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L'Ambrosiano

Perdono e seminatori di pace contro la guerra

Se vogliamo la pace chiediamo perdono. Gli Stati non possono farlo, le persone sì: singoli, gruppi, enti culturali, centri spirituali. Riconoscendo i nostri errori rendiamo ancor più evidenti i crimini di guerra e spargiamo semi di pace nei cuori; cambiando noi diventiamo germi di trasformazione. Non basta bandire gli assassini dei missili sui civili; criticare chi vota sanzioni ma non ferma i massacri e provoca ricadute dannose anche a sé per scelte insensate (o interessate?) di fonti energetiche e fornitori; sentirsi frustrati dalla diplomazia che forse ottiene un cessate il fuoco: la pace non è solo stop alle armi; l’ascia sotterrata è lì per la guerra ventura.

Dà vertigini il pensare di cambiar mentalità, convertire i cuori, rinunciare a simmetrie, rivalse: “ha cominciato lui”. Sogni e utopie salvano la vita: dan senso, orizzonti. È l’ora di umanità, cultura, religione, arte, umiltà. Chiedendo perdono per le nostre insipienze si motiva il ritorno alla politica, si limano le unghie insanguinate di Putin, si cambia rotta dopo 30 anni di errori, si evitano equivoci tipo né con Putin né con la Nato. Alla caduta del Muro di Berlino abbiam creduto che a Est ambissero solo a Coca Cola e Mc Donald’s (che fuggono da Mosca ora), che all’implosione dell’Urss la risposta delle nostre democrazie fosse il dio mercato (di chi ha già potere e genera sosia: vedi oligarchi), i brand, gli stili di vita. Non abbiamo condiviso l’elaborazione di un lutto: dei russi dopo 70 anni di comunismo e di chi tra noi col socialismo aveva creduto di sanare ingiustizie e promesse mancate delle democrazie liberali.

Han da chiedere scusa i cristiani: dopo l’ecumenismo di Martini ed Aleksij, l’eurocentrismo di Roma e Chiese protestanti ha condisceso all’isolamento ortodosso (come stupirsi che Kirill supporti Putin, soffochi il dissenso di preti e fedeli, dia visioni distorte dei diritti in Occidente). Con gli aiuti siam bravi: prossimità inconscia (le mai morte radici dell’Europa!) e sensi di colpa ci salvano. Esser vigili per sventare miopie o trasformismi (Salvini). All’invasore russo a Kiev una donna ha detto: «Metti in tasca semi di girasole così quando muori almeno cresce qualcosa». Quanti semi ciascuno potrebbe spargere sin d’ora.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Ospedale di Mariupol, le donne in ‘dolce’ attesa

Mentre come ogni giorno da quando è cominciata, leggi, vedi e senti della guerra, tra giornali, siti,  tv, podcast e social ecco una frase: ‘tra le donne in dolce attesa dell’ospedale di Mariupol’. L’ospedale bombardato dai russi, il reparto maternità sventrato, 3 morti, tra cui un bambino, molti  feriti è il bilancio chissà quanto provvisorio del giorno dopo. E tra loro c’erano, in quelle stanze distrutte, le donne ‘in dolce attesa’.

Quella penna che ha scritto per conto suo – sappiamo come ogni tanto, se non si è attenti, se si ha fretta, se si è un po’ sciatti, parta il pilota automatico della frase fatta –  colpisce dove fa male, nel punto dell’immedesimazione e proprio per l’inconsapevolezza di ciò che trasmette. L’ho vista quella donna ‘in dolce attesa’ portata via in barella, in una scena di macerie, un lato del suo corpo insanguinato, una mano a proteggere il ventre, nel gesto più comune ed ‘eterno’ della gravidanza.

