L'Ambrosiano

La democrazia è un’anatra zoppa. Evviva la democrazia!

Il pacco è tornato da Kabul: la democrazia inviata non corrispondeva ai requisiti.
L’Occidente sta provvedendo in tutta fretta al costoso risarcimento che non rimedierà alle perdite, sancirà delusioni, sconterà lo sbrego d’immagine. L’irreparabile però è scongiurato: anatre zoppe sì, ma i Paesi della coalizione s’affannano nel far uscire dall’Afghanistan il maggior numero di persone che han lavorato per loro e han creduto nel cambiamento. Ci sono rischi. Primo: limitarsi alla denuncia di 20 anni d’errori (cinico accanimento su Biden, scordando che l’accordo per l’evacuazione è di Trump) senza strategie per approcci e obiettivi. Secondo: lasciar prevalere l’humus depressivo che dà fiato al ritornello qualunquista secondo cui Kabul confermerebbe che la democrazia è inadeguata, ingiusta e tende a soprafare.

Si colgono sintomi pericolosi d’un clima antidemocratico nella scomposta campagna di frange no vax che equipara l’obbligo di green pass a un attacco alla libertà e nel rischio d’una saldatura tra magma delle proteste anti vaccino e caccia agli sbagli afgani. Emotività (le immagini dello scalo di Kabul e ascoltare “i talebani cercano le donne casa per casa”), sbandamenti politico-etici (attacchi a Lamorgese per alzare il prezzo su Durigon/Mussolini); la scienza sempre più accreditata (ma popolata di troppi narcisi); povertà antiche fatte esplodere dal Covid (politica timida nel governare le ingiustizie e faccia truce di Bonomi) fan dire che occorre resistere, con coraggio urlare: W la democrazia! Non è atto di fede (anch’essa ci vuole); non nostalgia (mai scordare: senza Liberazione non saremmo qui); né convenienza (anzi, chi rispetta le regole è becco e bastonato: condono docet): è realismo un alto e forte “W la democrazia!”. Grazie ad essa possiamo criticare Orban (è contro libertà di stampa), Lucashencko (oppositori in carcere), Polonia (Shoah negata), Egitto (Patrick Zaki ancora detenuto), Turchia (scambio: euro e profughi), Austria e Grecia (sogni di muri) e gioire perché Ikram Naxih in Marocco è fuori di prigione (v’era finita per una vignetta). Zoppa l’anatra si può curare (cosa spettiamo?); il dittatore manda chi s’oppone in casa di cura.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Nato dalla penna di Maurizio De Giovanni e presente in buona parte della sua opera letteraria, il Commissario Ricciardi ritorna nella terza stagione della serie a lui dedicata su Rai1 e sceneggiata dallo stesso autore dei romanzi. Diretto nel 2021 da Alessandro D’Alatri, seguito poi da Gianpaolo Tescari, per la seconda e la terza stagione, Ricciardi indaga nella Napoli degli anni ‘30 in pieno regime fascista, rifiutandone le regole imposte. “Ricciardi non è un protagonista tipico, è un anti-protagonista – spiega Guanciale -. È molto empatico e come il protagonista di La Peste di Camus, si preoccupa di fare bene il suo mestiere a prescindere dalle imposizioni che gli vengono fatte”. Sempre in cerca di giustizia, in una forma di resistenza al potere dittatoriale di Mussolini, molto presente nel contesto dei casi da risolvere. I fantasmi che si aggirano nella mente del Commissario, immaginati nei libri di De Giovanni, nella serie prendono forma durante le indagini. L’intervista di Barbara Sorrentini.

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