Approfondimenti

Obama e Netanyahu. Il lungo addio dei due rivali

Barack Obama e Benjamin Netanyahu non si parlano dal luglio scorso. E l’ultima volta in cui il primo ministro israeliano è venuto a Washington è stato per parlare contro l’accordo sul nucleare con l’Iran. Un atto che ha irritato – di più, indignato – Obama, e che la Casa Bianca ha cercato fino all’ultimo di impedire.

Benjamin Netanyahu arriva a Washington per discutere, ufficialmente, un nuovo accordo sulla sicurezza con gli Stati Uniti. E poi, sul tavolo, c’è la questione siriana, il tema dei rapporti con Teheran e, ovviamente, il conflitto israelo-palestinese, che nelle ultime settimane ha fatto 77 morti palestinesi, 10 israeliani e centinaia di feriti.

Mentre Netanyahu arriva a Washington, il clima generale è comunque quello di una trattenuta rassegnazione. La Casa Bianca ha rinunciato a ogni speranza, e quindi attività diplomatica, in tema di soluzione del conflitto. Lo ha detto, senza mezzi termini, Rob Malley, consulente di Obama per il Medio Oriente: “Il presidente ha raggiunto la conclusione che, in mancanza di grossi cambiamenti, le parti (Israele e Autorità Palestinese ndr.) non sono in condizioni di negoziare un accordo risolutivo”.

Si tratta, secondo Malley, di una “considerazione realistica”, che però segnala una realtà nuova, e sicuramente spiacevole: “Per la prima volta negli ultimi vent’anni – ha detto Malley – la prospettiva dei due Stati non è più sul tavolo”.

Si conclude dunque con l’ammissione esplicita di un fallimento la politica mediorientale di Barack Obama. Il presidente lascerà il suo posto nel gennaio 2017 ed è improbabile che, in un anno circa, cambino le condizioni che alimentano da decenni il conflitto. Con l’uscita di scena di Obama è destinata a perdere vigore anche l’iniziativa diplomatica di John Kerry, il segretario di stato USA che era riuscito, all’inizio del suo mandato, a convincere israeliani e palestinesi a riaprire i negoziati.

Quello di queste ore, a Washington, sarà dunque un incontro tutto “interno” ai rapporti israelo-americani; una riconsiderazione delle necessità israeliane di difesa, mutate dopo l’accordo con Teheran; una discussione su come garantire la sicurezza di Israele, che negli anni dell’amministrazione di Obama ha visto aumentare forniture militari e finanziamenti. Quello di queste ore, a Washington, sarà anche, con ogni probabilità, uno degli ultimi tra il presidente USA e il primo ministro israeliano.

I due, non è un mistero, non si sono mai amati e il rapporto non è destinato a cambiare.

Si è molto raccontato della relazione tra Obama e Netanyahu, riportando spesso a un conflitto di personalità e caratteri l’evidente insofferenza che uno ha provato per l’altro: da un lato il presidente misurato, freddo nell’approccio, incapace di stabilire con l’interlocutore, almeno quello fuori da un stretto circolo, una relazione davvero empatia; dall’altro il primo ministro vulcanico, spesso rissoso, capace, come ha detto l’ex-ambasciatore israeliano Michael Oren, di “far esplodere con la sua rabbia la cornetta del telefone dell’interlocutore”.

Eppure gli inizi del rapporto tra Obama e Netanyahu sono stati tutt’altro che tempestosi. I due si sono conosciuti – telefonicamente, per l’appunto – nel 2007. Obama faceva campagna elettorale; Netanyahu era all’opposizione. Si parlarono, per qualche minuto, e al termine della chiamata Netanyahu disse ai suoi: “Questo può davvero battere Hillary”.

Una prima incrinatura arriva subito dopo, quando Obama giunge nel 2008 a Gerusalemme. A questo punto è lui il candidato ufficiale dei democratici alla presidenza. Obama incontra Netanyahu, parlano di sicurezza; poi il leader del Likud gli offre di visitare una fermata d’autobus, dove un palestinese si era scagliato contro degli israeliani. Obama declina l’invito. Netanyahu non la prende bene.

I veri problemi politici iniziano però quando Obama sale alla Casa Bianca. Tra le sue prime mosse c’è la nomina di George J. Mitchell come inviato speciale in Medio Oriente. Mitchell è un diplomatico capace, che ha raccontato che Obama gli disse: “Voglio davvero cercare di fare qualcosa”. Tra le prime mosse dell’amministrazione c’è però anche la decisione di fare pressioni su Israele per arrivare a congelare gli insediamenti. La decisione, ha raccontato Hillary Clinton nel suo memori, che Obama prese spinto soprattutto dal suo chief of staff, Rahm Emanuel, che temeva che altrimenti Netanyahu li “avrebbe asfaltati”.

Proprio Mitchell ha raccontato che il tema del congelamento degli insediamenti è stato enfatizzato troppo, da una parte e dall’altra. Dal governo israeliano, come strumento di pressione e rivendicazione di autonomia; dall’amministrazione americana, che ha creduto che fosse la mossa necessaria per far ripartire le trattative. “Non abbiamo fatto abbastanza per far capire che il congelamento non era una precondizione alla ripresa dei negoziati”, ha detto Mitchell, che poco dopo ha lasciato l’incarico, deluso dal fallimento degli sforzi diplomatici.