Le giornaliste più attente ci ricordano che Mariupol non è purtroppo, nella storia delle guerre, il primo ospedale pediatrico bombardato: era successo nello Yemen, come in Siria, e chissà in quali altri conflitti meno visibili, colpevolmente meno visti. Vero, ma ciò non toglie, semmai aggiunge. E riporta, questa scena e quelle che non abbiamo voluto in passato guardare, alla propria esperienza, alla propria attesa, all’intenso bisogno provato di concentrarsi  sulla soglia che si sta per attraversare.
Altro che dolce attesa o simili zuccherose espressioni, anche in pace, dunque: le donne sanno quanto sia uno stereotipo, quanto non si dia mai un’attesa interamente dolce perché quel cammino mescola sogni e fantasmi, speranze e paure. E a Mariupol oggi, poi. Continuare a proteggere, credere nella propria capacità di farlo richiede a quella donna e alle altre una forza per la quale ogni aggettivo appare inadeguato.  Perché  siamo davanti agli estremi, da un lato la responsabilità e la cura dell’attesa e, dall’altro, la distruzione bellica non solo della vita, ma persino della sua possibilità.

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La scuola non serve a nulla

In soldoni

Impressioni buttate lì due anni fa per la pandemia e che potrebbero valere anche per la guerra…

Esattamente due anni fa, a inizio pandemia, scrissi di getto le righe in corsivo in basso che, in soldoni, forse un po’ possono valere anche oggi per la guerra. Ci capisco davvero poco, io… a volte mi pare che stiamo vivendo, per un atroce scherzo del destino, solo il frutto d’una nemesi linguistica: a furia di parlare del Covid con lessico militare, la guerra è arrivata veramente. Adesso l’abitudine ci porterà a invertire l’approccio verbale, forse: “Il contagio bellico si sta diffondendo a macchia d”olio”, “È in arrivo la variante nucleare”, “Manteniamo un rigido distanziamento sociale da qualsiasi cosa sia della Russia”.

L’altro giorno mia madre si chiedeva (e spero che non passi per filoputiniana pure lei), che cosa di così inderogabile ci ha portato l’allargamento della Nato ai Paesi ex Patto di Varsavia dopo la caduta dell’URSS a cui proprio non potevamo rinunciare, noi Occidente. Ok, durante la Guerra Fredda la Nato ci ha garantito la pace, ma dopo il 1991? Che ne so, se uno dicesse: guarda, abbiamo avuto una maggiore solidità dell’Euro, un’affermazione più decisa dell’UE…  ha dato nuove risorse al Welfare State, ha allargato i nostri mercati, o chennesò, serviva a fermare i migranti… ma anche meno: ci è arrivato Netflix, il curling, il burlesque, le modelle russe, o i monopattini… Cosa? Boh? Io non le ho saputo rispondere.

E siccome, se non altro, è ripartita alla grande la giostra della Storia (allacciate le cinture!), che tanto poi, alla fine della fiera, tutto è abbastanza motivato sempre dai sacri soldoni, se Storia dev’essere, l’unica speranza è che sia ricostruzione d’una società. Che grande opportunità: potrà essere ricordata in futuro solo con toni di glorioso apprezzamento, l’umanità di questo decennio: o ricostruzione d’una società, o non ci sarà nessuno a poter raccontare che non andò così…

 

“In soldoni, è come fosse l’imposizione coatta d’una sorta di “marxismo epidemiologico”, per cui “io posso essere sano, solo se lo sei anche tu”. E ciò vale a prescindere, boia maledetta, dalla qualsivoglia identità di quel “tu”, che può essere davvero anche la persona più distante da me, la peggior cloaca di cattiveria e ignoranza del pianeta, uno più cretino di un mazzo di carte senza il dieci a coppe; anche, che so, un neonazista, un pedofilo, o un subumano microcefalo che sale su un treno zeppo e incastrato tipo Tetris per tornarsene dalla pummarola di mammà.

