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Le scuole chiudono e mancano ancora i congedi per i genitori, è morto il dj Coccoluto e le altre notizie della giornata

SPERANZA

Il racconto della giornata di martedì 2 marzo 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. La novità più rilevante del nuovo Dpcm riguarda le scuole: in zona rossa chiudono, di ogni ordine e grado.  Ancora non si sa se saranno rinnovati i congedi per i genitori costretti alla didattica a distanza: da due mesi tutte le misure di sostegno sono sospese. Alla Camera nasce ufficialmente il gruppo dei fuoriusciti dei 5 Stelle, si chiama “Alternativa c’è”. E’ morto il dj Claudio Coccoluto, e Marco Cappato lo ricorda per il suo impegno civile. Stasera inizia Sanremo. Infine, i dati di oggi sull’andamento dell’epidemia da COVID in Italia.

Con il nuovo Dpcm chiudono le scuole in fascia rossa e con 250 casi su 100mila abitanti

Le scuole di ogni ordine e grado chiuderanno e passeranno alla didattica a distanza nelle regioni in fascia rossa, ma anche in tutti quei territori, che siano regioni gialle o arancioni, che hanno oltre 250 casi di Covid ogni 100 mila abitanti per almeno 7 giorni di fila. Il provvedimento potrà scattare per l’intera regione ma anche solo per province o comuni.

Guardando all’andamento dell’epidemia in Lombardia ad esempio, secondo i modelli matematici elaborati dall’Ingegner Alberto Gerli, tra una settimana tutte le provincie lombarde fatta eccezione per Lodi e Sondrio arriveranno o supereranno il limite di incidenza di 250 casi ogni 100 mila abitanti, ad esempio per Milano la previsione è di 276 casi ogni 100 mila abitanti, Bergamo e Varese toccheranno i 250 casi,  dunque scuole chiuse in quasi tutta la Lombardia.  Contagi che in Lombardia,  sempre secondo i dati elaborati dall’ingegner Gerli, cresceranno per almeno due settimane, il picco è infatti previsto attorno al 20 marzo.

Mancano ancora congedi parentali e bonus baby sitter: tutti i provvedimenti del governo Conte sono sospesi da due mesi

(di Diana Santini)

La stretta sulle scuole è arrivata ma per capire come far quadrare una vita in presenza (lavorativa) con una didattica a distanza (dei figli) i genitori di questo paese dovranno esercitare una volta di più la virtù della pazienza. La questione, senza girarci troppo attorno, riguarda in primo luogo le madri, che ancora oggi nel 2021 si sobbarcano il grosso del lavoro di cura in famiglia. Il governo annuncia uno stanziamento di 200 milioni di euro. I nuovi aiuti dovrebbero confluire nel cosiddetto dl Sostegno, che è il nuovo nome del già lungamente atteso ristori cinque. Al momento si pensa a una replica del provvedimento che ha accompagnato le prime ondate: congedi straordinari pagati al 50% (tra parentesi, al 50%, ma perché? come se un figlio in tempi di pandemia mangiasse mezzo piatto di pasta). E poi, assicura la ministra Elena Bonetti, sarà riconfermato il diritto per i genitori allo smart working, un simpatico eufemismo per l’inferno che può essere passare otto ore in un bilocale con due figli piccoli iper eccitati dalla noia tra i piedi. O appesi a un monitor da tenere svegli durante la dad. Perchè no, se fai smart working il congedo per te non c’è.

Infine il bonus baby sitter, era 600 euro la scorsa primavera, potrebbe essere rifinanziato ma non si conosce l’entità della cifra (che pure già nella formulazione originale era insufficiente). Ma il vero problema è che le scuole funzionano a singhiozzo già da settimane. Il governo promette che i provvedimenti saranno retroattivi: sarà vero per i bonus, più difficilmente per i congedi. Tutti i provvedimenti messi in campo dai governi conte sono fermi dalla fine del 2020: quarantene fiduciarie, chiusure locali, zone rosse, con tutte le loro conseguenze in termini di gestione dei figli, sono stati tamponati con le ferie e coi salti mortali. E, anche, con le dimissioni volontarie, che guarda caso nell’ultimo anno sono state per i 3/4 di donne.

A Draghi non interessa comunicare. E Salvini ne approfitta

(di Anna Bredice)

E’ il primo provvedimento sulla pandemia che porta la firma di Draghi, non è un decreto legge che avrebbe segnato un nuovo corso, è un Dpcm, che arriva però in un momento di nuovo drammatico. Eppure Draghi preferisce non parlare direttamente alle famiglie spaventate dal rischio di avere da domani i figli di nuovo a casa con lezioni on line. Le sue parole arrivano attraverso quelle di Speranza e Gelmini e molti cominciano a chiedersi perché. E’ come se quel sentimento che Conte aveva costruito l’anno scorso con la gente colpita e impaurita durante il lockdown, anche certamente per alimentare un suo consenso personale, a Draghi non interessasse.

