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L'Ambrosiano

Il tarlo di Martini

Parto da un ricordo personale: conta eticamente per me, aiuta a capire perché far memoria di Martini. Pochi giorni prima che lasciasse Milano gli portai fresco di stampa Il Cardinale (Mondadori): i 22 anni di vita di lui, della Chiesa, della città e dei riflessi su Italia e Europa. Sapeva che ci stavo lavorando ma avevamo fatto un patto: non gli avrei mostrato nulla prima; mi assumevo io la responsabilità di ciò che scrivevo. Sfogliò il libro con la cura del cattedratico (Martini è rimasto professore) davanti a una tesi di dottorato. Con mosse rapide andò a indici (analitico e nomi), pagine evidenziate da titoli, rimandi. Commenti? La mobilità dei muscoli facciali e cenni del capo (col non verbale diceva più che in parole). Mi chiese cosa m’aspettassi dal libro. «Che sia apprezzato, abbia successo», mi uscì. Risposta: «Sì, ma di queste cose non si parlerà prima di 10 anni almeno». Fui sorpreso; neanche tanto. Era Martini: nelle relazioni d’una timidezza proporzionale a vicinanza e profondità; un passo avanti a tutti nella visione laica degli eventi convinto che Dio ha creato l’uomo non una volta per tutte: l’ha lasciato libero d’esser sempre co-creatore o rifiutarlo; lo studioso di Critica testuale che gode della scoperta d’un antico manoscritto che illumina un passo incerto ma sa che il prossimo reperto farà cambiare idea e la ricerca crescerà. Con me quel giorno era stato ottimista. I capisaldi dell’episcopato (coscienza individuale; vangelo delle Beatitudini; cristiani minoranza: piccolo gregge, seme, lievito; rispetto per la dignità della vita: caso Welby; politica come servizio; Chiesa senza burocrazie e carrierismi; ecumenismo; Europa delle persone, non dei mercati) han subìto una progressiva eclissi. A 10 anni dalla morte molti lo celebrano, altri lo contestano ancora. Perché? A chi gli fece gli auguri per gli 80 anni disse: «Imparate a pensare, a inquietarvi»; non esortò a devozioni. Martini ha messo un tarlo nell’intimo di chi crede e di altri: essere inquieti, non rifugiarsi nel s’è sempre fatto così, a me che me ne viene, ci penserà un altro. I tarli non si vedono ma sfarinano ingombranti strutture. Quando esse crollano liberano spazi: il sole risorge. Là dov’è Martini se la gode sornione.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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L'Ambrosiano

La Chiesa non è neutrale (anche se non dice per chi votare)

Il modo in cui è stata raccontata la Chiesa che non dà indicazioni sul voto crea il sospetto d’una malcelata nostalgia; una gerarchia interventista farebbe comodo a molti: cristiani non adulti (“non pensanti” diceva Martini); cattolici che fan politica con l’acqua santa ritenendo essa dia peso a scelte e assolva nella cura di interessi “a prescindere”; ai laici che si nutrono di vis anticlericale. Francesco ha tolto gli alibi; con lui il presidente Cei Zuppi: «Dialogheremo con chi andrà a Palazzo Chigi». A guardar bene, tirandosi fuori dalla competizione elettorale i vescovi fanno un servizio al Paese e a sé; aprono un credito verso gli italiani, ritenendoli maturi da scegliere il proprio destino, si rivelano uomini di Dio non di potere e col silenzio fan penitenza per certe volte in cui han parlato; il passato dei rapporti Chiesa/politica ha avuto luci (contributo dei cattolici a Costituzione, democrazia, sviluppo) ma pure ombre lunghe (la Chiesa ruiniana che scelse Berlusconi, Fini, Bossi contro Prodi e la Bindi). I punti di forza della Chiesa son chiari per chi vuol tradurli in stili di vita personali e in atti politici: responsabilità individuale; condivisione dei destini della comunità (città abitabili, bene di tutti nel governo del Paese); prossimità (“Fratelli tutti”, anche i migranti: farlo sapere ai baciapile della Lega); nesso tra ecologia cultura nuova umanità; ordine mondiale se c’è pace. Non dire per chi votare non è esser “neutrali”: neutralità non è categoria evangelica. Il vangelo delle Beatitudini (poveri di spirito, afflitti, miti, chi ha fame e sete di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati) è lì per chi è coerente. Sfida per Italia, Europa, varie confessioni. Con l’ecumenismo al lumicino Kirill e Putin fan la guerra santa all’Occidente. Lo scandaloso conflitto tra cristiani minaccia persone e convivenza, inficia la loro credibilità, mina l’idea di Qualcuno o qualcosa (valori alti, storia, Vita) oltre il quotidiano che dà la speranza d’una rigenerazione possibile. Ha scritto Alda Merini: «Quando il cielo baciò la terra nacque Maria». Le labbra per un bacio che unisce e semina amore, non per parole d’odio, tanto meno per dire alla Totò «Votantonio, votantonio!».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Tra il video di Meloni e un concerto d’archi, scorci di agosto

Ogni giorno ha la sua pena e molte pene ci attendono da qui al 25 settembre, anche senza voler guardare all’assai prevedibile esito delle elezioni. 