Ecco, in soldoni: non tanto perché il male non si augura a nessuno, ma proprio per una questione statistica, non possiamo fregarcene. Siamo costretti a occuparci anche di loro e sperare che neanche ‘sti qua si ammalino: magari passano sullo stesso mezzo pubblico su cui salirò io, o un mio caro… o potrebbero, peggiorando loro, gravare d’un ennesimo posto letto il sistema sanitario nazionale.

Che non è tanto urlare “State a casa!!! Maledetti!!!”… Cioè, anche, per carità… (in questi giorni crolla una delle mie convinzioni per cui l’ignoranza potesse essere in qualche modo meglio collegata all’accidia, allo star fermi… e invece no: qui abbiamo i “deficienti attivi”).

In aggiunta, a me viene in mente che in un suo spettacolo, “Miserabili – Io e Margaret Thatcher”, Marco Paolini (“che tutte le sfighe a teatro se l’è già fregate lui”), raccontava, in soldoni, quello che è successo al nostro pianetucolo negli ultimi trent’anni con la globalizzazione finanziaria, il capitalismo ecc. ecc. ecc. Raccontava della Thatcher, che a inizio anni ’80, affermò che “la società non esiste (più): esistono solo le persone, le famiglie e le aziende”. E raccontava di quel processo di disgregazione sociale che, in soldoni, ha trasformato tante comunità nazionali – legate da vincoli di mutua assistenza anche economica, non inossidabili, ma più tangibilmente riconoscibili di oggi -, in una moltitudine di monadi egoisticamente slacciate: con tempi diversi, ma ovunque nel mondo. L’erosione d’un solido “sentirsi pubblico” in pulviscoli auto(no)mi. SocietàliquidaBauman bla bla bla.

Poi Paolini raccontava del secondo principio della Termodinamica, per cui certi processi in entropia non sono reversibili: cioè, in soldoni, non puoi tornare indietro, tipo la perdita della verginità (e lì mi veniva in mente quella battuta di Renato Trinca, “entro-pia, esco-troia”). Paolini ripeteva l’esempio citato da molti fisici: in soldoni, “se riscaldo un acquario, ottengo una zuppa di pesce; ma se raffreddo la zuppa di pesce, poi non ri-ottengo l’acquario”.

A me pare, in soldoni, che questa cosa qui ora noi la possiamo risolvere solo con la società. La Società. Abbiamo bisogno di nuovo della Società. Tanto più difficile adesso perché dovrebbe marciare coordinata in un’unità d’intenti verso lo stesso scopo, e in più con l’obbligo di restare tra di noi ben nettamente separati, come da protocollo. Fisicamente ben distanti, ma in telepatica simbiosi (capito adesso quanto conta la cultura, la scuola e la sanità pubblica?).

Insomma la speranza d’un cretino come me, che ragiona solo in soldoni, è che io la rivorrei indietro, sta società. Che non sia come quella zuppa di pesce che non può più ritornare acquario. In soldoni”.

 

 

 

Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però, purchè formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Appunti sulla mondialità

Il mondo che giudica la mossa spericolata di Putin

Sono tuttora relativamente modeste le reazioni a un fatto di enorme gravità quale l’invasione armata di un Paese sovrano con l’intenzione di smembrarlo, sostituirne il governo e deciderne il futuro. Da molto tempo non succedeva nulla di simile: bisogna fare un salto all’indietro di tre decenni per trovare analogie. Nell’agosto del 1990 l’Iraq di Saddam Hussein invadeva il Kuwait con una guerra lampo durata 48 ore. La risposta della comunità internazionale portò alla prima guerra del Golfo, il primo conflitto nella storia condotto da una coalizione formata sulla base di risoluzioni delle Nazioni Unite, contro le quali nessuna potenza pose il veto. Perché l’invasione militare di uno Stato sovrano è uno spartiacque, viola un principio primordiale del diritto internazionale: si può essere in forte disaccordo ma il rispetto dei confini, cioè della sovranità di un Paese, rimane un baluardo. Perciò, nel discorso con il quale ha annunciato l’invasione, Vladimir Putin ha tentato di demolire la stessa ragione di essere dell’Ucraina. Un Paese, secondo l’autocrate di Mosca, che non avrebbe storia né cultura al di là di quelle comuni con la Russia, governato da una cricca di delinquenti e tossicodipendenti: quindi un Paese che non esiste, e l’intervento militare russo, mirato a “denazificarlo”, rappresenterebbe solo un tentativo di rimettere le cose in ordine.