Comunicare non è fondamentale, per lui sembra più importante agire, convinto che la fiducia enorme con la quale il suo arrivo a Palazzo Chigi è stato accolto possa bastare anche a coprire i silenzi. Solo che lo spazio della comunicazione lasciato vuoto viene preso da altri, in questo caso da Salvini a cui non sembra vero di poter fare il canto e il controcanto senza essere mai smentito. “Bisogna tornare alla vita, aveva detto Salvini uscendo da Palazzo Chigi e anche il presidente del Consiglio è d’accordo con me”, aveva aggiunto, ma da Draghi neanche un cenno. Del resto ciò che gli interessa è la certezza di poter avere i fondi del Recovery plan e la campagna di vaccinazioni, due sfide enormi certamente, le polemiche politiche di partiti che poco hanno in comune tra loro sembrano non riguardarlo e questo accentua quella sensazione di voluto isolamento per non finire imbrigliato nelle tensioni quotidiane.

Ai ministri il primo giorno aveva detto che si parla quando c’è qualcosa da dire, aria nuovo sicuramente rispetto alle battaglie combattute sui social da Conte, Renzi e Salvini. Nei giorni scorsi ha preso una decisione importante con la sostituzione di Borrelli e Arcuri, una scelta che non è solo tecnica, è anche molto politica, ma anche questa non è stata accompagnata da nessuna spiegazione. Mattarella aveva chiamato Draghi come unica soluzione per una crisi al buio, i partiti quasi con un senso di colpa per aver fallito hanno detto sì, ma questo non può bastare per sempre, a lui i partiti, soprattutto a sinistra, iniziano a chiedere di scendere e confrontarsi, spiegando anche le decisioni prese, perché queste non vengano poi sempre interpretate da altri.

La confusione nel Movimento 5 Stelle

(di Michele Migone)

C’è ancora molta confusione nel cielo dei 5 Stelle. Altri tre deputati, sono stati espulsi per non aver partecipato al voto sulla fiducia del governo Draghi. Il provvedimento è stato preso nonostante nelle ore precedenti fossero arrivati messaggi distensivi per un possibile perdono nei confronti dei ribelli, perdono che poi non c’è stato. Segno che è stato deciso di seguire la linea dura per compattare le truppe dietro il Progetto Grillo Conte. La galassia parlamentare dei Grillini è sempre in movimento. Al Senato, alcuni dei 15 espulsi dal Gruppo hanno fatto ricorso per essere reintegrati; altri invece, non ne vogliono sapere. Alla Camera, invece, è stata presentata Alternativa C’è, la nuova formazione di opposizione a Draghi. Anche fuori dal Palazzo proseguono i posizionamenti. Alessandro Di Battista ha detto che non seguirà Giuseppe Conte. “Rispetto per lui, ma ho lasciato il Movimento per il si a Draghi” – ha scritto su Instagram. Dopo il vertice di domenica con Grillo, Di Maio, Giuseppe Conte starebbe lavorando per una sua proposta di “rifondazione” dei 5 Stelle.
Vuole esserne la guida, ma non vuole entrare nel ginepraio dello scontro tra le correnti. In particolare, non vuole rimanere coinvolto nel braccio di ferro tra Beppe Grillo e Davide Casaleggio. E’ questo sullo sfondo, il conflitto più importante in corso nel Movimento. Casaleggio vuole avere ancora un ruolo se non di controllo, come è stato in passato, almeno di forte condizionamento. Ma Conte non ci sta. E Grillo sa bene che la carta dell’ex premier è ora fondamentale per la rinascita politica dei 5 Stelle. Almeno così dicono i sondaggi.

Così si sgretola la politica europea sui vaccini

(di Alessandro Principe)

L’Austria e la Danimarca guardano a Israele per il futuro dei vaccini. Il cancelliere Kurz, in partenza per Tel Aviv, ha annunciato che Vienna, insieme a Copenaghen, vuole avviare una collaborazione per la produzione di vaccini e la looro distribuzione direttamente con Israele, bypassando l’Unione europea e i suoi organismi di controllo. “L’approccio tramite l’Europa – ha detto Kurz – “è stato fondamentalmente corretto, ma l’Ema è troppo lenta con le approvazioni dei vaccini e ci sono rallentamenti nelle consegne da parte delle aziende farmaceutiche”.
Il tentativo europeo di muoversi insieme e insieme affrontare l’emergenza della pandemia mostra più di una crepa. Le prime si sono viste già nel primo lockdown, ormai un anno fa, con la rincorsa a chiudere i confini e a sospendere Shenghen senza il minimo coordinamento. Ora la questione è sui vaccini. L’acquisto centralizzato da parte di Bruxelles è stato un inedito successo di unità europea. Ma non ha funzionato come doveva. Prima questione: i ritardi nelle consegne da parte delle case farmaceutiche. I contratti negoziati da Urusula Von Der Leyen non sono riusciti a garantire l’approvvigionamento necessario. I prezzi ottenuti da Bruxelles evidentemente sono considerati meno convenienti da Big Pharma rispetto a quelli offerti da Stati Uniti, Israele o Gran Bretagna. Seconda questione: la lentezza delle autorizzazioni. Il rigore su efficacia e sicurezza è d’obbligo ma molti analisti osservano che una procedura più snella averebbe potuto essere attuata, data l’emergenza, senza compromettere le valutazioni. Terza questione: la responsabilità delle aziende farmaceutiche. Gli Stati Uniti hanno usato una legge in vigore dal 2005 che prevede una sorta di protezione legale per i produttori dei vaccini e dei farmaci nel caso in cui qualcosa vada storto nel mezzo di un’emergenza sanitaria. Bruxelles ha invece seguito una via più prudente, corretta in tempi normali, ma che ha evidentemento reso meno appetibile l’affare.

