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Mario Draghi, il keynesiano riluttante

Mario Draghi

Mario Draghi, il debito pubblico e la “guerra” contro la pandemia COVID-19. L’ex presidente della BCE, in un articolo sul Financial Times del 25 marzo 2020, ha esposto la sua dottrina contro la crisi economica da coronavirus: gli stati – sostiene – devono intervenire subito e senza limiti. Per Draghi la risposta alla crisi “deve comportare un significativo aumento del debito pubblico”. È il crollo di un dogma.

Gli Stati – ha aggiunto l’ex capo della Bce – lo hanno sempre fatto di fronte alle emergenze nazionali. Le guerre sono state finanziate da aumenti del debito pubblico”. Per commentare le parole di Mario Draghi, Memos ha ospitato due economisti: Marta Fana, ricercatrice che si occupa di mercato del lavoro; e Giovanni Dosi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Un interrogativo su tutti, a proposito del Draghi-pensiero: perchè le guerre si possono finanziare con debito pubblico, mentre lo stato sociale no? Dosi e Fana spiegano le ragioni di Draghi, del suo intervento pubblico, ed evidenziano le omissioni nel discorso dell’ex presidente della BCE.

Perché oggi per Mario Draghi è possibile finanziare con debito pubblico provvedimenti di contenimento di quella che sarà probabilmente una recessione dura in futuro?

Giovanni Dosi. Perché c’è il riconoscimento della condizione di totale eccezionalità. Il fatto che si possa usare il debito pubblico anche in condizioni normali è una questione diversa. Io non l’ho mai chiesto a Draghi e non posso rispondere per lui, ma credo che in cuor suo abbia sempre pensato che le politiche fiscali vadano usate anche in tempi normali. Oggi però c’è il riconoscimento dei tempi assolutamente eccezionali e le guerre sono cose troppo serie per essere lasciate al mercato. È sempre stato così, persino i liberisti più accaniti e feroci hanno dovuto accettare, durante le guerre, che il debito pubblico venisse innalzato.

Perché una guerra può essere finanziata in debito e non si può finanziare in debito il sistema del welfare state?

Giovanni Dosi. Questo è un bel paradosso. Io penso che anche il welfare state e le misure normali e universali di protezione debbano essere finanziate in debito. Questo però non è parte della visione dominante della politica europea. A me sembra già tanto che una figura autorevole come Draghi abbia riconosciuto che il capitalismo da solo non è auto-regolatore, specialmente in casi come le guerre. La mia opinione è che bisognerebbe finanziare anche welfare state in debito se necessario.

Draghi nell’articolo dice che in questo contesto è necessario che lo Stato predisponga un bilancio pubblico per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile. Cosa significa questo riferimento alla irresponsabilità del settore privato?

Giovanni Dosi. Secondo me faceva riferimento al fatto che tipicamente nell’ideologia standard se uno perde sono fatti suoi. Questo è uno shock generalizzato, è come se fosse caduta una bomba atomica sul sistema produttivo. Se i privati non riescono a pagare i debiti e non riescono a servire i clienti non è colpa loro.

Draghi sostiene che ci voglia un intervento massiccio dello Stato, finanziato anche con debito pubblico, senza preoccuparsi. Bisogna farlo in fretta, prima che tutto il sistema si blocchi. Dosi ci ricorda che forse bisogna andare anche oltre questo tipo di intervento e cominciare a dire che cosa bisogna fare e che cosa bisogna produrre.

Marta Fana. Il professor Dosi aggiunge un pezzo che Draghi non è riuscito a dire: lo Stato non è soltanto un meccanismo che regola i grandi fallimenti di mercato, ma dev’essere un soggetto attivo. Draghi ammette due cose. Da un lato ammette che il debito è una variabile politica da usare non soltanto in tempo di guerra. Dall’altro lato ammette l’incapacità del mercato di aggiustarsi da solo quando esistono questi shock.
Quello che manca nelle parole di Drago è quello che avviene dopo, cioè cosa fa lo Stato. Come ha detto il professor Dosi, noi ci siamo ritrovati un’economia che non è in grado neanche di far fronte produttivamente alle proprie necessità più urgenti come le mascherine o i ventilatori. Draghi continua però a mantenere la centralità dell’impresa nella capacità di ricostruire subito dopo l’emergenza. Per l’emergenza c’è lo Stato, che salva le imprese e queste saranno poi il soggetto centrale attraverso il quale potrà ripartire l’economia. Il discorso di Draghi appare un po’ particolare quando continua a dire che serve liquidità su tutti i fronti per le imprese, senza però entrare nel merito: dobbiamo garantire la liquidità per le spese correnti e questa perdita di reddito attuale o se dobbiamo andare a garantire anche i profitti. La domanda che farei a Draghi è: dobbiamo salvare la struttura produttiva italiana così com’è o dobbiamo trasformarla in qualcosa di più solido?

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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    E’ morto l’architetto Francesco Borella, per tanti il papà del Parco Nord Milano. Lo ha diretto per venti anni dagli inizi degli anni ‘80, quando lo ha progettato insieme al paesaggista Adreas Kipar. Cava dopo cava, orto spontaneo dopo orto spontaneo, aziende agricole in dismissione dopo aziende agricole a fine ciclo, ha rigenerato e riconesso con percorsi ciclopedonali l’ampia area che tra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo si estende a Cusano Milanino, Cormano e ai quartieri milanesi di Affori, Bruzzano, Niguarda e Bicocca. Un parco che negli anni ‘70, quando è stato voluto con le mobilitazioni popolari, sembrava impensabile che potesse avere le presenze che ha il più noto e storico Parco di Monza. Fabio Fimiani ha chiesto un ricordo dell’attuale presidente del Parco Nord di Milano, Marzio Marzorati. Radio Popolare si stringe affettuosamente con un abbraccio ai figli Joanna, Cristiana, Giacomo e Sebastiano Borella.

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    Il podcast di Francesco Tragni e Giuseppe Fiori registrato dal vivo a Germi. Enrico Gabrielli è stato il secondo ospite che ha raccontato quali sono i suoi vinili di riferimento: polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato con artisti come Muse e PJ Harvey, e fa parte dei gruppi Calibro 35, Winstons e Mariposa (in passato anche negli Afterhours). Complessivamente compare in oltre 200 dischi. Ha anche suonato il flauto traverso nella sigla di Dodici Pollici.

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