Fatto sta che quando Joe Biden arrivò in visita a Gerusalemme, nel marzo 2010, trovò sulle prime pagine dei giornali la notizia di un nuovo complesso di abitazioni a Gerusalemme Est. La cosa mandò Obama su tutte le furie. Poco dopo, con Netanyahu in visita alla Casa Bianca, ci fu la dimostrazione palese dell’irritazione americana. Il primo minsitro fu fatto entrare da un’entrata di servizio; non ci fu una conferenza stampa congiunta, né la presenza dei fotografi.

Altro episodio nel progressivo precipitare dei rapporti tra i due leader è sicuramente stato l’appoggio dell’amministrazione Obama nei confronti delle primavere arabe. Netanyahu l’ha sempre considerato una manifestazione della naiveté del suo interlocutore in politica estera. Soprattutto la cacciata di Hosni Mubarak è parsa a Netanyahu e al suo governo una follia. “Per gli israeliani, l’abbandono di Mubarak da parte degli americani è stato uno shock”, ha spiegato James B. Cunningham, ex-ambasciatore USA in Israele.

Ulteriori motivi di risentimento ci sono stati quando Obama è andato al Cairo per il famoso discorso di apertura al mondo islamico. Dopo la tappa egiziana, il presidente non si fermò a Gerusalemme. Del resto al governo israeliano non è mai piaciuto l’atteggiamento di equidistanza che Obama ha tenuto, e più volte rivendicato, in tema di rapporti israelo-palestinesi.

Nel suo libro, Doomed to Succeed, un altro diplomatico americano, Dennis B. Ross, ha raccontato che poco dopo la sua salita alla Casa Bianca, Obama incontrò i leader delle comunità ebraiche americane, e gli disse di non voler continuare nella politica “di totale identificazione con Israele”, che era stata perseguita dal suo predecessore, George W. Bush. Per Obama, quella politica minava la capacità americana di apparire sopra le parti, quindi l’abilità di negoziare; quell’equidistanza è parsa però a molti israeliani un tradimento.

Sarebbero molti altri gli episodi della storia di incomprensione tra il democratico USA e il conservatore israeliano. Prima del recente scontro sul nucleare iraniano, c’è l’appoggio esplicito dato da Netanyahu a Mitt Romney, nella campagna presidenziale del 2012. O il discorso in cui Obama parlò dei confini precedenti il 1967 “come base di ogni futuro accordo”. Obama fece quel commento poco prima dell’arrivo in visita ufficiale di Netanyahu a Washington. Dopo l’incontro, davanti ai giornalisti, il primo ministro israeliano fece una sua personale lezione di storia a Obama, che appariva pietrificato dal fastidio.

Troppi dunque, e troppo importanti, i motivi di attrito tra Obama e Netanyahu per ridurli a un semplice scontro tra personalità diverse. Nella storia dei rapporti burrascosi tra i due ci sono differenti personalità ma ci sono anche differenti modi di vedere il mondo, e considerare la politica. Obama considera Netanyahu, con la sua politica radicale, un ostacolo al processo di pace; Netanyahu giudica Obama debole e ingenuo, quindi un rischio per la sicurezza d’Israele.

Non è un caso quindi che, proprio durante questo viaggio americano, Netanyahu troverà il tempo per tornare, ancora una volta, a quell’America in cui lui si identifica e che in lui trova il suo punto di riferimento. A Washington, infatti, Netanyahu sarà ospite dell’American Enterprise Institute. Davanti all’ex-presidente Dick Cheney, e a tanti esponenti del movimento conservatore americano, Netanyahu verrà premiato per “il suo impegno a favore del libero mercato”.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli
POTREBBE PIACERTI ANCHETutte le trasmissioni

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio martedì 04/11 19:30

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 04-11-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve martedì 04/11 18:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 04-11-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di martedì 04/11/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 04-11-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di martedì 04/11/2025 delle 19:48

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 04-11-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    PoPolaroid di mercoledì 05/11/2025

    Basil Baz evoca il suo amore per la Polaroid, per la bellezza dello spazio bianco intorno all’immagine, che gli permetteva di scrivere la data e dare un titolo alla foto; spesso era ispirato da una canzone. Come le fotografie, le canzoni sono memorie nel tempo, e in PoPolaroid accompagno la musica con istantanee sonore; scatti personali, sociali e soprattutto sentimentali.

    PoPolaroid – istantanee notturne per sognatori - 04-11-2025

  • PlayStop

    No Manches Guey di martedì 04/11/2025

    Un viaggio musicale dentro le culture latino americane.