Sul piano politico, i calcoli di Putin si sono però dimostrati errati. La Russia, se si esclude qualche Stato vassallo come la Bielorussia o l’Eritrea, non ha incassato il sostegno che si aspettava. L’India e in modo più evidente la Cina in sede ONU si sono astenute, ma la loro disapprovazione è palpabile. Non soltanto perché un mondo in guerra, con l’inflazione che riparte, la corsa al riarmo e l’instabilità dei mercati non è un’ambiente favorevole per gli affari, ma perché il precedente che l’azione di Putin, qualora riuscisse, diventerebbe un pericolo per tutti. Il fatto che per colpire un Paese sovrano sia sufficiente delegittimarlo e affermare di correre in soccorso di una minoranza che è, o si ritiene, perseguitata potrebbe portare a focolai di guerra praticamente in tutto il mondo. Nel Kashmir indiano, nei tanti territori popolati dai curdi, in un’infinità di situazioni distribuite nel continente africano e anche nei mai pacificati Balcani. Se l’azione azzardata della Russia dovesse avere successo, aprirebbe le porte a un mondo definitivamente deregolamentato, privo perfino di una base comune di diritto. I calcoli fatti da Putin sono facili da intuire: debolezza di Joe Biden dopo la disfatta in Afghanistan, e quindi anche della Nato; debolezza dell’Unione Europea dopo la Brexit e la fine dell’era Merkel; supremazia militare della Russia nei confronti dell’Ucraina; effetto sorpresa. Tutti elementi reali, ma quello che Putin non ha considerato, ed è tipico dei regimi, è che l’azione militare avrebbe ricompattato i suoi nemici, cancellato i distinguo e rilanciato la cooperazione militare in chiave anti-russa.

Molti osservatori pensano che questo conflitto sia una specie di sequel della Guerra Fredda. In parte è davvero così, ma che si tratti solo di questo è la narrazione che Putin ha cercato di far passare, senza successo. La Russia di oggi non è l’Unione Sovietica e l’Ucraina non è il Quarto Reich, così come l’assedio di Kiev non è paragonabile a quello di Stalingrado. Semplicemente, un Paese molto potente ne ha attaccato uno assai meno potente. Il primo è un regime; il secondo, tra mille ambiguità, aspira a essere una democrazia, novità per una regione dove questo non è mai successo. Il mondo sta a guardare, è vero, ma è chiarissimo per chi tifa, perché Putin ha infranto un pilastro sacrosanto del diritto internazionale, forse senza nemmeno aver compreso bene le conseguenze.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Breaking Dad

“La guerra viene anche qui?”

“La guerra viene anche da noi, papà?”

Ore 20.30 di un giorno in cui forse non abbiamo più paura del virus ma dobbiamo di nuovo aver paura. La risposta non c’è, ma si deve trovare, subito, in fretta, l’inquietudine di un bambino non può aspettare.

Le maestre hanno chiesto, per domani, di indossare una maglietta bianca. Faranno una fotografia tutti insieme, bimbe e bimbi delle elementari, nell’androne della scuola. E canteranno “Give peace a chance”.

“Papà, è di quello che ti piace, John Lennon!”

E’ una bella idea, penso. Ma non so dare forma a questa sensazione. Perché è una bella idea? Si deve coinvolgere i bambini in questo nuovo incubo? Bisogna far loro vedere le immagini dei carriarmati? E cosa bisogna raccontare? E come?