Ultima questione: la lentezza dovuta al coordinamento di 27 governi. Il solito problema. Che con la pandemia però è drammatico. Così, mentre Austria e Danimarca guardano a Israele, i Paesi dell’Est partono con il vaccino russo comprato in autonomia e l’Inghilterra del dopo Brexit va spedita verso l’immunità di gregge, l’Europa ne esce, nella percezione comune, come inadeguata. E il sovranismo riprende fiato.

Reporter Sans Frontieres denuncia in Germania il principe ereditario Mohammed bin Salman

(di Martina Stefanoni)

Diffusione di fake news, incitamento alla ribellione, critiche alla corona, partecipazione a manifestazioni. Sono alcune delle accuse che l’Arabia Saudita ha mosso verso i 34 giornalisti e blogger che in questo momento si trovano in carcere per aver svolto il proprio lavoro. Hanno subito torture, violenze, e molestie. Per questo, e per l’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi, ucciso il 3 ottobre del 2018 nel consolato saudita a Istanbul, in Turchia, l’Ong Reporter Sans Frontieres ha denunciato in Germania il principe ereditario Mohammed bin Salman e altri responsabili sauditi per crimini contro l’umanità. E’ la prima volta che viene mossa un’accusa del genere nei confronti di una categoria specifica, quella dei giornalisti, e non di una minoranza etnica o religiosa, ma è anche la prima volta che il principe saudita e i suoi collaboratori vengono citati in giudizio. Questo è molto importante perché permette di associare uno crimine di questa gravità all’elite saudita, che invece nel mondo viene riconosciuta come modernizzatrice e riformista. In particolare, l’accusa presentata dall’Ong francese è di “persecuzione generalizzata e sistematica dei giornalisti in Arabia Saudita, e più in particolare all’incarcerazione di 34 di loro e all’assassinio di Jamal Khashoggi”.
La scelta di presentare la denuncia in Germania non è casuale, ma si basa sul principio di competenza universale in vigore nel paese, che autorizza i magistrati a giudicare le violazioni dei diritti umani anche se il crimine è stato commesso fuori dal paese e i suoi autori e vittime sono cittadini stranieri.

E’ morto il dj Claudio Coccoluto, Marco Cappato lo ricorda per il suo impegno civile


Stasera inizia il festival di Sanremo. È la sua prima edizione dall’esplosione del Covid in Italia. Sul palco del teatro Ariston sarà ricordato Claudio Coccoluto, morto stamattina a 58 anni. Malato da tempo, è stato uno dei dj italiani più famosi sia nel nostro paese sia all’estero. La sua carriera era iniziata negli anni ’70 dall’emittente privata Radio Andromeda. Negli anni successivi aveva cominciato a lavorare nei locali, e a Roma ne aveva fondato uno di grande successo, il Goa. Meno conosciuto il suo impegno civile. Sentiamo Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

(di Mattia Guastafierro)

Sono 17.083 i nuovi casi di positività al Coronavirus registrati nelle ultime 24 ore, 3.969 in più rispetto a ieri. Il dato si basa su un totale di 335.983 tamponi effettuati (da metà gennaio sono conteggiati sia test rapidi antigenici di ultima generazione che tamponi molecolari) contro i 170.633 del giorno precedente. Il tasso di positività è quindi sceso al 5,08 per cento, dal 7,6% di ieri. Il report quotidiano diffuso dal ministero della Sanità e della Protezione civile alle 17.30 di martedì 2 marzo rileva anche 343 vittime, 97 in più rispetto alle 246 di lunedì. Il totale delle vittime registrate dall’inizio dell’emergenza Covid è arrivato così a 98.288.

Foto | Il ministro della Salute Roberto Speranza, a Palazzo Borromeo per il 92esimo anniversario dei Patti Lateranensi

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    Più che una soluzione a un problema, che esiste, sembra un’ammissione di colpa di chi dovrebbe gestire la sanità in Lombardia. Le parole del presidente lombardo Attilio Fontana dopo la firma di un protocollo d’intesa con i Nas dei Carabinieri, primo in Italia, per scoprire le cause del continuo aumento delle liste d’attesa nella nostra regione sottolineano l’incapacità di chi da anni governa la nostra regione. “Fino a ieri dicevano che andava tutto bene, e ora chiedono aiuto ai carabinieri alla ricerca di ipotetici furbetti. Incredibile”, il commento di Carlo Borghetti, capo delegazione del Pd in commissione sanità regionale.

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