    No Manches Guey - 04-11-2025

  • PlayStop

    News della notte di martedì 04/11/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

    News della notte - 04-11-2025

  • PlayStop

    Soulshine di martedì 04/11/2025

    Soulshine è un mix eclettico di ultime uscite e classici immortali fra soul, world music, jazz, funk, hip hop, afro beat, latin, r&b, ma anche, perchè no?, un po’ di sano rock’n’roll. L’obiettivo di Soulshine è ispirarvi ad ascoltare nuova musica, di qualsiasi decennio: scrivetemi i vostri suggerimenti e le vostre scoperte all’indirizzo e-mail cecilia.paesante@gmail.com oppure su Instagram (cecilia_paesante) o Facebook (Cecilia Paesante).

    Soulshine - 04-11-2025

  • PlayStop

    Fuori registro di martedì 04/11/2025

    Voci tra i banchi di scuola. A cura di Lara Pipitone, Chiara Pappalardo e Sara Mignolli

    Fuori registro - 04-11-2025

  • PlayStop

    L'Orizzonte delle Venti di martedì 04/11/2025

    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 04-11-2025

  • PlayStop

    Salute mentale, dopo l’accoltellamento di Milano il Viminale evoca la riapertura dei manicomi

    Una terza via sui manicomi, dopo la loro chiusura stabilita dalla legge Basaglia. È quella che ha invocato il ministro dell’Interno Piantedosi, commentando l’accoltellamento della donna a Milano per mano di un uomo con problemi psichiatrici. Il capo del Viminale ha detto che il caso richiama l’attenzione sul tema, evocando di fatto la riapertura di strutture simili ai manicomi. “Credo vada riconsiderata una terza via con trattamenti delle persone che garantiscano la sicurezza dei cittadini”, ha spiegato Piantedosi in tv. La maggioranza nei mesi scorsi aveva già provato a mettere mano con una riforma alla legge Basaglia. Ma non è la legge 180 ad aver creato insicurezza e abbandono, bensì il definanziamento della sanità pubblica. Come spiega Massimo Cirri, psicologo e conduttore radiofonico.

    Clip - 04-11-2025

  • PlayStop

    È morto Forattini, matita scorretta e a tratti feroce su vizi e debolezze della prima Repubblica

    È morto Giorgio Forattini. Il vignettista aveva 94 anni. Fondatore della rivista satirica Il male, nella sua lunga carriera ha lavorato per molti tra i maggiori quotidiani nazionali, da Repubblica, alla Stampa, a Paese Sera al Giornale. Per decenni ha commentato le vicende politiche italiane, con un bianco e nero inconfondibile e una scorrettezza esibita e divertita, la sua vera cifra stilistica. Il ricordo del disegnatore e fumettista Stefano Disegni.

    Clip - 04-11-2025

  • PlayStop

    Un lombardo su dieci è straniero. Lavora, paga le tasse ma non riesce a emergere socialmente

    Sono più di un abitante su dieci della Lombardia, lavorano, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola ma restano ai piani bassi dell’ascensore sociale. È il ritratto degli stranieri nella nostra regione, fotografato dal dossier immigrazione che è stato presentato oggi. Rispetto a un anno fa sono aumentati del 2,3%, la meta preferita Milano e il suo hinterland. Del milione e 200mila stranieri, poco meno di un milione ha il permesso di soggiorno, circa la metà di lungo periodo. “Questo nonostante le difficoltà nell’ottenerlo”, dice Maurizio Bove, presidente di Anolf Lombardia, una delle realtà che ha elaborato il rapporto, che chiede una netta revisione delle norme per la regolarizzazione dei migranti.

    Clip - 04-11-2025

  • PlayStop

    Esteri di martedì 04/11/2025

    1) Israele, la diffusione del video delle torture nel carcere di Sde Teiman non è il problema. Gli abusi e l’impunità lo sono. (Daniel Solomon - physicians for human rights) 2) New York al voto. Trump minaccia gli elettori che devono scegliere il prossimo sindaco della città, in un’elezione che potrebbe rimodellare il partito democratico. (Roberto Festa) 3) E’ morto Dick Cheney. Il potente vice presidente americano artefice della guerra al terrore che plasmò gli stati uniti contemporanei. (Martino Mazzonis) 4) Francia, la battaglia contro il fast fashion è persa prima ancora di iniziare. A Parigi apre il primo negozio fisico di Shein, il colosso cinese noto per il pesante impatto ambientale e le vergognose condizioni dei lavoratori. (Francesco Girgini) 5) Spagna, la riconciliazione con il Messico passa dall’arte e dalla cultura. Madrid non ha ancora chiesto scusa per il periodo coloniale ma con una mostra e l’assegnazione del premio Cervantes prova a ricucire lo strappo. (Giulio Maria Piantedosi) 6) Belem 2025, ultima chiamata. Diario dalla Cop30: la flotilla dei popoli indigeni partita dal messico in viaggio verso il Brasile. (Alice Franchi) 7) Rubrica Sportiva. Il ritiro di Bopanna, il grande veterano del tennis mondiale. (Luca Parena)

    Esteri - 04-11-2025

  • PlayStop

    L'Orizzonte di martedì 04/11 18:34

    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

    L’Orizzonte - 04-11-2025

  • PlayStop

    Poveri ma belli di martedì 04/11/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 04-11-2025

  • PlayStop

    Vieni con me di martedì 04/11/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

    Vieni con me - 04-11-2025

Adesso in diretta