Non che sia la prima guerra che  – in altri luoghi – abbia incrociato le loro giovani esistenze. No, questo non è vero. La Siria, per dirne una. Ma è lontana, la Siria. Cosa hanno percepito i loro occhi, i loro cuori? La gente che scappa e viene qui. I migranti, i rifugiati. Quello, credo, glielo abbiamo potuto raccontare così: bisogna accogliere quelle persone, quei bambini sfortunati, perché hanno bisogno, sono scappati via dalle bombe e noi li aiutiamo.

Ma adesso la faccenda è diversa.

“La guerra viene anche da noi?”

“Ma no, stai tranquillo, qui non viene”

“Ma noi siamo in Europa, no? E ho sentito che la guerra stavolta è in Europa…”. La voce è ferma, seria. Mi sembra di cogliere un lievissimo fremito su “stavolta”.

“Sì, è vero, ma l’Europa è grande e per fortuna qui c’è la pace”

“Ma ho sentito che può diventare la Guerra Mondiale… quindi vuol dire tutto il mondo in guerra, no?”

“No, non succede, stai tranquillo. Piuttosto com’è che hai detto che si chiama il tipo, lì, chi era… quel trapper nuovo…”.

Ecco, tutto qua. Parole improvvisate, dettate più che altro dall’istinto di protezione. Giuste, sbagliate, adeguate? Non lo so. Ho pensato che situazioni così stiano capitando a tanti genitori, nonni, insegnanti, in questi giorni. Così ne ho parlato alla Radio, invitando Daniele Novara, un pedagogista di grande esperienza e umanità. Gli ho fatto – in onda – quelle domande che ci stiamo facendo in tanti.

Il senso delle sue risposte – che mi permetto di riassumere – è stato: rassicurate i bambini. Soprattutto i più piccoli, fino alla quinta elementare – più o meno. Non fategli vedere immagini di distruzione, di morte. Cannoni, bombe, mitra, persone che piangono, sangue. Gli fate solo paura. Non diventeranno – in questo modo – pacifisti o più sensibili e attenti al mondo. Al contrario. Ne scapperanno. Saranno feriti, spaventati da un nemico troppo al di là della loro capacità di comprensione.

Proteggeteli, ci ha detto il professor Novara. Ma siccome qualcosa arriva loro comunque, inevitabilmente, fate che gli possano almeno dare una forma concreta a quell’ansia che si infiltra nei loro cuori. La maglietta bianca per fare la foto, ottima idea. La bandiera della Pace. Andare tutti insieme in piazza a cantare “Imagine”.

In trasmissione telefona un insegnante di scuola media. Racconta che i suoi ragazzi e le sue ragazze sono turbati, coglie in loro l’ansia. Ha deciso di guardare insieme a loro le prime pagine dei giornali, provare a commentare, a parlare a ruota libera. Lui insegna matematica, in realtà, ma in questo momento fa questa cosa qui.

Telefona un papà, dice che ha portato il bambino di otto anni alla manifestazione.  Racconta che lo ha visto contento, sereno. Anzi: “consapevole”, dice. Mi vengono dei dubbi, ma me li tengo, non devo far l’avvocato del diavolo: vorrei semplicemente capire come si fa.

Penso anche a Francesco che fa la prima superiore. Certo, l’età è ben diversa. Al liceo ne stanno parlando. Seguono le notizie, discutono. E credo che si stiano facendo delle domande, queste ragazze, questi ragazzi, che hanno vissuto due anni tra Dad, mascherine, terrore di ammalarsi e far ammalare i nonni. Due anni in cui hanno rispettato le regole perché hanno capito che era giusto farlo.

Credo che la vorrebbero rivolgere al mondo degli adulti quella domanda: ma veramente? Cioè veramente dopo tutto questo ora, cari adulti, ci dite che fate la guerra? Che vi ammazzate e magari ci coinvolgete tutti quanti? Così siete? E poi fate le pulci a noi se stiamo tanto al telefono?