La pena di oggi è la pubblicazione sui social di Giorgia Meloni del video della donna ucraina che ha subito violenza da parte di un richiedente asilo per strada a Piacenza. Video accompagnato dalla promessa che la sicurezza delle città sarà in cima ai pensieri  della nostra e così potremo stare tutti tranquilli. C’è tutto di sbagliato nella pubblicazione del video e nel messaggio: c’è la strumentalità a fini elettorali di un fatto odioso, c’è l’ulteriore violenza cui è esposta la donna che ne è stata vittima, c’è il riproporre l’equazione cara da decenni alla destra tra immigrazione e criminalità, laddove sappiamo bene che la violenza contro le donne non ha un colore, è trasversale a classi, etnie, provenienze e, nella stragrande maggioranza di casi, ha le chiavi di casa, ovvero si compie nel luogo che per le donne dovrebbe essere il più accogliente. 

La pena di oggi è verificare, ancora una volta,  il livello cui è arrivata la comunicazione che sembra persino difficile aggettivare come politica: parlare alla pancia, agli istinti, alle paure, con l’unico ritornello del ‘Ci penso io, vi difendo io’. E proprio su un terreno, quella della violenza contro le donne, che più politico – in quanto dice delle relazioni tra i sessi, delle persistenze patriarcali e del ritardo culturale del nostro paese – non potrebbe essere. La pena di oggi è pensare che sempre di più questo tipo di comunicazione fa presa, proprio per il suo essere elementare, viscerale e fare a tanti la cortesia di non dovere articolare un giudizio appena più complesso o più informato su ciò che accade intorno a noi, sul perché e su ciò che sarebbe necessario fare. E non certo per ‘ripulire’ il mondo: quello lasciamolo alla destra di Meloni e ai suoi sodali. Quelli che – correvano gli anni ’90 – scesero in piazza  con le scope a Milano per spazzare via ‘i clandestini’. Era ieri, non se lo ricorda nessuno, o, peggio, tanti pensano che non fosse una cattiva idea.

Ps. Avrei voluto scrivere soltanto di una cosa bella, un piccolo concerto d’archi che si è svolto due sere fa sulla scalinata monumentale della Giudecca a Reggio Calabria. Cosa bella per varie ragioni: per i quattro giovani musicisti del conservatorio Francesco Cilea che hanno eseguito Mozart, Bach, ma anche Morricone e Lennon e l’aria ‘Libiam nei lieti calici’; per il progetto vinicolo Inter vitis sinergia tra alcuni comuni della fascia jonica e tirrenica che questo concerto inaugurava, ma soprattutto per il luogo in cui si è svolto, una scalinata incantevole che guarda dall’alto lo Stretto. Era, quel luogo, inaccessibile, sporco, invaso da sterpaglie e rifiuti. Un gruppo di cittadine e cittadini – vanghe, rastrelli e sacchi dell’immondizia – lo ha ripulito e sistemato, ha messo a dimora le piante e creato una comunità che lo ha restituito all’uso collettivo – concerti inclusi. Si può fare, insomma, qualcuno – nel piccolo, nel periferico, nel poco visto, lontano dal rumore di scena e dalla propaganda elettorale – fa, continua a fare. Sulle note di Bach. 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

“Morgen”, simboli controversi, Stato etico e F. G. Lorca che fa sperare

Il via della campagna elettorale fa riemergere un ricordo d’infanzia. Il papà d’un compagno di giochi un giorno raccontò al figlio e a me la propria storia. Catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre era stato caricato sul treno diretto in Germania. Cominciando a sentir sete, fame, necessità fisiologiche lui e i compagni chiesero alle guardie quando avrebbero potuto soddisfare i bisogni. Risposta: «Morgen!». Nessuno però conosceva il tedesco, per cui ad ogni fermata dalle fessure del carro merci guardavano i cartelli sperando d’esser giunti finalmente alla stazione di «Morgen».

