Laura Boldrini, “occuparsi delle condizioni di chi vive e lavora nelle carceri non significa mostrarsi indulgenti verso chi ha commesso reati, qualcuno, dice la Presidente della Camera, userebbe la parola odiosa “buonisti”. Significa preoccuparsi della sicurezza collettiva, perché restituire alla società una persona migliore rispetto a prima è nell’interesse di tutta la collettività.” Laura Boldrini porta l’esempio del carcere di Bollate, che ha visitato recentemente, dove è in atto un progetto a custodia attenuata pensato per la graduale inclusione sociale dei detenuti, attraverso il lavoro anche nelle aziende della zona.
C’è anche un altro istituto carcerario dove è in corso un progetto innovativo, questa volta rivolto alla scrittura. E’ il carcere Don Bosco di Pisa, dove da due anni si svolge un corso di scrittura, che per la seconda volta ha dato vita ad un libro. Il titolo di quest’anno è Gabbie, un testo scritto dai detenuti nel carcere insieme a giornalisti e scrittori, (ad esempio la collaborazione di Stefano Benni) e la disponibilità naturalmente del direttore del carcere e l’area educativa.
Il titolo ha un significato duplice, “Gabbie” non vuol dire solo la cella, il carcere, ma anche un carcere di invenzione, una struttura mentale, una paura, un pregiudizio, tutti limiti posti alla libertà di espressione e di pensiero.
Su questi temi i detenuti si sono dedicati con un racconto alla fine del corso. Hanno presentato il libro anche alla Camera dei Deputati e lo presenteranno anche in altri appuntamenti letterari. Il racconto di Alessandro Monaco, detenuto nel carcere di Pisa, si chiama “Sezione V”. L’esperienza di scrittura in carcere è stata importante. Sentiamo
alessandro monaco detenuto pisa
Gabbie, edito dalla casa editrice pisana Mds, è il secondo libro dopo il secondo anno di corso che il gruppo di educatori e giornalisti svolge nel carcere di Pisa. Antonia Casini è l’organizzatrice e spiega perché ha pensato ad un corso di scrittura rivolto ai detenuti: