La scuola non serve a nulla

“Non se ne esce”: Tetralogia del Sessismo linguistico alla Medie – 3

Quello che hanno scoperto i miei alunni sulla questione…

Le repliche di “La Scuola non serve a nulla 2.0” al Teatro della Cooperativa sono finite (grazie a tutti!) per cui torno a bomba sulla ricerca linguistica, iniziata nelle scorse settimane, con il terzo episodio, relativo alle risposte raccolte dagli alunni al quesito assegnato. Andate a ripescarlo qui, ma in soldoni era: “Nel caso sia una donna a svolgere queste professioni (avvocato, sindaco, direttore…), come la gente a te vicina preferisce usare questi nomi?”

 È qui che ho cominciato a capire che la cosa si faceva lunga… Perché se resti impantanato in qualcosa che dura poco, dici: ok, non ci cavo un ragno dal buco, ma è stato breve. Ma quando la roba si prolunga e tu non vedi via d’uscita?

Sì, certo, dovrei anche spiegarvi come sono messi, i miei alunni: piccola analisi sociologica, altrimenti vi mancano dei tasselli. La mia scuola è sì di utenza media o medio-alta, ma abbiamo anche alunni stranieri, di prima e seconda generazione. Ed è lì che ti viene un altro dubbio (oltre al fatto che potrebbero protrarsi all’infinito), e cioè che queste questioni possano essere care soltanto alla “upper class”. Perché, quando spieghi il lavoro da fare, sei investito da commenti che vanno dal “Sì, prof, che bello!”, al “Mia mamma no parle italiano”, fino al “Ma perché prof, anche donne possono fare politica?” (Sì, ho anche alunni stranieri per i quali la poligamia, in paesi in cui è legale, ovviamente, è roba che riguarderebbe non un esotico documentario in Tv, ma proprio il loro nonno e quasi il loro padre. Come sarà il loro approccio a questa attività?).

In più anche in questi/e piccoli/e disgraziati/e ogni tanto rivivono le solite obiezioni dei loro colleghi/e più stagionati/e. Si va dal “benaltrismo” (“Ma prof, ma con tutti i problemi delle donne, pensiamo a questo?”), alla negazione del problema (“Sì, però se io chiamo la dottoressa CHIRURGO mica vuol dire che non la rispetto”). Certo, già a una prima indagine, in brain storming con loro, quasi tutti sembrano accorgersi che per gli ultimi nomi, quelli della seconda lista (vedi puntata precedente) “non c’è problema a trasformarli al femminile”, mentre “per i primi sì” (quelli della prima lista). E perché? domando io: “Perché i primi sono i mestieri della politica”. Ah, ecco. Come dire, la politica, prof, è roba da maschi.

Ma dicevo, i risultati. Dopo un paio di settimane circa, quando portano a scuola il frutto delle interviste, si rivelano confermate anche in una piccola classe tendenze assodate, emerse da studi condotti con ben altri approcci scientifici e più seri apparati epistemologici di questo. Sì, nessun problema a declinare al femminile “sarta” o “cuoca”, mestieri nell’immaginario comune storicamente di pertinenza femminile, mentre le maggiori resistenze si avvertono, coriacee, sui mestieri percepiti come “più importanti”, dove spesso “si usa il maschile pure se si parla di donne”. Perché? “Perché le donne li fanno da troppo poco tempo”. Ma se adesso li fanno anche loro perché ora non si usa il sostantivo al femminile di questi nomi? Gettonatissimo, ovvio, il “perché suona male”. Ah, bene (detto da loro, con le loro raffinatissime orecchie e la musica che ascoltano, finalmente ho capito: suona male tutto ciò cui semplicemente non siamo abituati). In ogni caso, ecco altri esiti, i più interessanti:

– “Mio padre li usa tutti al femminile, tranne INGEGNERA che non si può sentire, anche se però lui usa INFERMIERA.”

– “Quelli che ho intervistato io non usano AVVOCATA perché sui biglietti da visita delle donne c’è scritto AVVOCATO.”

– “Un mio parente declina tutto al femminile, tranne PROCURATORE perché non lo usa mai.”

– “Ho intervistato uno che dice tutto al femminile, anche se non c’è motivo di declinarli come nomi mobili, perché la professionalità va oltre il titolo maschile o femminile che sia.”

– “Un mio amico dice che non si arrabbia se usiamo MINISTRESSA.”

– “Mio papà è contrario, anzi dice che se il signor Mario Rossi lo chiamiamo AVVOCATA lui poi si arrabbia”.

– “La signora del piano di sotto dice che l’Italia vuole così, pure per le donne: AVVOCATO, MINISTRO, SINDACO. Non si deve cambiare.”

– “Una ragazza intervistata per strada a caso mi ha detto che lei usa solo AVVOCATO e MINISTRO perché l’ha sempre sentito così, ma da adesso proverà ad adeguarsi”

– “Prof, mi sembra che alcuni nomi non si possono declinare come mobili, perché è meglio tenerli uguali al maschile e al femminile, al massimo uno decide se cambiare l’articolo: PRESIDENTE, DIRIGENTE” (E certo, ma se ve lo dicevo io, poi si perdeva il gusto di scoprirlo da voi… poi chiedo, ok, ma “IL Presidente” o “LA Presidente”? “Più o meno è uguale, Prof!”);

– “A mia zia, ASSESSORA non gli suona bene nell’orale, ma nello scritto sì.”

– “CHIRURGO non ha femminile nella grammatica, ma nel linguaggio corrente si usa CHIRURGA.”

– “Mia sorella usa ISPETTORE perché glielo hanno insegnato a scuola.”

– “Mio nonno non usa DEPUTATA perché non riesce a dirlo.”

– “Un mio amico non usa ASSESSORA perché non gli piace.”

– “Un mio parente non usa MAGISTRATA perché non esiste.”

– “Mia mamma no parle Italiano.”

Ma non si starà esagerando? Ma non finiremo come la barzellettaccia d’infima categoria di quel protettore di prostitute premiato da un’associazione di femministe perché le donne che lui sfruttava le chiamava “le puttane” e non con il maschile neutro sovraesteso “puttanoni”?

Ecco, lo sapevo che non se ne usciva… E quindi? tirare le somme di tutta questa ricerca? Prossima volta!

 

 

 

 

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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