Morgen, «domani mattina» è mantra diffuso a poco più d’un mese dal voto. Prospettare il futuro, quello vicino («Cosa faremo nei primi 100 giorni») e le visioni (progetti, strategie, tempi, risorse vere e certe per realizzare le promesse) è essenza della democrazia: confronto ideale e dialettica pratica su interessi da contemperare per il bene comune. Il contrario è la “politica del Morgen”, cioè annunci che possono far intravvedere tutto e il contrario.

Le mani restano libere all’indomani del voto. La vaghezza può tenere a galla. Ma portare anche a fini inquietanti e drammatici. L’immagine da cui siam partiti col suo retrogusto indigesto insegna: senza memoria è caos o caso. Non si contrastano disegni autoritari insistendo sul brutto segnale all’Europa della fiamma tricolore nel simbolo della Meloni. Le icone contano, i gesti di più.

Gli atti sono Berlusconi che può promettere la luna in ragione della senilità (e pesa) e Salvini col suo “credo laico”. Con l’aggettivo pensa di scolorire la patente clericale; ma a leggerlo emerge qualcosa di più grave: l’ombra d’uno Stato etico. Riprova? Quel che il credo dice andrebbe realizzato (diritti, immigrati, fragili, sanità, tasse) non l’han fatto lui nelle varie maggioranze, né la Lega dove governa (Lombardia).

Un “Morgen” salviniano spaventa, ma stimola a reagire. La mia generazione coi moniti di vita fa pure da ponte coi grandi che hanno ispirato (e pagato) per democrazia e Europa: «Qui si vede la vita e la morte / la sintesi del mondo / che nello spazio profondo / si guardano e si intrecciano» (F. G. Lorca). Nello scontro far vincere la vita.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La scuola non serve a nulla

Cosa? Una conferenza internazionale sull’Umorismo? Ma scherziamo? Dai, su… – Puntata 4

Eccoci all’ultima puntata del mio reportage sull’ISHS Conference, l’annuale conferenza dell’International Society of Humour Studies (tradotto: la Società Internazionale di studi sull’Umorismo), nel quale vi riporto, come tutti gli influencers che si rispettino, gli interventi più interessanti cui ho assistito. Tanto in teatro non sta succedendo niente di interessante, e neanche a scuola, se si esclude la proposta di “Expert: gli esperti siamo noi” con cui si pensa di formare e aggiornare in futuro i docenti. Sigh!

L’ultima puntata è quella in cui si parla della parte dura, pesa, sostanziosa: umorismo e Artificial Intelligence, siòre e siòri.

Tra i vari interventi, il professor Juan Carlos Farah ha raccontato un po’ a che punto è la ricerca in questo campo, osando, ardito, inerpicarsi a rispondere all’annosa domanda “i computer riusciranno mai a scrivere delle battute che facciano ridere?” Sostanzialmente, la sua posizione è che battute “in senso tecnico”, sì (cioè costruite come tali e con tutti i loro elementi costituivi riconoscibili); “buone battute”, al momento, no. Del resto, si sa essere questo il terreno linguistico su cui i computer fanno e faranno più fatica: il linguaggio figurato, i doppi sensi, la pragmatica… Certo, limitatamente alla creazione di semplici giochi di parole, esistono già dei software che producono risultati soddisfacenti, anche se più vicini all’enigmistica che all’umorismo: applicando la “Semantic script theory of humour” di Raskin, per esempio, si può istruire un computer a produrre un pun, sulla base del principio della maggior somiglianza fonologica possibile tra le parole con cui si voglia creare ambiguità semantica a fini umoristici: “The Loch Ness Monster eats fish and ships”/ “The Loch Ness Monster eats fish and chips” (e sempre per questo aspetto, da segnalare il programma messo a punto dal Dipartimento di Intelligenza Artificiale dell’Università di Edinburgo, JAPE, che genera battute sotto forma di indovinelli con giochi di parole).

Ma per altri tipi di umorismo? Un tentativo in questo senso è stato il software Humour Processor,  che, più che creare battute, offre in due finestre affiancate sullo schermo una serie di frasi che, accoppiate, possono generare effetti comici (ecco un battura creata con questo software: “La settimana scorsa stavo così male che il dottore, appena mi ha visto, si è fatto un’iniezione”). Al momento, le ricerche più ardite sembrano essere quelle di Ray Gonzalez, ricercatore dell’Università del Texas. Costui ha creato un “Generator” di punch-line: tu scrivi il set-up (“l’alzata”) e il generatore ti propone la chiusa, all’interno di un campo semantico dato. E quindi nella dimostrazione al pubblico, il nostro eroe ha chiesto un argomento a piacere su cui testare lì, durante la conferenza e davanti a tutti, la macchina; allora il pubblico ha proposto “pizza”; quindi, dopo aver inserito la set-up line “la pizza che ho mangiato ieri era talmente indigesta che…”, il generatore ha tirato fuori, più o meno, un “…sarà sicuramente proposta come nuova arma di distruzione di massa”. Boh… Cioè, carina, per essere venuta fuori da un computer (e qualche sedicente autore che non arriva a questo livello, l’ho conosciuto), ma sulle battute credo continueremo a preferire per molto tempo l’umano artigianato del forno a legna.