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 10-11-2025

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    Marcia indietro leghista: educazione sessuale alle medie solo se lo vogliono i genitori

    La Lega al Senato ha deciso di fare marcia indietro sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Dopo avere condiviso con Valditara la linea dura che prevede il no all’educazione nelle scuole medie e il sì alle superiori condizionato dal consenso dei genitori, ora la Lega dà il via libera alle lezioni anche alle medie, ma sempre subordinate al consenso dei genitori. Una giravolta dettata probabilmente dalla freddezza degli alleati ma ancor di più dall’opposizione che stava montando tra gli insegnanti. La proposta leghista in ogni caso non è la vera soluzione che sarebbe necessaria, perché in ogni caso tutto dipenderà dal sì dei genitori. Valeria Valente, ex presidente della commissione femminicidi, senatrice del Pd. L'intervista a Valeria Valente, ex presidente della commissione femminicidi e senatrice del Pd.

    Clip - 10-11-2025

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    Esteri di lunedì 10/11/2025

    1) Al via la Cop30. A Belem, il presidente Lula ha aperto i negoziati sul clima. Parallelamente, è iniziato anche il controvertice dei popoli, che porta al centro le voci dei movimenti e delle comunità indigene. (Francesco Martone, presidente dell’assemblea dei giudici del Tribunale Internazionale dei Diritti della natura) 2) Trent’anni fa veniva ucciso Ken Saro Wiwa, l’attivista e poeta nigeriano ucciso per aver protestato contro le multinazionali dell’industria petrolifera e i loro danni ambientali. Il ricordo di esteri. 3) Un presidente siriano alla casa bianca. Per la prima volta nella storia del paese, il presidente Al Sharaa visita il presidente degli stati uniti in un incontro cruciale per il futuro della Siria. (Marco Magnano) 4) La BBC nell’occhio del ciclone. I vertici dell’emittente pubblica britannica si dimettono per uno scandalo sulla manipolazione delle notizie. (Elena Siniscalco) 5) India, esplosione a New Delhi all’esterno dello storico Red Fort. Almeno 8 persone uccise. La polizia indaga sull’accaduto. (Emanuele Valenti) 6) Francia, dopo 21 giorni di carcere Nicolas Sarkozy da oggi è in libertà vigilata. Si conclude così l’epopea che l’ex presidente aveva descritto come un martirio. (Francesco Giorgini) 7) Serie Tv. Pluribus, su AppleTv la nuova creazione dell’autore di Breaking Bad (Alice Cucchetti)

    Esteri - 10-11-2025

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    L'Orizzonte di lunedì 10/11 18:35

    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

    L’Orizzonte - 10-11-2025

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    Poveri ma belli di lunedì 10/11/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 10-11-2025

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    Identità perdute e ritrovate: gli Oodal raccontano il nuovo album

    È uscito “Vivere Le Vite degli Altri”, secondo album della band toscana Oodal che oggi è passata a trovarci a Volume. Scritto in gran parte in un casolare di montagna, l’album si muove tra elettronica e dream pop, esplorando il tema dell’identità: “Parla di perderla, ritrovarla e non capirla”, racconta la band ai microfoni di Radio Popolare, e di vivere esperienze così in simbiosi che a volte ti sembra di aver vissuto anche la vita di qualcun altro. Ascolta il MiniLive degli Oodal.

    Clip - 10-11-2025

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    Vieni con me di lunedì 10/11/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Volume di lunedì 10/11/2025

    Dal lunedì al venerdì dalle 14.00 alle 16.00, Elisa Graci e Dario Grande vi accompagnano alla scoperta del suono di oggi: notizie, tendenze e storie di musica accompagnate dalle uscite discografiche più imperdibili, interviste con artisti affermati e nuove voci, mini live in studio e approfondimenti su cinema, serie TV e sottoculture emergenti. Il tutto a ritmo di giochi, curiosità e tanta interazione con il pubblico. Non fartelo raccontare, alza il Volume!

    Volume - 10-11-2025

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