Appunti sulla mondialità

Il mondo che giudica la mossa spericolata di Putin

Sono tuttora relativamente modeste le reazioni a un fatto di enorme gravità quale l’invasione armata di un Paese sovrano con l’intenzione di smembrarlo, sostituirne il governo e deciderne il futuro. Da molto tempo non succedeva nulla di simile: bisogna fare un salto all’indietro di tre decenni per trovare analogie. Nell’agosto del 1990 l’Iraq di Saddam Hussein invadeva il Kuwait con una guerra lampo durata 48 ore. La risposta della comunità internazionale portò alla prima guerra del Golfo, il primo conflitto nella storia condotto da una coalizione formata sulla base di risoluzioni delle Nazioni Unite, contro le quali nessuna potenza pose il veto. Perché l’invasione militare di uno Stato sovrano è uno spartiacque, viola un principio primordiale del diritto internazionale: si può essere in forte disaccordo ma il rispetto dei confini, cioè della sovranità di un Paese, rimane un baluardo. Perciò, nel discorso con il quale ha annunciato l’invasione, Vladimir Putin ha tentato di demolire la stessa ragione di essere dell’Ucraina. Un Paese, secondo l’autocrate di Mosca, che non avrebbe storia né cultura al di là di quelle comuni con la Russia, governato da una cricca di delinquenti e tossicodipendenti: quindi un Paese che non esiste, e l’intervento militare russo, mirato a “denazificarlo”, rappresenterebbe solo un tentativo di rimettere le cose in ordine.

Sul piano politico, i calcoli di Putin si sono però dimostrati errati. La Russia, se si esclude qualche Stato vassallo come la Bielorussia o l’Eritrea, non ha incassato il sostegno che si aspettava. L’India e in modo più evidente la Cina in sede ONU si sono astenute, ma la loro disapprovazione è palpabile. Non soltanto perché un mondo in guerra, con l’inflazione che riparte, la corsa al riarmo e l’instabilità dei mercati non è un’ambiente favorevole per gli affari, ma perché il precedente che l’azione di Putin, qualora riuscisse, diventerebbe un pericolo per tutti. Il fatto che per colpire un Paese sovrano sia sufficiente delegittimarlo e affermare di correre in soccorso di una minoranza che è, o si ritiene, perseguitata potrebbe portare a focolai di guerra praticamente in tutto il mondo. Nel Kashmir indiano, nei tanti territori popolati dai curdi, in un’infinità di situazioni distribuite nel continente africano e anche nei mai pacificati Balcani. Se l’azione azzardata della Russia dovesse avere successo, aprirebbe le porte a un mondo definitivamente deregolamentato, privo perfino di una base comune di diritto. I calcoli fatti da Putin sono facili da intuire: debolezza di Joe Biden dopo la disfatta in Afghanistan, e quindi anche della Nato; debolezza dell’Unione Europea dopo la Brexit e la fine dell’era Merkel; supremazia militare della Russia nei confronti dell’Ucraina; effetto sorpresa. Tutti elementi reali, ma quello che Putin non ha considerato, ed è tipico dei regimi, è che l’azione militare avrebbe ricompattato i suoi nemici, cancellato i distinguo e rilanciato la cooperazione militare in chiave anti-russa.

Molti osservatori pensano che questo conflitto sia una specie di sequel della Guerra Fredda. In parte è davvero così, ma che si tratti solo di questo è la narrazione che Putin ha cercato di far passare, senza successo. La Russia di oggi non è l’Unione Sovietica e l’Ucraina non è il Quarto Reich, così come l’assedio di Kiev non è paragonabile a quello di Stalingrado. Semplicemente, un Paese molto potente ne ha attaccato uno assai meno potente. Il primo è un regime; il secondo, tra mille ambiguità, aspira a essere una democrazia, novità per una regione dove questo non è mai successo. Il mondo sta a guardare, è vero, ma è chiarissimo per chi tifa, perché Putin ha infranto un pilastro sacrosanto del diritto internazionale, forse senza nemmeno aver compreso bene le conseguenze.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Di Cesare: “Sul fascismo c’è una mancanza di vigilanza culturale ed etica”

    Una casa editrice di estrema destra si iscrive alla Fiera nazionale della Piccola e Media Editoria “Più libri, Più liberi”, organizzata dall’Associazione editori italiani. Alcuni intellettuali si chiedono se sia opportuno ospitare pensieri razzisti o apologie del nazismo e come spiega la filosofa e scrittrice Donatella Di Cesare, esperta internazionale di "negazionismo" (l'ultimo suo libro per Einaudi si intitola “Tecnofascismo”): “Non discutiamo la libertà di pensiero e di pubblicazione per una casa editrice, ma l’idea della Fiera intitolata Più libri, Più Liberi a cui chiediamo se è giusto offrire questa vetrina ulteriore, così emblematica e significativa, dove verranno esposti autori e tematiche che in altri paesi europei come la Germania non sono tollerate”. “In Italia c’è una soglia molto bassa di attenzione, forse perché i temi storici non vengono approfonditi e siamo ancora nella vulgata del rigurgito del passato che ritorna o di temi folcloristici da non prendere seriamente e secondo me è un elemento critico e una mancanza di vigilanza culturale ed etica”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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    C’è un tesoro in Italia, ambito da sempre, ed è il tesoro delle Assicurazioni Generali. Chi comanda a Trieste, comanda su un pezzo importante del paese. Per 70 anni il tesoro delle Generali è stato controllato da Mediobanca, che una volta era il salotto del capitalismo familiare italiano e oggi è una solida banca milanese. Nell’ultimo anno, grosso modo, due capitalisti nostrani, non si sa se anche coraggiosi, Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Francesco Milleri, hanno portato a termine il colpo del secolo: con un’operazione di scambio di azioni – e con il concorso esterno del MPS, fino a qualche mese fa banca di stato - hanno cacciato i vecchi azionisti dagli uffici di piazzetta Cuccia a Milano (Mediobanca) e al loro posto ci hanno messo se stessi più alcuni amici. In questo modo l’immobiliarista e editore Caltagirone, insiene al socio un po’ litigioso degli eredi Luxottica, hanno preso il controllo di Mediobanca. E lo hanno fatto con l’aiuto del MPS, banca pubblica privatizzanda. Preso il controllo di Mediobanca, i “nostri” Caltagirone&Soci hanno cominciato a vedere terra, la costa triestina, la casa mitteleuropea di Generali. Ora, su tutta questa operazione – sommariamente sintetizzata – qualcosa non ha funzionato. La Procura di Milano sta indagando per il mancato rispetto di alcune importanti formalità da codice penale: il “concerto” non previsto, il rispetto del “mercato” e delle autorità di controllo. Aspettiamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso, mentre la politica rivendica i suoi meriti, giusti o sbagliati che siano. Pubblica oggi ha ospitato il giornalista e saggista Vittorio Malagutti (Domani) e il senatore del Pd Antonio Misiani.

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