L’ultimo giorno sono stati conferiti i prestigiosi “Christie Davies Awards”, cioè i premi ai ricercatori le cui pubblicazioni sono state giudicate, per quest’anno, le più interessanti in materia umoristica. Si è partiti con Dick Zijp, della Utrecht Univesity, con “Those who laugh as a body today, will march as a body tomorrow”, uno studio che dimostra come l’umorismo si sia rivelato collante non trascurabile per battaglie volte al riconoscimento di vari diritti civili; poi Katarina Zacharopoulou, della University College London, che nel suo “Designing for amusement: from the intention to the interpretation of humour” ci ha guidati in un curioso percorso a cavallo tra umorismo e architettura; e Nikita Labanov, dell’Università di Bologna, che in “Humour, hate crimes and British radical right users on Twitter” che ha analizzato il rapporto sui social tra umorismo e hate speech nel Regno Unito, specialmente nel lasso temporale del compimento della Brexit.

Chiudo con lo studio di Guillem Castanar, dell’Università di Pietroburgo, non solo perché con questa spassosissima personcina ho chiacchierato amabilmente per tutta la cena finale dell’ultima serata, ma anche perché particolarissima era la sua ricerca: in “Target in Post-Socialist and Russian ethnic jokes: critical humour and the politics of community”, egli è andato a studiare e catalogare tutti i casi di barzellette in cui i personaggi sono identificati con la semplice appartenenza a una certa nazione: per capirci, da noi quelle che iniziano con lo schema “C’è un italiano, un francese e un tedesco…”. Ebbene, in ogni paese sono diffuse queste barzellette (così come in ogni nazione esiste una certa categoria di persone che, per antonomasia, nelle barzellette ha l’ingrato e ingiurioso compito di “incarnare” la stupidità: in Canada e Usa le bionde, in Italia i Carabinieri, in Francia i Belgi, in Inghilterra la ragazze dell’Essex, in Finlandia i Kareliani, in Olanda… i batteristi!): nello specifico delle barzellette “a tre nazionalità”, quasi sempre, è endogeno il punch-line maker (cioè se la barzelletta è raccontata in Russia, è al russo che sarà assegnato il ruolo del “furbo” che la chiude, se in Germania al tedesco, ecc., e così via. Come del resto, è da noi…). Più interessante è, in ogni Paese, andare a vedere di che nazionalità sono i primi due, quelli a cui sono affidati i ruoli di “perdenti”; quasi sempre, in tutto il mondo si parte con “C’è un inglese…” (ma curioso che in Italia, praticamente mai) e, al secondo posto, è una lotta all’ultimo sangue tra “…un francese” e “…un tedesco”. Pensavo: che la Brexit dipenda un po’ anche da questo?

La cena dell’ultima sera, dicevo. Solo per dire che è tradizione improvvisare una gara di battute; così, come caloroso e benaugurante invito alla conferenza dell’anno successivo. Io ho partecipato con una battuta che ho sentito dire spesso all’amico Germano Lanzoni, alias “Milanese Imbruttito”, e cioè “In Italia spendiamo più denaro in ricerche sul Viagra che per curare l’Alzheimer: perciò tra vent’anni avremo tutti un pene durissimo, ma non ci ricorderemo dove metterlo”. Ma ha vinto un tizio di non so che nazionalità con questa qui: “Qual è la parte più dura da mangiare di un vegetale? La sedia a rotelle”. Bene così.

Ci si vede a Boston, alla prossima International Society of Humour Studies Conference, dal 3 al 7 luglio 2023.

Magari sarà pieno di italiani, chi lo sa…

Finisce qui non solo questo reportage (spero vi sia piaciuto, e che sia stato utile a fornire qualche strumento per discettare in termini più tecnici di comicità… insomma, fatemi sapere!), ma anche quest’anno di articoli: comincia infatti la mia pausa estiva da questo blog.

Ci si vede a settembre!

 

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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